giovedì 31 dicembre 2009

2009

Vorrei pubblicare le mie riflessioni sull'anno che ci stiamo lasciando alle spalle, come fosse un bilancio. Innanzitutto devo dire che è stato un anno negativo, dal mio punto di vista, anche se di eventi positivi ce ne sono stati, anche molto; ma la sua tendenza è indiscutibilmente negativa. Cosa è successo questo anno di così negativo? Beh, in primis non sono riuscito a fare tutto quello che avrei voluto, anzi, per pigrizia o per incapacità non mi è riuscito di fare tutti gli esami che avrei voluto all'università e non sono nemmeno riuscito a scrivere tutto ciò (romanzi e racconti, principalmente) che mi sarebbe piaciuto. In secondo luogo, sono sempre abbastanza solo, nonostante alcuni eventi abbiano fatto si che per la maggior parte del tempo non lo sia: ma oggettivamente, se prima non avevo nessuno ora ho ben poche persone che posso definire "amici veri", mentre il resto del mondo sembra ostile a me e al mio "essere diverso" dalla massa. Certo, razionalmente per me contano solo gli amici, e il resto non ha importanza, ma il fatto che si insulti spesso me e la mia intelligenza, che si cerchi sempre di farmi del male, mi intristisce e non poco. Questo per quanto riguarda ciò che di male è stato, che anche se sembra poco non lo è affatto. Di buono invece, questo anno ha portato un po' di sollievo alla mia solitudine: se alcune persone che credevo "amiche" mi hanno abbandonato, dimostrandosi dei falsi ai quali non importava nulla di me, ho finalmente trovato delle persone sincere e amichevoli, degli amici veri, insomma, con cui mi trovo benissimo, e che rendono quest'anno non del tutto da buttare via.

Per quanto riguarda la mia produzione, a quest'anno devo tutto, credo. Ho aperto il blog proprio quest'anno, sulla spinta della mia creatività fino ad allora inespressa, e ho cominciato a sperimentare. Artisticamente (ma non solo), credo di essere molto cresciuto e maturato, e dai primi esperimenti non proprio riusciti sono riuscito a trovare uno stile di scrittura che sento mio personale, anche se non credo sia troppo originale (esiste ancora l'originalità? Per me oramai già tutto è stato scritto, o quasi). Insomma, in definitiva il 2009 è stato un anno a tinte chiaroscure, con cose che vorrei dimenticare per sempre e cose che invece sono contento di aver fatto. Mi auguro solo che il nuovo anno (e il nuovo decennio) siano migliori, e che il prossimo anno sia ancora qui, a dire quanto l'anno 2010 sia stato bello e positivo per me (cosa di cui dubito). Detto questo, non resta che dare l'addio al 2009 e agli anni '00 e fare a tutti i miei lettori un augurio per il 2010 e per gli anni '10.

giovedì 17 dicembre 2009

Oltre la fine

Questo si sta rivelando un periodo abbastanza prolifico, per me, quindi riesco a produrre con più costanza i racconti. Questo è uno di quelli "dedicati", e la protagonista di questo è Emanuela, colei che considero la migliore amica che abbia mai avuto; quindi, in qualche modo, è un racconto "speciale", perché è scritto con molto affetto e penso sia sopra la media dei miei racconti. Niente altro da dire se non che spero sia di gradimento.

Oltre la fine

Come ogni volta che era al lavoro, anche quel giorno Emanuela doveva stare al computer a badare agli affari della gigantesca villa a cui era addetta. Era la garante della padrona di casa, perciò doveva controllare che fosse tutto in ordine, e che i muratori che stavano prendendo parte alla ristrutturazione rigassero diritto. Ogni tanto però poteva svagarsi, specie dal computer che la faceva star male se lo usava per troppo tempo; e quel giorno ne aveva terribilmente voglia, visto che la sera prima, per chissà quale motivo, aveva dormito molto poco, in preda all'insonnia. Si staccò dal pc e, per sgranchirsi un po' le gambe, addormentate per colpa delle ore passate a sedere, si avviò per i corridoi dell'immensa abitazione. Era passata per quelle enormi e lussuose stanze per mille volte, ma sempre, ad ogni nuova occasione, ne era assolutamente meravigliata, come se quel posto avesse un fascino sovrannaturale; o forse ad incantarla era il gigantesco parco che si osservava fuori da ogni finestra, a darle quella sensazione, da grandissima amante della natura come ella era.

All'improvviso, mentre camminava in un corridoio del primo piano, successe qualcosa di inusuale: per un secondo, sentì la testa girarle, ma subito dopo tutto tornò ad essere normale, e la ragazza, pensò a una sensazione di un attimo che era già passata, senza dar alcun peso alla cosa. Girando un angolo, però, si ritrovò in un luogo della casa che non aveva mai visto. Si guardò intorno, pensosa, e poi realizzò che in effetti in quel posto c'era stata, ma dall'ultima volta sembravano passate delle ere, visto che praticamente tutto era diverso E che differenze! Se prima era un ambiente come un altro, ora sembrava essere passato un tornado da quelle parti, il mobilio era in pezzi, i muri erano scrostati e pieni di crepe, e il pavimento era coperto di uno strato di fine polvere. Che cosa era successo? Ogni risposta (topi, un muratore maldestro, un vandalo) apparivano a Emanuela improbabili. Prese a camminare per il corridoio lentamente, e man mano che avanzava lo spettacolo era sempre più devastato. Si fermò davanti alla porta di una stanza che aveva uno piccolo forellino irregolare, da cui filtrava della luce, e dopo aver valutato la situazione decise di aprirla e di entrare. L'interno fu terribile a vedersi: dove prima c'era una bella camera con tanto di letto a baldacchino e di caminetto, ora si trovavano solo grossi pezzi di macerie, mentre in alto si vedeva un cielo coperto da nuvole nere ma stranamente luminoso, non più occultato dal tetto ormai crollato. Presa dal panico per colpa di quella vista, la giovane uscì correndo e si precipitò al piano di sotto, notando con ancor più sgomento che il percorso che ripercorreva a ritroso presentava la stessa distruzione, in ogni ambiente della casa, che sembrava quasi comparsa magicamente nel poco tempo trascorso tra l'andata e il ritorno. Cercò per tutta la casa i muratori, o almeno qualcuno che potesse aiutarla, ma invano: una grande villa in rovina e deserta, ecco cos'era quel posto. Che diavolo era successo lì, e perché? Provava a trovare una risposta, ma non riusciva proprio a ragionare, a trovare un motivo, una qualsiasi spiegazione, pur interrogandosi moltissimo. Ad un trattò notò in un angolino della stanza in cui si trovava un bagliore metallico: si avvicinò, e scoprì che era una bicicletta dall'aspetto vecchio e malandato, ma che sembrava ancora possibile usare, finita chissà come là. Senza indugi, decise di prenderla per recarsi in paese a cercare indizi su cosa era successo, o almeno qualcosa che la aiutasse almeno un po' a risolvere il mistero.

Entrambe le gomme della bicicletta erano a terra, perciò per arrivare a destinazione la ragazza dovette faticare non poco; e quando arrivò, lo spettacolo che trovò una volta giunta fu desolante e spaventoso, ovunque c'erano rovine a non finire, le strade erano invase di calcestruzzo e di mattoni staccatesi dalle case, molte delle quali presentavano grossi fori e aloni neri, segni di un incendio non troppo recente. Qualche brandello del centro medievale era ancora in piedi, ma la maggior parte del resto era diroccato, compresa la bellissima chiesa romanica della città. Girò il paese a piedi, faticando anche un po' a trovare passaggi tra le macerie che in certi punti formavano a volte anche piccole muraglie irte di grossi spunzoni di cemento, e man mano che camminava la disperazione aumentava. Com'era possibile che la città fosse stata rasa al suolo? E da chi? Ma soprattutto, la gente che fine aveva fatto? In tutto il giro, non aveva trovato la benché minima traccia di una persona, nemmeno un minimo rumore aveva turbato il silenzio irreale di quel posto se non quello dei suoi passi. La situazione era allucinante ed insieme insopportabile, e mentre cominciava a far buio sotto il cielo plumbeo Emanuela, sopraffatta dalla disperazione, smise di girare e si abbandonò a sedere su un muretto. Proprio allora, sentì dei rumori attutiti, come di passi, che si facevano pian piano più forti, finché da dietro una struttura diroccata emerse una figura. Era enorme, una personaggio umanoide alto almeno tre metri in una tuta completamente bianca che lasciava una visiera all'altezza di quella che doveva essere il volto, ma era oscurata e il viso non si vedeva affatto. Appena la vide, il gigante cominciò a correrle incontro ad una velocità sproporzionata; la ragazza si spaventò enormemente e cercò di sfuggire, ma invano: l'essere fu su di lei in un attimo, e la immobilizzò tra le braccia in una presa di ferro, per poi portarla via.

Tentò di liberarsi per una decina di minuti, ma invano, la stretta era veramente d'acciaio; poi il gigante aprì una porta che si apriva nel terreno e discese delle scale, trovandosi in un locale illuminato da delle fioche lampade al neon. Aprì l'unica porta, e poi cacciò senza troppi complimenti la ragazza in una specie di grande tubo di vetro, che si chiuse intrappolandola. Un liquido rosato salì rapidamente nel tubo, e Emanuela, ancor più terrorizzata e temendo il peggio, chiuse gli occhi tappandosi il naso, mentre ne veniva completamente sommersa. Dopo pochi secondi, però, il liquido defluì, e successivamente un soffio di aria calda la asciugò piuttosto rapidamente. Poi il tubo si aprì dall'altra parte, e la giovane poté uscire in un ambiente vuoto, simile al primo ma più grande. Nel tubo, intanto, vide colui che l'aveva venir sommerso e poi venir asciugato come era successo a lei, ed infine uscire. Improvvisamente si aprì una cerniera, e dalla tuta uscì un uomo tutt'altro che grande e possente, poco più alto di lei: ma la cosa che colpiva di più era la sua grande magrezza, il volto pallido ed emaciato (ed in qualche modo familiare) con pochissimi capelli in cima, e il corpo smunto e ai limiti dell'anoressia. Per la prima volta dall'incontro egli parlò, in una lingua un po' strana ma molto simile al dialetto del comasco, che quindi lei capiva benissimo, e con una smorfia sorpresa le chiese come si era trovata la fuori. La ragazza non seppe rispondere, e non riuscì nemmeno a replicare alle successive domande dell'uomo sulla sua provenienza, tanto era lo sconcerto. Allora, l'uomo, che le rivelò di chiamarsi Stefano, la accompagnò oltre la porta, a visitare una struttura dall'ambiente asettico e metallico, che quasi sembrava uscito da un film di fantascienza. Le mostrò quella che sarebbe stata la sua stanza, un piccolo locale spoglio di mobili ma piena di strani interruttori e lucine sulle pareti, e con solo una branda su un lato, e poi la lasciò là, da sola.

Qualche ora più tardi, venne chiamata per la cena, e lì riuscì, anche se con molta fatica, a sbloccarsi e a parlare finalmente con Stefano. Questi, intuendo che l'ospite non sapeva nulla di ciò che era successo (anche se non sapeva spiegarselo), le parlò partendo dall'inizio di tutta quella storia. Emanuela apprese allora che nel 2015 era scoppiata la guerra mondiale, brevissima ma intensissima. Non si sapeva chi era stato il primo ad utilizzare le bombe atomiche, quel che era certo era che quando il presidente Statunitense Barack Obama era stato ucciso in una congiura e sostituito da un vertice di folli militari, per il pianeta Terra era stata la fine. L'Europa era stata invasa dagli integralisti islamici, che avevano imposto la shari'a ovunque, trucidando chi non si adeguava, ma la loro vittoria era stata vana; le nuvole di radiazione si erano estese ben presto all'intero pianeta, e ben presto sia vincitori che vinti erano rimasti uccisi, tranne una piccola frazione che era riuscita a sopravvivere, grazie a dei mezzi tecnologici di gran avanguardia, come il liquido annulla-radiazione o la super-tuta: ma nonostante ciò, ormai sulla Terra sopravvivevano pochissime persone, che non potevano contattarsi se non a distanza (la tuta non reggeva più di un ora le radiazioni, e non si potevano quindi intraprendere lunghi viaggi), e che comunque, mangiando e bevendo cibi ed acqua dai quali non era possibile cancellare del tutto l'irradiazione nucleare, stavano agonizzando ogni giorno di più. Il pianeta era morto, il sole si vedeva solo per qualche decina di giorni l'anno, mentre per il resto del tempo era oscurato da nubi radioattive, che spesso scaricavano la loro pioggia mortale sul terreno ormai disseccato; e la radioattività era terribile, aveva ucciso perfino i batteri (e per questo il cibo esterno, come le carcasse degli animali, si poteva mangiare e non si decomponeva). Stefano le disse anche che essendo stata esposta senza tuta all'ambiente esterno, la ragazza si sarebbe potuta ammalare seriamente di “distruzione nucleare del corpo”, e non ci sarebbe stata cura a quel punto, quindi doveva prepararsi al peggio, se fosse successo. A Emanuela tutto questo sembrava assurdo, non voleva credere di essere stata proiettata avanti nel tempo e soprattutto che fosse successo un evento di tal portata. Era la fine del mondo; anzi, era addirittura oltre di essa. Non riusciva a crederci, ma sapeva che in fondo quella era la verità, e la cosa la faceva stare veramente male. Finì il piatto che le aveva offerto l'inquilino della base, poi andò a dormire direttamente, nell'abbattimento più totale.

Si svegliò all'incirca alle sei del mattino, secondo l'orologio della camera che aveva imparato ad usare, in preda ad atroci dolori di stomaco. Accese la luce, e la prima cosa che notò furono intere ciocche dei suoi lunghi capelli sparpagliati sul cuscino da cui si era appena alzata, che la fecero inorridire non poco. Svegliatosi, Stefano accorse nella sua stanza, e con espressione triste e delusa, le annunciò che era stata colpita dalla distruzione nucleare del corpo, e che l'unica cosa che poteva fare era decidere se restare là dentro con l'assistenza della tecnologia, soffrendo nella più totale agonia, per qualche mese, oppure se preferiva uscire, per accelerare il processo. Senza pensarci due volte, Emanuela scelse di andarsene, e con rassegnazione l'uomo la accompagnò, fino all'uscita. Scossa da un secco male alla pancia, camminò per un po' allontanandosi molto dal bunker, riuscendo infine a guadagnare la cima di una collina, e lì, ormai stremata dalla sofferenza, si fermo. Sedette sotto il sinistro scheletro di una quercia, tremando, mentre il vento le accarezzava le guance, su cui fatali lacrime scendevano, a salutar la vita che presto l'avrebbe abbandonata. Come d'incanto, all'orizzonte sorse lentamente un grande sole rosso, che riusciva a far capolino tra le nuvole, come a dare un estremo addio alla giovane e al pianeta Terra ormai agonizzante, in uno dei rari momenti dell'anno nel quale si poteva ammirare. Lo spettacolo era bellissimo quanto terribile, e i pensieri della ragazza consumavano le sue ultime energie mentali nella contemplazione della piccolezza dell'uomo di fronte al cosmo; nel mentre la pelle cominciava a pruderle. Solo quando se ne accorse ricordò che l'uomo, tra le altre cose terribili, le aveva detto che la guerra aveva annientato anche lo strato d'ozono della Terra, e che per quello era pericolosissimo uscire quando c'era bel tempo. Ormai la pelle bruciava in un vortice di rosso dolore, e si ustionava, torturando la povera ragazza, che con le ultime energie gridò, prima di chiudere gli occhi per l'ultima volta.

Il dolore alla pelle era sparito, come quello alla pancia, non sentiva più nulla. Era morta, e si trovava nell'aldilà? Eppure era così strano, si sentiva normalissima... tirò su la testa dal piano dove era appoggiata, e si guardò intorno. Ciò che vide la sorprese: la villa era lì, come l'aveva lasciata. Realizzò che il viaggio nel futuro con annessa morte, come anche il semplice viaggio al piano superiore era stato frutto solo della sua immaginazione, e che si era addormentata. Forse era stata una premonizione del futuro, o forse solo un sogno senza senso, in un sonno dovuto all'insonnia del giorno prima, del giorno prima; fatto sta che Emanuela non dimenticò mai quell'incubo orribile, che metteva in guardia l'umanità tutta da un destino possibile, evitabile solo attraverso il senno e la ragione.

lunedì 14 dicembre 2009

Son io o son loro?

In attesa del prossimo racconto (che arriverà a brevissimo), posto qui sul blog un'altra poesia di quelle più tristi. Questa è stata una tra le prime che ho scritto, ormai mesi fa, ma che (inutile ripeterlo) abbastanza spesso la sento di attualità (anche se forse è esagerata rispetto alla verità). Spero comunque sia di gradimento

Son io o son loro?

Ogni tanto mi pare di trovarmi in quella barzelletta
In cui la moglie telefona al marito per avvertirlo
Che c’è un pazzo in contromano, senza sapere
Di star parlando proprio con questo.

Ma in ciò che provo io
Non c’è proprio nulla di comico
Il mondo ai miei occhi pare
Totalmente sbagliato.

Non esiste la felicità, qui
Solo ipocrisie e sopraffazione
E posso solo pensare che questo pianeta
Sia un errore da cancellare dall’universo

sabato 12 dicembre 2009

Decadenza

Dopo oltre un mese e mezzo dal mio ultimo racconto, nel quale ho avuto poco tempo ed energie mentali per concepirne uno, sono tornato a scriverne uno. Tutto è cominciato da un sogno che ho fatto qualche tempo fa (quest'estate, se non erro), in cui ho immaginato questa specie di "parcheggio sotterraneo" pieno di persone, e delimitato da una zona tanto luminosa da risultare impenetrabile, semplice bianco che si stagliava nella semioscurità di quei luoghi. Le mie vicende personali mi hanno poi portato ad essere sempre più critico e sfiduciato nei confronti della maggior parte del genere umano, fino a che queste sensazioni mi hanno spinto a inserire, nella base del sogno (che di per se non aveva praticamente nulla di negativo), un racconto disincantato e illuso, una metafora della società moderna quasi caricaturale, visto che le sue tendenze negative sono amplificate all'estremo, ma che non per questo è troppo lontano dal descrivere il degrado morale e materiale del mondo che ci circonda. Il finale, infine, è enigmatico, non significa nulla in particolare se non quello che ognuno gli da; detto questo, spero solo che sia di gradimento.

Decadenza

Un enorme zona coperta. La Struttura era questo, un soffitto immenso sorretto da pilastri di cemento armato spaziati quella quindicina di metri che bastava per rendere l’ambiente arioso e dare una sensazione di spaziosità. Era quello che gli uomini conoscevano, quell’ambiente, per loro non c’era altro. D’altronde, ai limiti della quasi infinita zona coperta, si vedeva la luce, talmente intensa da accecare, di giorno, mentre di notte pesanti porte di metallo si chiudevano a coprire mentre le lampade interne alla struttura si affievolivano sempre più, fin quasi a spegnersi. Andare fuori per gli uomini era una cosa priva di senso, oltre che rischiosa, fuori c’era l’ignoto, il pericolo, lo sapevano tutti; ma anche se così non fosse stato, era proibito categoricamente uscire, pena la morte. Nella Struttura, ognuno aveva ciò di cui aveva bisogno: un quadrato delimitato da quattro colonne da condividere con la propria famiglia, che aveva sbocco su una dei quadrati che non ospitavano famiglie, una strada, insomma. All’interno di ogni quadrato, c’erano i letti dei familiari, il tavolo dove apparivano, due volte al giorno, dei piatti pieni di cibo, ogni volta diversi, e i servizi igenici. Nessuna privacy di alcuna sorta, tutto si svolgeva sotto gli occhi dei vicini, ma agli uomini di questo nulla importava: bastava che la “casa” fornisse loro, oltre al cibo, l’alcol e gli oppiacei di cui avevano tutti bisogno, e che ogni uomo potesse dare adito ad ogni istinto non danneggiasse le altre persone. Si vedevano spesso crudissime scene di sesso senza alcun ritegno, orge, vandalismo a non finire contro gli oggetti; niente violenza, quella poca che c'era era severamente punita dalle forze dell'ordine, ma questo non rendeva quel mondo meno marcio e meno decadente. Ad ogni angolo della strada, qualcosa bruciava oppure emanava fetidi odori, i rifiuti erano dappertutto nelle strade ed i robot addetti non riuscivano a pulire quasi nulla, l’odore di quei luoghi era mefitico. Gli uomini erano però abituati a quella situazione, e non ci facevano caso, anzi ignoravano tutto e passavano il loro tempo tra un rapporto sessuale, una tirata di oppio, un’ubriacatura e soprattutto la visione di programmi televisivi, programmi tutti incentrati su reality shows tenuti da altra gente della struttura oppure di dibattiti su qualsiasi tema. Si era perso tutto, la ragione, le emozioni, i sentimenti, l’arte, la cultura, la conoscenza, tutto, solo gli istinti più bassi contavano, in quel luogo.

Un giorno, però, qualcosa accadde. Un ragazzo, figlio di una famiglia come tante altre, iniziò a sentire che c'era qualcosa che non andava, in tutto quello. Cominciò a riflettere, e più rifletteva più capiva che tutto quello era profondamente sbagliato. A diciotto anni rifiutò di compiere l'iniziazione all'oppio e all'alcol, tradizione umana fin dall'inizio dei tempi, generando scandalo in tutto il quartiere. Da quel momento in poi, per questo e per tutti quei suoi modi di fare contrari alla norma e al comun vivere, era da tutti deriso, insultato, e continuamente infastidito. Era triste, quel ragazzo, una persona molto triste, e spesso, sotto le coperte, unico luogo in cui nessuno lo vedeva, piangeva lacrime amare. Vedeva la gente attorno a se che non provava alcun rimorso a far soffrire gli altri e lui in particolare, e che, senza alcuna emozione tirava avanti; e non capiva perché non poteva essere come gli altri, insensibile al resto del mondo. Nonostante ciò, però, non si vergognava di essere diverso, anzi, ne era stranamente fiero, e non avrebbe mai voluto cambiare per nulla al mondo. A venti anni, lasciò la casa dei suoi genitori, e per qualche anno vagò senza fissa dimora per la Struttura, alla ricerca di un qualcosa di cui non era a conoscenza ma che al quel punto bramava avere. Ovunque andasse, sempre veniva irriso, sempre ciò che pensava gli creava problemi con gli altri. Più visitava nuovi posti, all'interno della struttura, e più la sua delusione aumentava, più il suo disgusto verso le persone cresceva, e sempre più si sentiva perso, come se il mondo non fosse il suo posto. Si sentiva sempre più triste e sempre più solo, e cominciò a pensare e a ripensare alla morte e al fatto che la sua vita fosse orribile ed insensata.

Poi le cose cambiarono, all'improvviso. Per un evento fortuito, conobbe alcune persone che condividevano molte delle sue idee, e che si comportavano in maniera gentile e amichevole, come nessun altro prima era mai stato con lui, e come non ne esistevano, nella Struttura. In breve, si affezionò a queste persone, sentendo crescere un grande affetto per loro, e vedeva che anche essi ricambiavano. Era amicizia, un sentimento che non aveva mai sperimentato, che nel mondo, tranne lì, non c'era affatto. Più passava il tempo con quelle persone in quel posto magico, più la sua sensibilità aumentava, fino a che egli divenne un essere nuovo, un essere amichevole e gentile, che non si chiudeva in se stesso e non era più deluso dagli altri. Allora, le sue attenzioni si rivolsero nuovamente alla Struttura. Con la sua nuova sensibilità, non riusciva a sopportare che la maggioranza delle persone desse importanza a piaceri fugaci e falsi piuttosto che ad una interiorità vera e sincera. Prese così, aiutato dai suoi amici, a esporre le sue idee davanti alle altre persone, sperando di riuscire a convincerle che soddisfare solo i piaceri più bassi è sbagliato e un giusto equilibrio tra emozione e razionalità è la cosa migliore, ma invano. Man mano che passava il tempo, la gente diventava anzi sempre più ostile, finché, l'ultima volta, non venne chiamata la polizia. Mentre i poliziotti sparavano senza pietà sul suo gruppo, uccidendone gran parte, egli fuggì assieme a colei che era la sua migliore amica in assoluto, riuscendo ad evitare miracolosamente le pallottole. Corse per ore senza pause, fino ad arrivare, spossato, al limitare della struttura. La luce era fortissima come al solito, ma lui non aveva più paura: tanto era il disgusto del mondo che aveva alle spalle, che non voleva più farne parte.

Camminando lentamente, uscì assieme alla sua amica. Gli occhi li facevano male, mai nella Struttura si era mai vista una luce così intensa. Attraversò la luce e si spostò in una zona che intuiva essere più adombrata, e poi aprì, lentamente, gli occhi. Il tetto piatto della struttura si estendeva lì davanti, appena visibile con l'oscurità che c'era, mentre la luce era data da un potente faro, che puntava verso il basso. Lì intorno, oscurità più totale, non si vedeva nulla se non quel poco illuminato dal riverbero della fila di lampioni che continuava, circondando completamente la Struttura. Passò qualche ora in cui i due stettero vicino al lampione, discutendo sul da farsi; poi un forte rumore che li fece sobbalzare accompagnò la chiusura delle porte di ferro, e il successivo spegnimento improvviso del faro. Ma l'oscurità non sembrava più così totale, allora. Sopra di loro, il soffitto che sembrava, a differenza di quello della luogo da dove venivano, estendersi all'infinito sopra di loro, si colorava di un azzurro chiaro. Poi, una gigantesca palla di fuoco si levò dall'orizzonte, dipingendo il mondo di colori che i giovani non avevano mai visti, e illuminando un paesaggio fantastico. Sopra la struttura, c'era un verde intensissimo, e così anche a terra, c'erano delle specie di verdi capelli che spuntavano dalla terra, mentre in lontananza si vedevano addirittura altissime colonne rivestite di un abito verde scuro. Era caldo, lì fuori, e non c'era alcuna protezione al di sopra delle loro teste, ma ai due non importava nulla, era così bello quel mondo in cui erano arrivati che a loro non importava. Erano finalmente fuori dalla decadenza materiale e morale della società, fuori dalla portata di ognuna di quelle persone malvagie e stupide, fuori da un mondo che non li accettava. Erano liberi, finalmente.

lunedì 7 dicembre 2009

Esperimento fallito

Come avrete potuto vedere, dopo nemmeno un mese ho tolto gli avvisi pubblicitari dal mio blog. Il fatto è che il mio account Adsense è stato disattivato senza un apparente motivo, e senza comunicarmi uno straccio di ragione plausibile, e la cosa mi ha fatto arrabbiare. Invece di chiedere spiegazioni, ho tolto tutte le pubblicità, e di questa storia non se ne riparla mai più (sono fatto così, del resto, non posso farci nulla).

mercoledì 2 dicembre 2009

Pronto il sesto capitolo

Ho concluso la scrittura del sesto capitolo del mio romanzo, e come al solito vi invito a richiederlo a me (via mail o nei commenti del blog) qualora ne abbiate voglia, come potete richiedere gli altri se li avete persi. Quest'ultimo capitolo è brevissimo, il più breve che abbia mai scritto, ma è importantissimo ai fini della storia. Spero comunque sia di gradimento.

P.S. mi scuso per aver prodotto così poco nuovo materiale, ultimamente. Spero di riuscire a ricominciare a produrre, a breve.

martedì 24 novembre 2009

Freddo e lacrime

Posto una poesia scritta qualche mese fa, ma abbastanza d'attualità per quanto riguarda il mio stato d'animo. E' la mia classica poesia triste, a cui ormai sarete abituati, anche se questa è tra le mie preferite, almeno per i miei gusti: ma il giudizio finale, come sempre, spetta a voi, miei pochissimi e fedeli lettori.

Freddo e lacrime

Davanti a odio, disprezzo
O guasto che le persone
Mi arrecano quotidianamente
In modo volontario o no
Non riesco a reagire

Mi chiudo dentro me stesso
E sprofondo da solo
Senza volerlo
In un tunnel di tristezza.
La volontà di vivere mi abbandona
E nulla mi provoca gioia
Per quanto allegra essa sia

Ed alla fine
Tutto ciò che mi rimane
In quei momenti
È questo E null’altro:

Freddo all’interno
E lacrime fuori

giovedì 19 novembre 2009

E allora che sia!

E' passato un mese da quando ho domandato a voi miei lettori, con questo post, se era o meno da prendere in considerazione l'idea di mettere le pubblicità su questo sito perché io possa guadagnare qualche soldo. Non mi sarei mai aspettato un unanimità di pareri affermativi, anzi sarei stato meno sorpreso in caso la maggioranza si fosse espressa negativamente, ma così non è stato. Perciò, nei prossimi giorni (probabilmente domani), in questo blog appariranno le pubblicità di Google Adsense. Grazie comunque a tutti quelli che mi hanno dato il loro parere.

martedì 10 novembre 2009

La mia terra natale

Una premessa è d'obbligo: questo componimento è nato qualche giorno dopo un dialogo che ho avuto con la mia mica Sara (quella dell'ultimo racconto), che mi (e si) chiedeva se io fossi in grado di scrivere poesie che non fossero per forza tristi. Il risultato è questa poesia: secondo me non è un granché, e non credo di essere capace di scrivere cose del genere, ma il giudizio definitivo, come al solito, spetta ai miei lettori, aspetto quindi almeno qualche parere (almeno il tuo, Sara :) )

La mia terra natale

Pendii e verdi distese
Di erba alta e soffice
Campi che si colorano
Di giallo e verde d’estate
E magnifiche foreste
Piene di Vita.

Spettacolo selvaggio
E bellissimo
Vera meraviglia
Del mondo intero

Qui sono nato
Qui voglio vivere
Perché l’emozione della natura
Così libera e selvatica
Da null’altro averla potrò.

giovedì 5 novembre 2009

Romanzo: pronto il capitolo numero 5

Ho finalmente terminato la scrittura del quinto capitolo del mio romanzo ancora senza un titolo. Anche questo, come il precedente, è abbastanza "di transizione", ovvero è in gran parte descrittivo, mentre di azione ce n'è poca. Almeno però mi sono divertito a descrivere ed inventare la religione Dualica, almeno in alcuni suoi aspetti molto pittoreschi. Spero comunque sia di gradimento, a chi me lo chiede; chi si fosse perso i primi 4 capitoli, può altresì richiedermeli nei commenti.

mercoledì 28 ottobre 2009

Perduta nella Sala del Crepuscolo

Ecco qui il mio nuovo racconto, dedicato stavolta a Sara "Lady Irian", colei che mi corregge, da un po' di tempo, anche gli altri racconti (e lo ha fatto anche con questo). Il racconto è un fantasy a tinte dark, e credo sia il mio racconto più lungo, oltre ad essere uno di quelli migliori, a mio avviso. Il titolo è ovviamente una traduzione di "Lost In The Twilight Hall", uno dei miei brani prediletti dei Blind Guardian. Spero sia comunque di gradimento.

Un ringraziamento a Bompa per la sua consulenza su Halo.

Perduta nella Sala del Crepuscolo

Quella serata era stata molto piacevole per Sara. Prima si era rilassata suonando il suo amato basso, improvvisando per circa mezz’ora. Successivamente, si era messa al computer a gironzolare per internet, sostenendo una gradevolissima conversazione in chat col suo amico Mattia, che, tra le altre cose, le aveva detto che avrebbe compiuto un gesto carino nei confronti dell’amica: aveva deciso di scrivere un racconto breve con lei come protagonista, cosa che aveva già fatto con molti dei suoi amici più stretti. Un racconto! La ragazza ne era davvero felice, sarebbe stata un’eroina di una storia, e la cosa la rendeva euforica ma anche un pochino ansiosa. Alla fine della chiacchierata era arrivato Marco, un altro suo grandissimo amico, che le aveva proposto di giocare assieme ad Halo on-line, sulla sua Xbox360. Da grande amante di quel videogioco lei aveva accettato, entusiasta, e nonostante la giornata fosse stata stancante e lei avesse abbastanza voglia di riposare, era entrata nel videogioco. Come diceva sempre il suo amico, la sua bravura era nella media, ma visto che giocava con esperti come era lui, non riusciva ad ottenere grandi risultati; ed infatti quella sera era arrivata quasi sempre ultima. Poco male, comunque, si era divertita moltissimo lo stesso, e del resto l’importante era proprio quello. Aveva parlato con i suoi amici virtuali, aveva fatto un numero di kill abbastanza buono rispetto al solito, e stava passando davvero una buonissima serata.

Erano quasi due ore che giocava senza sosta, e visto che aveva un po’ di sonno e le palpebre cominciavano a diventare pesanti decise di andare un momento in bagno a rinfrescarsi il viso. Entrò, e cominciò a sciacquarsi la faccia; ad un certo punto però, colse qualcosa di strano con la coda dell’occhio. Si tirò su di scatto dal lavello, ma non vide altro che la propria immagine riflessa nello specchio del bagno. Tuttavia qualcosa le sembrava diverso lo stesso: la sua immagine riflessa era luminosa, troppo luminosa per la fioca luce del bagno, sembrava quasi finta per quanto era illuminata,quasi come se lo stesso specchio stesse emettendo luce. Con la sua solita perspicacia, capì che qualcosa non andava, così si avvicinò alla superficie riflettente. Vista da vicino, sembrava ancora più bislacca, così Sara, incuriosita, avvicinò un dito e la toccò delicatamente, ritraendosi subito dopo subito. Con grande sorpresa, dal punto toccato si irradiarono delle piccole oscillazioni concentriche, come quelle che si formano gettando un sasso in acqua, che si estesero a tutto lo specchio, fino a scomparire oltre il bordo. La cosa era strana, ed allarmante per certi versi, ma la ragazza si sentiva stranamente euforica; non sapeva perché, ma quello stranissimo oggetto non le suscitava alcun timore, l’unica cosa che provava era curiosità. Si riavvicinò e provò a inserire tutta la mano nello specchio. Era una sensazione stranissima, sentiva come se la sua mano fosse asciutta e bagnata allo stesso tempo, oltre a provare un curioso sentore di tiepido. Vide che la superficie era di nuovo agitata, continuamente si generavano piccole onde dal suo avambraccio fermo; poi, senza alcun preavviso, l’arto le fu strattonato molto energicamente, al punto di farle male, da una forza misteriosa, e la ragazza venne trascinata all’interno dello specchio.

Si ritrovò, chissà come, in un immenso ambiente di cui non si vedevano le pareti, tanto sembrava largo, e certo il buio che in quel luogo dominava quasi incontrastato non aiutava. In mezzo, a intervalli regolari, vi erano file interminabili di gigantesche colonne di marmo completamente lisce, tanto grandi che sarebbero servite diverse persone per abbracciarne una, che si innalzavano fino ad un soffitto che la semioscurità mascherava dietro una cappa nera impenetrabile. Dopo un attimo di stordita contemplazione, Sara si girò, e vide che dello specchio da cui era entrata non c’era traccia, era completamente sparito. Dalla posizione accucciata in cui si era ritrovata, si rialzò, e un brivido le percorse la schiena: il tiepido che aveva provato aveva lasciato spazio ad un freddo non troppo intenso, ma che riusciva comunque a scuoterla leggermente e a farle battere i denti. I suoi occhi si stavano però abituando al buio, e dopo qualche minuto di incertezza decise di muoversi; là vicino, intravide che a terra c’era una specie di telo, o una grossa bandiera. Si avvicinò, lo raccolse, e al fioco riverbero presente lì, una luce gelida che nulla aveva di naturale, poté leggere chiaramente le parole ricamate su quel vessillo: “Sala del Crepuscolo”. Al momento, però, la sua principale volontà era quella di scaldarsi, e la curiosità che aveva avuto in precedenza era sparita, così si avvolse nel panno come in una coperta e si avviò a passo lento, cercando una via di uscita da quelle oscure aule.

Il senso del tempo lì sembrava non sussistere, così lei continuò a camminare, e ad avanzare, prima ottimista poi con una crescente disperazione. Sentiva che i minuti diventavano ore, che le ore diventavano giorni, e che i giorni diventano settimane, e nonostante il suo corpo non avvertisse nulla, nemmeno un accenno di fame e di stanchezza era perfettamente consapevole del passare inesorabile del tempo, in una maniera che mai aveva sperimentato prima. Avanzava e avanzava, ma non sembrava muoversi, la sala era sempre uguale, le stesse enormi colonne e la stessa luce soffusa, e non se ne vedeva mai la fine. Era consapevole di un intero mese passato lì dentro quando, finalmente, decise di fermarsi. Non sentiva ancora la benché minima traccia di fatica fisica, solo non aveva più voglia di avanzare nell’ignoto e nel buio, aveva perso la speranza di trovare un’uscita. E fu proprio allora, che notò, in fondo alla sala, un debole bagliore, come un aurea di luminosità diffusa; poi da dietro la fila di colonne che le occupavano la vista spuntò un piccolo lumicino, che si spostava lento attraversando trasversalmente la sala. Sara si tirò su di scatto e cominciò a correre più veloce che poteva verso la luce, speranzosa di aver trovato finalmente la via d’uscita. Volò come con le ali ai piedi, senza nemmeno accorgersi che la luce si era fermata, e poi ancora, finché con sua grande sorpresa non si trovò a fronteggiare un uomo. Dimostrava circa quaranta anni, era alto, con dei lunghi capelli neri che gli arrivavano fino a sotto il collo e la faccia pulita e ben rasata; indossava una lunga tunica a coprire il corpo, e nella sua mano destra fiammeggiava una torcia. Sulla faccia, aveva dipinta un’espressione di sano stupore, come se non avesse mai visto una ragazza in vita sua. A lei però non importava, era troppo rinfrancata, così salutò l’uomo e gli chiese cosa fosse quel luogo, ed egli rispose dicendo semplicemente di seguirlo, in una lingua che mai lei aveva sentito ma che, misteriosamente, riusciva a comprendere e, con sua grande sorpresa, pure a parlare inconsapevolmente.
Camminarono lentamente fianco a fianco per qualche minuto, prima che l’uomo decidesse di aprire bocca. Però dopo fu molto loquace: le disse che si chiamava Akhet, e che era l’ultima persona rimasta nella Sala del Crepuscolo da moltissimo tempo. Quando la ragazza gli chiese informazioni su quel luogo, apprese con meraviglia che era antichissimo, almeno cinquemila anni, ma probabilmente molto di più. Il racconto di quel personaggio si rivelò tanto bello e interessante quanto inverosimile: la Sala era, nelle sue evocative parole, un mondo parallelo a quello “normale”, al quale solo gli uomini potevano accedere. Le regole che vigevano lì erano molto diverse da quelle che comunemente gli esseri umani sperimentavano: la Sala era di dimensione infinita, ma si poteva, almeno anticamente, arrivare nel punto che si voleva semplicemente desiderandolo. Anche le persone erano diverse, là dentro: non c’erano morte, ne sofferenza, non si aveva bisogno di mangiare ne di dormire, si era come esseri di puro spirito, e il corpo era solo una specie di accessorio. Ogni anima, inoltre, poteva imparare ad espandersi e a generare ciò che voleva, in quei luoghi la magia era realtà, e lui si dimostrò orgoglioso quando la giovane, sbalordita, lo etichettò come “stregone”. Poi continuò, raccontando la storia della Sala: un tempo era un luogo bellissimo, illuminato sempre di azzurro tenue e non troppo intenso di giorno (a questa luce doveva il riferimento al crepuscolo nel suo nome), con la volta che imitava il cielo, con tanto di nuvole; e la notte il buio non dominava, si potevano vedere stelle nemmeno immaginabili sulla Terra, e senza alcun telescopio ne astronave si potevano vedere i pianeti intorno ad esse, viaggiando attraverso lo spazio con la mente. Certo, tutto ciò non era aperto a tutti, e solo i più saggi tra gli uomini potevano accedervi. Si entrava attraverso uno specchio magico che appariva ai meritevoli, dopodichè, una volta entrati, non si poteva più uscire; poco male, comunque, visto che quel luogo era una specie di paradiso dove ognuno poteva avere ciò che desiderava, ciò che voleva, ciò che amava, poteva perfino ricreare, attraverso un incantesimo, le persone che aveva lasciato nel mondo reale. Ad un certo punto, però, era successo qualcosa di strano e di terribile: i Saggi cominciarono, prima raramente poi sempre con più frequenza, a impazzire e morire uno dietro l’altro misteriosamente. Lo specchio di entrata, che prima appariva tanto spesso non si fece più sentire (l’annuncio dell’arrivo di un nuovo Saggio faceva con molto rumore, per far si che tutti gli altri potessero dare il benvenuto) ne vedere, e la popolazione della Sala diminuiva sempre più: e a questo si accompagnava un progressivo oscuramento, che alla fine condusse a quella oscurità quasi completa, senza differenze tra giorno e notte, insieme ad una sensazione di freddo che, in circostanze normali, mai nella sala era stata avvertita. Akhet ormai era l’ultimo rimasto, nonché l’unico ad aver capito cosa stava succedendo: qualcosa di terribile, che lui chiamava “Il Male Supremo”, stava pervadendo la sala; quel qualcosa prendeva la Sala e ogni cosa fosse ferma, ma bastava essere sempre in movimento, camminare sempre, per non farsi trovare da esso. Erano ormai passati 4000 anni da quando lo stregone era rimasto da solo, e non si era quasi mai fermato. Alle preoccupazioni di Sara, che sapeva quanto la solitudine prolungata faceva male, psicologicamente parlando (per quattromila anni, poi!), l’uomo rispose che non doveva temere, che la magia funzionava ancora, là dentro, e che quindi riusciva ancora a creare degli amici immaginari, anche se ultimamente stava da solo molto più spesso, a pensare.

Continuarono a parlare per giorni interi, senza mai fermarsi e senza sentirne il bisogno. Akhet era ignorante, non aveva avuto nessun contatto col mondo nei quattro millenni precedenti, così Sara dovette raccontargli un mucchio di cose. Poi accadde qualcosa di inaspettato, e per certi versi meraviglioso: la ragazza notò uno chiarore in fondo alla Sala. Dopo pochissimo, una luce azzurra pervase per tutto l’ambiente, mentre i due erano costretti a coprirsi la faccia visto tutto quel tempo passato nelle tenebre. Appena si abituò alla luminosità, la ragazza si guardò attorno, ammirata per tanta bellezza: le colonne, con le loro decorazioni invisibili al buio, la volta di un azzurro etereo, l’orizzonte che sembrava tanto vicino da poterlo toccare con una mano. Era una cosa bellissima, ma voltandosi verso l’uomo, vide che era terrorizzato, al limite del panico. Gli chiese cosa avesse e lui, stringatissimo, rispose che non aveva notato, alla luce della torcia, che lei avesse i capelli rossi. Allora, tremando di paura, le raccontò che ogni Saggio impazzito, prima di morire, aveva urlato la stessa inquietante profezia: “Quando la ragazza con la testa di fuoco sarà giunta, Allora l’oscurità diffusa si concentrerà Il mago immortale morrà, trafitto da una punta E per la Sala del Crepuscolo la fine sarà” Fino a quel momento nessuno, nemmeno lui era riuscito ad interpretare questa previsione, che sembrava più una farneticazione senza senso di una persona in preda alla pazzia. Ma ora, improvvisamente, lui aveva afferrato tutto. Aveva capito la metafora sulla “testa di fuoco” per indicare i capelli rossi, e riusciva a comprendere anche, avendone studiato i segreti, come il Male Supremo potesse concentrarsi in un punto, andando a formare un essere di pura malvagità. Sara vide il suo volto contrarsi in un’espressione di cattiveria, e seppe in quel momento che, per preservare se stesso e la Sala , il mago aveva intenzione di ucciderla, in modo da evitare che la profezia si compiesse. Tutto successe in un attimo: Akhet alzò la mano in aria per lanciarle un incantesimo, poi qualcosa gli volò addosso velocissimo, trascinandolo fuori dal campo visivo della giovane. Allora ella aggirò alcune colonne, e poté ammirare il terrificante spettacolo, l’uomo tentò per un attimo di divincolarsi prima di accasciarsi senza vita, mentre il suo petto era trapassato dal gigantesco artiglio di una creatura enorme, nera come la notte e con gigantesche ali da pipistrello. Per un momento, i suoi occhi fissarono intensamente le fessure rosse e luminose che aveva il mostro; poi il panico si impadronì di lei, che incominciò a fuggire, terrorizzata. Corse cambiando direzione molto spesso, ma sentiva sempre la presenza costante di quell’entità maligna alle spalle. Continuò a fuggire, poi, svoltando per l’ennesima volta, si trovò poco distante da quello che aveva tutta l’apparenza di essere lo specchio da cui era entrata. Filò in quella direzione, e riuscì a tuffarsi dentro la superficie argentata e liquida, esattamente un attimo prima che una grossa fiammata la cogliesse in pieno, facendola esplodere in mille schegge di vetro.

Sofferenza! Era una sensazione che non sentiva da tempo, ma tuttavia non era piacevole, il dolore che sentiva al braccio. Tentò di aprire gli occhi, ma era tutto così bianco e luminoso e fu costretta a richiuderli; dopo poco arrivò una figura, e mettendola a fuoco Sara riconobbe sua sorella, con cui abitava, che con un espressione tra il sollevato e il felice le sorrideva. Faticosamente si tirò a sedere, e realizzò che si trovava in un ospedale. Dopo che l’ovvio stordimento le fu passato, la sorella le raccontò che aveva perso conoscenza in bagno, e che i medici le avevano diagnosticato una malattia che dava allucinazioni e svenimenti, ma che era perfettamente curabile in poco tempo e senza pericolo di ricadute; perciò sarebbe dovuta restare in ospedale solo finché l’omero, che si era rotta nella caduta, non fosse almeno un po’ guarito. Dopo pochi giorni, poté tornare a casa, e lì scoprì che era stato necessario sostituire lo specchio del bagno, che lei aveva mandato in frantumi; eppure non aveva riportato nessuna ferita, nemmeno il più piccolo graffietto, e la cosa era davvero strana. Che quella esperienza fosse stata autentica? Non lo avrebbe saputo mai, ma nonostante ciò non dimenticò mai il viaggio attraverso l’oscurità, il mago e il tenebroso dragone che aveva visto, o solo sognato, all’interno della Sala del Crepuscolo.

sabato 24 ottobre 2009

Che le danze abbiano inizio...

... ovvero, oltre a scrivere racconti, poesie, capitoli del romanzo, ho cominciato anche a registrare della musica, di genere dark ambient. Ho usato un microfono molto vecchio quindi la registrazione è molto "amatoriale" e sporca, ma alla fine le canzoni, a mio avviso, non sono poi così malvagie. Riporto questa notizia qui perché, alla fine, questo è il topic dove la mia "arte" (anche se forse è un insulto definirla così) viene mostrata; e questa musica ne fa parte, perciò merita di essere ascoltata da chi vuole apprezzare un'altra sfaccettatura di me. Per chi ne fosse interessato, comunque, può ascoltare le mie canzoni a questo indirizzo, che poi è anche il mio "MySpace ufficiale", per così dire. Non pretendo certo che siano ascoltate, o che piacciano a qualcuno dei miei lettori, ma spero che risultino comunque di gradimento.

mercoledì 21 ottobre 2009

Una raccomandazione ai miei lettori

Una breve comunicazione: inviterei i lettori che commentano i vari post del blog a qualificarsi o in qualche modo a farsi riconoscere, invece di postare commenti anonimi. Lo vorrei non tanto per pignoleria, quanto perché apprezzerei conoscere i miei pochissimi lettori e le loro opinioni, insomma associando un nome a ciascuno. Scusate se sembra una richiesta un po' strana, ma io a certe cose tengo abbastanza.

lunedì 19 ottobre 2009

Pubblicità o non pubblicità? Questo è il dilemma...

E' da qualche giorno che sto riflettendo sulla possibilità di inserire in questo blog le pubblicità di Google Adsense, che mi consentirebbero in questo modo di guadagnare qualche soldo. Non che ne abbia un bisogno disperato, però non sono nemmeno tanto ipocrita da dire che mi farebbero schifo. Però, sono anche combattuto, non vorrei che si pensasse a questa mossa solo per avidità personale, perché io avrei intenzione di utilizzare parte di quei soldi per aiutare delle persone in difficolta... e non dico di più. Ovviamente potrei fare tutto di testa mia, d'altra parte è il mio blog, però mi sembra più giusto ascoltare le opinioni dei pochi lettori che ho prima di prendere qualsiasi iniziativa. La domanda è semplice: va bene che su Hand Of Doom appaiano degli inserti pubblicitari? Potete esprimere la vostra opinione nei commenti del blog, o nel post automatico di facebook, o ancora nel sondaggio che aprirò di lato. Ora attenderò un mese, e dopo questo lasso di tempo, prendendo atto di tutte le opinioni e del risultato del sondaggio, deciderò di conseguenza. A voi, quindi.

domenica 11 ottobre 2009

Ode allo struggimento

Ecco qui una poesia fresca fresca, scritta da me ieri sera. In verità avrei forse preferito postarne un'altra, una che descrivesse magari la cupa e disperata tristezza cosmica che provo in momenti come questo, invece che, come questa, una poesia che parla della solitudine, la quale altro non è che una parte minima di essa. Spero non sia troppo triste, comunque.


Ode allo struggimento


Guardo la gente normale amare,

Riempirsi di dolcezza e affetto.

E nel mio cuore si forma un deserto

Che desidera essere foresta

Ma che non ne ha la possibilità


Quasi dolce sei

O struggimento romantico

Che tanti giorni e tante notti

Della mia vita hai pervaso

Grazie a te so di non essere

Ancora impazzito dal dolore


Ma nonostante tutto questo

Io non ti sopporto più

E vorrei morire, o impazzire

Per non dover più, in modo atroce

Affliggermi.

martedì 6 ottobre 2009

Pronto il capitolo quattro

In poco più di un giorno di assenza della rete, senza distrazioni, ho completato il quarto capitolo del mio romanzo. E' un capitolo breve, interlocutorio, "inutile" se si desidera, anche se la parte del sogno, a mio avviso, è molto bella e nemmeno quella del viaggio è male. Lo mando a tutti quelli che mi hanno chiesto il terzo (ovvero una sola persona), e a chi li richiedesse via mail o nei commenti del blog, o via mail.

sabato 3 ottobre 2009

Il messaggio

Come promesso qualche settimana fa, ecco qui il racconto che parla di quell'evento. E' il solito racconto di fantascienza del mio genere, e detto questo non anticipo nulla. Se volete saperne di più... non vi resta che leggerlo.

Il messaggio

Sembrava una sera come le altre, quella del 15 agosto del 1977, al Perkin Observatory dell'Ohio. Era una sera molto tranquilla, o almeno così sembrava, eppure qualcosa stava avvenendo. Controllando il tabulato che il calcolatore che gestiva Big Ear, il grande radiotelescopio dell'osservatorio, il dottor Jerry Ehman vide che c'era qualcosa di veramente bizzarro. In una particolare frequenza dello spettro, il segnale era molto più intenso del normale, anzi, andava quasi oltre la capacità della strumentazione. Appena finito, Ehman era tanto eccitato da cerchiare la sequenza alfanumerica che indicava il segnale, scrivendovi accanto “Wow!”; e il giorno successivo il tabulato venne analizzato. Si vide che il segnale era durato esattamente 72 secondi, il tempo in cui la rotazione del pianeta mostrava e poi toglieva dal campo del telescopio una particolare area del cielo, perciò doveva per forza essere un emissione dall'esterno, non dalla Terra o dintorni; ed era in una frequenza tra quelle più adatte a propagarsi attraverso il mezzo interstellare, nonché una di quelle che era proibita utilizzare per legge, proprio per non interferire con i radiotelescopi. Che cosa poteva mai essere? Lo stesso Ehman non credeva fosse artificiale, era molto scettico che si trattasse di un qualche messaggio da una civiltà extraterrestre, e pensava più in un fenomeno naturale di qualche tipo, una stella particolare o qualcosa del genere.

La strana emissione venne ricercata a lungo negli anni a seguire, ma non si riuscì più a trovarla. Si pensò che poteva proprio essere un segnale extraterrestre, inviato una sola volta, esattamente come l'unico segnale mandato dagli uomini verso le stelle nel 1974; Tuttavia non c’era alcuna certezza scientifica, si potevano fare solo speculazioni, ne si potevano fare verifiche di alcun genere analizzando i tabulati, visto che il Big Ear non registrava il contenuto ma solo l'intensità del segnale che era arrivato. Quando poi nessuno ci stava più pensando, successe di nuovo. A esattamente 34 anni dal primo messaggio, la sera di ferragosto del 2011, il Very Large Array di Socorro, in New Mexico, recepì di nuovo un potente fascio onde radio, dallo stesso punto del cielo da cui era arrivato la prima volta e sulla stessa lunghezza d’onda. In breve tempo i radiotelescopi disponibili vennero puntati tutti nella stessa direzione, appena in tempo per registrare la veloce scomparsa del segnale. Poco male, comunque, il VLA aveva registrato tutto. Il messaggio però era sicuramente in una lingua incomprensibile, e nessuno sapeva come fare a decifrarlo, a capirne il senso. Ci furono dei matematici che ci provarono, comunque, sperando di trovare qualche metodo per scoprire, per trovare qualcosa di simile a delle parole.

Il segnale venne ricevuto a intervalli regolari di 34 anni, per ben altre ventuno volte. Si presentava ogni volta puntuale al secondo, alla stessa ora del 15 agosto del trentaquattresimo anni. Per tutto il tempo, gli scienziati non poterono far altro che registrare il misterioso messaggio senza aver la possibilità di decifrarlo, nonostante ci fossero molteplici studi per tentare di carpirne il contenuto. La ventitreesima volta sembrava come le altre: il 15 agosto del 2725, regolarmente, venne ricevuto la stessa trasmissione. Qualche settimana dopo, tuttavia, successe qualcosa di inaspettato: l’informatico Satoru Nagasawa, quasi più per gioco che seriamente, applicò al messaggio un algoritmo, da lui stesso inventato e usato, tra gli altri, per programmare i computer di ultima generazione, convertendo ogni gruppo di numeri in una lettera dell'alfabeto latino o in un simbolo. Si aspettava che la macchina buttasse fuori una serie senza senso di lettere, invece, con stupore e sgomento, il risultato venne fuori in inglese : “Beware the hydrogen bombs!”, “Attenti alle bombe all'idrogeno!” si ripeteva una decina di volte nel messaggio. Ricontrollò per giorni, cercando un errore nell'algoritmo, un bug nel calcolatore, un qualche scherzo, una qualsiasi falla, ma non trovò nulla: allora, spaventato dal contenuto del messaggio, riferì immediatamente tutto al suo superiore, il direttore della facoltà di informatica di Kyoto. In brevissimo tempo la notizia si sparse per il mondo. Ci furono reazioni diversissime, da chi si diede al nichilismo più sfrenato a chi disse che era un messaggio che metteva in guardia l'uomo; da chi si spaventò a chi ne fu felice. Ci furono episodi gravissimi, da stragi senza senso a suicidi di massa, in ogni parte del mondo, e non solo: la paura invase anche gli ambienti politici. Ci furono grandi discussioni, anche feroci, a livello nazionale e internazionale: alcuni sostenevano che il messaggio non era minaccioso, che non aveva senso mandare una tal comunicazione per secoli senza attaccare, una civiltà intelligente e guerrafondaia avrebbe compiuto un attacco a sorpresa invece che annunciarsi, che invitava solo a non costruire quel tipo di arma; e dall'altra parte c'era chi diceva che era una minaccia, che non si poteva capire la logica o la morale degli alieni, e che per difendersi la Terra avrebbe dovuto armarsi pesantemente. Dopo un anno intero di dialoghi, di scontri, di violenze tra i membri delle due fazioni, la seconda prevalse: e L'ONU, guidato dal neopresidente Paulo Lima Do Santos, esponente di rilievo di quella parte, in una sua storica delibera consentì, senza alcuna limitazione, che gli stati si dotassero di bombe all'idrogeno, poiché si pensava che la stessa arma del nemico lo avrebbe spaventato tanto da fargli abbandonare ogni intento guerresco: a tale scopo vennero inviati varie risposte nel punto dove probabilmente si trovava il loro pianeta. Nonostante le proteste dei movimenti pacifisti, non ci fu nulla da fare, sull'onda della paura ogni stato mondiale che poteva farlo si dotò di bombe H.

Gli anni diventarono decenni, poi secoli. Gli stati si dotavano sempre più di armi a fusione, all'inizio per terrore dell'invasore alieno. Poi la vera ragione venne dimenticata, nessuno ricordava più i messaggi, la cultura di ogni tipo (compreso quella storica) veniva progressivamente meno, sostituita da una esaltazione della forza bruta. L’unico tipo di conoscenza concessa all’uomo diventò presto quella scientifica, ma non nelle modalità del passato, ovvero con una scienza che esplorava e tentava di capire, affascinata dal mondo; al contrario, le conoscenze scientifiche servivano solo per costruire armi sempre più sofisticate. Alla fine, il processo di armamento divenne solo dimostrazione di potenza da parte dei singoli stati, rivolta agli altri, mentre all'interno il nazionalismo dominava ormai sovrano e le libertà democratiche venivano sempre più limitate. In una situazione del genere, non potevano che esserci tensioni internazionali. C'erano sempre i pacifisti che protestavano per la situazione, ma ormai la polizia uccideva i dissidenti senza incontrare nessun problema. La maggior parte del movimento per la pace doveva così rimanere sommerso, nonostante lavorasse incessantemente per porre fine a questa situazione, anche pianificando atti estremi. Il pacifismo non poté però combattere l'inevitabile: e il 14 maggio 2909 scoppiò la Terza Guerra Mondiale. Bastò un test missilistico andato male, che colpì la Cina (senza peraltro causare vittime) invece che il Laos da cui era partito, per causare un incidente diplomatico incredibile: e dopo qualche giorno il mondo, diviso in due schieramenti, entrò in guerra.

La guerra durò pochi mesi, e fu la più distruttiva mai vista. All'inizio del 2810 non esistevano più gli stati, esistevano solo rovine e una nuvola immensa di radiazioni concentrate che si espandeva ormai su quasi tutto il globo. Nella zona ancora non radioattiva, la cui estensione diminuiva sempre più, vivevano ancora degli esseri umani. Uno di loro era Alexei Strogov, un premio Nobel per la fisica che aveva scoperto una tecnica per aprire degli wormhole grazie alla quale, nella sua nativa Siberia, era stato possibile costruire una struttura che consentiva di utilizzare questa particolare tecnologia. Strogov vedeva la fine vicina, la nuvola si allargava sempre di più e presto avrebbe ricoperto tutto il mondo, così decise di utilizzare la struttura come soluzione disperata. L'energia accumulata nelle gigantesche batterie del complesso bastava solo per aprire ventitre wormhole: attraverso di loro avrebbe mandato un messaggio via radio, su una frequenza che non si usava sulla Terra e che quindi sarebbe stata subito riconoscibile dagli altri segnali terrestri. Inoltre, e questo era importante, i messaggi inviati con questo sistema dovevano arrivare prima dell'anno che – dicevano i pochi storici che c’erano nel mondo dopo la corsa alle armi – era quello in cui era iniziato l'armamento, ovvero il 2726. Visto che tutto funzionava bene, il 15 agosto Strogov e il suo assistente mandarono un primo messaggio nello stesso giorno del 2725 attraverso il computer, con un contenuto in inglese e semplicissimo da capire, in modo da risultare subito comprensibile alla gente del passato. Il procedimento per la creazione dello wormhole richiedeva pochi minuti, così quel giorno inviarono per tutte le 23 volte possibili il messaggio a ritroso, con uno scarto di 34 anni l’uno dall'altro invio, in modo tale da distanziarli abbastanza per non sembrare minacciosi, ma abbastanza poco da non essere dimenticati. Passarono pochi giorni da allora ed alla fine la radioattività arrivò anche lì, uccidendo i due scienziati, ormai gli ultimi due uomini rimasti in vita. L'umanità si era autodistrutta. E non per cattiveria o per sete di potere, per una stupidissima incomprensione, unita alla scarsa fiducia nel prossimo e alla paura. Ed è così che la fine venne.

mercoledì 30 settembre 2009

Ateismo in versi

Oggi, 30 novembre, è stata dichiarata (da non mi ricordo bene chi) "giornata mondiale della blasfemia". Non sono il tipo da partecipare a certe cose, tuttavia stavolta prendo la palla al balzo e pubblico questa poesia. E' una delle prime che ho scritto, oltre un anno fa, quindi può sembrare forse immatura; a voi il giudizio.

Ateismo in versi


Come può esistere un Dio,

Padre di tutti gli uomini,

Che fa soffriire in questo modo

Uno dei suoi figli?


Come è possibile che un essere superiore

Infinitamente buono

Consenta atrocità come quelle

Che caratterizzano ogni singolo giorno

Di questo granello di polvere

Chiamato Terra?


La verità, duro a dirsi

E’ che in questo mondo

Noi siamo soli.


E questo, almeno per quanto mi riguarda

E’ davvero rinfrancante

Così questo figlio di Dio sta soffrendo

Solo per una casualità negativa

E non per il disegno di un essere sadico e incomprensibile.

lunedì 21 settembre 2009

Quanto dolore dovrò mai subire?

Oggi è una giornata un po' triste, per me, per motivi che non sto a dirvi. Senza altri preamboli, quindi, ecco una poesia classica, di quelle tristi, ispiratami qualche mese fa dalla canzone "Scavenger of Human Sorrow" dei Death. Spero non sia troppo triste, comunque.

Quanto dolore dovrò mai subire?

Quanto dolore

Dovrò mai subire?


Ogni giorno è peggio del precedente

Ogni volta succede qualcosa

Di brutto

E io sinceramente non ce la faccio

Più


E continuo a chiedermi

Prima del riposo eterno

Quanto dolore

Dovrò mai subire?

martedì 15 settembre 2009

Segnalazione e segnale

Innanzitutto esordisco dicendo che torno dopo una settimana in cui non ho avuto internet. Anche se nessuno (come prevedibile) ha richiesto il terzo capitolo del romanzo, e quindi nessuno se n'è accorto della mia assenza, volevo comunque segnalarlo.

Ed ora passo al vero argomento di questo post. Pochi giorni fa ho scoperto l'avvenuta di questo evento . In pratica si tratta di un segnale radio captato da un radiotelescopio nel 1977: ad un profano non sembrerà nulla di che, ma anche da scarso conoscitore della radioastronomia quale sono (a Padova ci specializzano solo ed esclusivamente in astronomia nel campo del visuale/infrarosso/UV) riesco a capire molte cose. In primis, a meno di errori gravi, non è un segnale di origine terrestre, essendosi comportatocome un punto appartenente al sistema delle stelle fisse; la frequenza su cui è stato, inoltre, è "proibita" per i trasmettitori terrestri, in quanto è una frequenza su cui si compiono osservazioni astronomiche, e l'utilizzo accecherebbe i radiotelescopi. Infine, questo segnale non è mai più stato rilevato, come se fosse stato inviato una sola volta: stessa cosa successa per il messaggio umano verso le stelle, nel 1974, da parte del progetto SETI.

Questi sono i fatti. Ma voglio entrare ora nel campo della speculazione, che nulla ha di scientifico ma comunque è estremamente affascinante... come è affascinantissimo l'ipotesi che il segnale possa avere una qualche origine intelligente. La statistica è sicuramente a favore della presenza di vita extraterrestre, ma fin'ora non c'è la benché minima prova che essa effettivamente esista. Possibile quindi che questa sia la prima prova? Si, ma non certo, visto che il segnale non è stato "salvato" ma se ne è solo misurata l'intensità, non lo sapremo mai, purtroppo.

Comunque, arrivando al punto, l'evento mi ha incuriosito molto. Per questo ho deciso di partire da esso per scrivere un racconto, uno dei miei soliti racconti. Lì faccio un ipotesi per l'origine del segnale davvero... strana! Sarà il solito racconto di fantascienza, comunque, quello del tipo che non piace assolutamente a nessuno.

P.S. è un post scritto di fretta, scusate se non ha molto senso.

lunedì 7 settembre 2009

Facebook

Ho dimenticato di avvertire voi pochi lettori di una cosa importante: da oltre un mese il mio blog è su facebook. Questo significa che i miei post vengono pubblicati anche sul mio profilo, e sono leggibili pure lì. Da lì si può anche commentare, ovviamente, anche se i commenti non si traducono in commenti sul blog. Tutto qui, era solo per avvertire.

Pronto il terzo capitolo

Ieri sera ho finito di rivedere e correggere il terzo capitolo del mio romanzo. Se mi ci è voluto tanto per scriverlo è perché in parte ho avuto poco tempo adatto per farlo (ovvero tempo libero con un'atmosfera calma e abbastanza ispirazione), ed in parte perché questo è stato un capitolo molto difficile da scrivere, per motivi che non vi sto a dire. Chi fosse interessato può chiedere questo terzo capitolo tramite commenti, qui o su facebook, oppure tramite mail. Gli arriverà una mail di risposta con il racconto. Chi si fosse perso i primi due capitoli può ugualmente richiederli, e consiglierei anche a chi li ha ricevuti di farseli reinviare, visto che li ho cambiati in modo importante.

venerdì 4 settembre 2009

Il sonno della ragione...

Ultimamente, se ne sentono di tutti i colori, nel dialogo politico/popolare: chiunque, clericale o no, da destra come da sinistra, critica la laicità anche aspramente o travisa il significato di questo termine (o più spesso tutte e due). Ultimo caso, cronologicamente parlando, è quello di Dino Boffo, ormai ex-direttore dell'Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani. Non nego che fino a stamattina, finché non ho letto le sue dichiarazioni, egli mi stava, in qualche modo, simpatico: era un vittima del Giornale e di Berlusconi suo proprietario, che lo attaccava pesantemente solo perché Avvenire aveva a suo tempo criticato la condotta morale del premier (a ragione a mio avviso, non tanto per ciò che Berlusconi ha fatto, per le sue orge che non mi fanno ne freddo ne caldo, quanto perché uno che fa certe cose e poi si erge a difensore della morale cristiana più becera lo giudico un poco di buono oltre che un grande ipocrita), e anche delle gerarchie cattoliche, che non volevano inimicarsi Berlusconi. Per questo, Boffo aveva la mia solidarietà: ma oggi, egli ha inviato al suo ex-giornale una lettera, in cui da la colpa delle pressioni ad un ipotetico ed inesistente "blocco di potere laicista": come se il Giornale fosse un giornale laico! Come se la chiesa e il premier che hanno la responsabilità di quanto successo fossero laici! Come se fossero i laici quelli che odiano gli omosessuali! Come se fossero i laici, ovvero quelli che si presume pensino con la propria testa, a condannare una sentenza minima per un reato minore e a lodare uno che ha pendenti condanne e processi per centinaia di capi di imputazione gravissimi e che si salva solo per prescrizione e leggi ad personam! Assurdo, veramente...

Tutto questo mi porta ad una riflessione: in Italia ormai al potere c'è un'organizzazione criminosa semi-dittatoriale, che annebbia le menti della gente tramite la TV. Il fatto che si possa dire il tutto e il contrario di tutto, e la maggior parte della gente non se ne accorga nemmeno, mi ricorda tantissimo una sorta di bispensiero Orwelliano inconsapevole, un sonno delle menti. La laicità viene citata per indicare il contrario di ciò che è, o altrimenti viene insultato, la chiesa chiude un occhio sull'ipocrisia del governo e del premier, ed il papa non perde occasione di attaccare gli atei ed il laicismo, cose certamente meno gravi, la democrazia viene smantellata lentamente ma inesorabilmente e c'è perfino chi acclama coloro che stanno facendo tutto questo. E poi si chiedono pure perché c'è tutta questa "fuga dei cervelli" (a cui ho intenzione di prendere parte dopo il dottorato): chi ha un cervello certe cose non le può sopportare, e se non ha il carattere o la possibilità di combatterle, è costretto ad andarsene.

"Il sonno della ragione genera mostri" diceva Goya. Se tutto questo non è una prova quasi scientifica di questa affermazione, poco ci manca.

P.S. scusate se il post è un po' "caotico", ma l'ho scritto sotto l'onda della rabbia e della fretta

sabato 15 agosto 2009

Il tiranno dei mondi

Come potete vedere, questo blog, pure se sembra "andare a rilento" non si ferma nemmeno a ferragosto. Questo è il nuovo racconto che ho scritto in solo un giorno, e che quindi potrebbe sembrare un po' frettoloso nello stile. E' un racconto di fantascienza, di quelli che mi piace tanto scrivere (e leggere), e come trama (e come intento "moralizzatore") si avvicina molto al racconto "La sciagurata fine della civiltà umana", anche se nelle mie intenzioni doveva essere qualcosa di leggermente diverso. Il titolo è un ovvio tributo al romanzo "Il Tiranno Dei Mondi" di Isaac Asimov, uno degli scrittori che amo di più, e ci sono anche grossi riferimenti all'ottimismo Asimoviano per quanto riguarda la colonizzazione dello spazio. L'ottimismo tuttavia è assente da questa sorta di favoletta morale, che da una situazione idilliaca peggiora sempre più, fino alla tristissima conclusione. Alla fine ho provato a scrivere un racconto decente: ci sono riuscito? A voi, miei pochissimi lettori, il verdetto.

Ringrazio Lady Irian che mi ha aiutato a correggere i piccoli errori di ortografia e di distrazione che ho fatto in questo racconto: il suo aiuto è stato molto prezioso.

Il tiranno dei mondi

Nel ventisettesimo secolo dell’era volgare l’umanità si era lasciata alle spalle molte cose che l’avevano ostacolata durante la sua precedente storia. Nazionalismo, religioni rivelate, razzismo, superstizione, la stessa economia di mercato capitalista, erano stati abbandonati dal mondo intero, oramai, e nel mondo aveva un dominio quasi totale il razionalismo. La tecnologia era al suo servizio, ed insieme avevano risolto il sovraffollamento, la povertà e la fame, e nel mondo dominavano ormai prosperità e ricchezza. Era una specie di paradiso terrestre, la felicità dominava, e nessuno, grazie al sistema educativo che fin da piccolissimi era volto alla ferrea educazione civica e morale, tentava nemmeno di limitare la libertà altrui. L’uguaglianza democratica era ormai diventata perfetta, non c’erano più discriminazioni di sorta ,e il torbido era completamente scomparso dal mondo. Certo, non era poi così paradisiaco, c’erano ancora degli scontri tra persone, ma si risolvevano col ragionamento e col dialogo; violenza o insulti erano quasi scomparsi da tempo, ed erano giudicati ormai cose deplorevoli e assolutamente da evitare. Senza pensieri e senza ansie, l’uomo passava il tempo a sognare, a ragionare, a dialogare, e non solo: la mancanza dell’economia, ossia l’assenza di un tetto di spesa per qualsiasi progetto, aveva consentito giganteschi passi in avanti nel campo della tecnologia, specie in quella spaziale. La Luna ormai era piena di installazioni umane e di attrazioni, era quasi un centro di villeggiatura, e Marte era stato terraformato, e l’intero emisfero sud del pianeta, l’unico non coperto dall’oceano che si era formato, era ormai abitato. C’erano colonie quasi autonome (tranne per la fornitura d’ossigeno) su Cerere, su Ganimede, su Io e su Titano, ed erano in fase di progettazione anche basi su Callisto e sui ghiacci di Europa. Ma il vero capolavoro dell’ingegneria era la Luna Cava, una gigantesca sfera che ruotava su se stessa per simulare la gravità, e orbitante intorno a Venere. Era un vero gioiello, orgoglio della intera civiltà umana. Si stavano inoltre sperimentando alcuni metodi per viaggiare velocemente attraverso le stelle, per poter così finalmente esplorare la galassia, e la curiosità umana viaggiava al massimo.

Una piccola frazione di persone però non condivideva questo clima spensierato e bellissimo: sotterraneo, covava ancora il germe dell’irrazionalismo. Esisteva in particolare un movimento clandestino, il M.I.M. (Movimento Irrazionale Mondiale) che tentava, anche in maniera violenta, di sovvertire la razionalità. Era composta quasi interamente da gente dotata di un intelligenza inferiore alla media: ogni tanto, nonostante la selezione genetica degli embrioni, usciva comunque una persona con quoziente intellettivo sotto allo standard di 100, inspiegabilmente per i genetisti. Questi individui, ad ogni modo, non erano discriminati in alcun modo, e la maggior parte di loro riusciva bene nelle scuole, ma nonostante questo essi avevano scarse capacità di ragionamento, come divenne chiaro in alcuni test sociologici. Dato che ormai lo scientismo era talmente sicuro da risultare poco più che banale, nemmeno essi lo mettevano più in discussione, anzi lo prendevano a modello. Ciò che contestavano era la razionalità, il fatto che non fosse possibile, col semplice ragionamento, arrivare ad una morale universale, e questo perché non si poteva usare il metodo scientifico per trovarla: ma, scarsi nel ragionamento com’erano, da queste premesse non riuscivano ad arrivare ad altra conclusione che era inutile avere una morale. Non riuscendo a comprendere il pensare altrui, ed essendo tremendamente invidiosi di coloro che chiamavano sprezzanti “le Teste”, arrivarono a postulare che pensare faceva male, e che il pensiero razionale doveva essere abolito. A loro volta, le persone “normali”, quelle razionali, che pure non avevano alcun pregiudizio legato al loro maggiore intelletto, non riuscivano a tollerare l’atteggiamento degli appartenenti del M.I.M., così aggressivo, arrogante ed intollerante; e per questo, poco dopo la sua creazione il movimento era stato dichiarato illegale

Accadde che divenne leader del M.I.M. una persona furba e molto capace a recitare, per quanto poco intelligente quanto i suoi compagni. Come si chiamasse veramente non lo ha mai saputo nessuno, ma si faceva chiamare Stephan Eliah Energy, anche se tutti lo chiamavano Steel, contrazione dei due nomi ma anche “acciaio” come la tempra che dimostrava, e che non era altro che pura finzione. Insospettabile, di bell’aspetto e con una buonissima memoria, era persino riuscito a prendere una laurea in fisica, ma ad un certo punto della sua vita decise che non gli bastava, nonostante fino ad allora non gli interessasse altro che la fisica teorica. Nascondendo la sua appartenenza al M.I.M., venne ammesso nel programma per entrare politica. Mentendo spudoratamente sulle sue stesse opinioni e intenzioni, e grazie anche alla facilità con cui in quei tempi si poteva fare carriera in politica, riuscì in breve a diventare un personaggio di spicco del partito nel quale si era inserito. Steel sapeva fingere benissimo, e si atteggiava a difensore imperterrito della razionalità nel mondo; inoltre era suadente e catturava le masse col suo grande carisma, anche se in realtà egli nel profondo non sopportava la compagnia e odiava le persone. In effetti, non aveva mai avuto un amico stretto, e aveva avute molte brutte esperienze con la gente, senza riuscire mai a capire che il problema non erano gli altri, ma il suo carattere egocentrico e intollerante, al limite del più bieco autoritarismo. Grazie alla sua abilità di attore, negli anni a seguire, Energy guadagnò sempre più consensi, finché non fu eletto Presidente della Confederazione Terrestre a maggioranza schiacciante.

Nei primi tempi si comportò esattamente come aveva fatto prima dell’elezione. Promulgò alcune leggi popolari votate al raziocinio, che qualche membro del Congresso del Sistema Solare gli proponeva, e ne rifiutò altre, senza particolari motivi, dato che non capiva il senso di ciò che faceva; ciò nonostante riuscì a non farsi scoprire. In effetti, sembrava un governatore come un altro; ma in segreto già preparava un colpo di stato. Iniziarono a scomparire inspiegabilmente giovani aitanti, sui pianeti colonizzati, senza lasciare traccia, prima in piccolo numero, poi sempre di più: venivano portati nell’unica base umana costruita in segreto su Callisto, e lì condizionati mentalmente e dolorosamente, per diventare soldati e schiavi, incapaci di provare emozioni e di ribellarsi, creati con l’unico scopo di obbedire agli ordini. Tutta l’operazione era clandestina, nessuno con un minimo di etica avrebbe mai approvato una cosa del genere, ma Steel non aveva scrupoli morali, non aveva coscienza, e quindi a lui non interessava. Quando il suo mandato di quattro anni terrestri stava per concludersi, convocò una conferenza stampa: mentre le navette partite da Callisto concludevano il viaggio su ogni pianeta o satellite abitato, in perfetta sincronia le une con le altre, ed i soldati sbarcavano prendendo possesso dei palazzi del potere, attraverso la tridivisione il Presidente Energy si rivelava come appartenente al M.I.M., e dichiarava con forza che da quel momento in poi la razionalità sarebbe stata abbandonata, che non aveva nessun senso, e che la suo nuova Tirannia Solare sarebbe stata senza alcuna morale.

Da subito scoppiarono grosse rivolte, anche violente, contro il neo-autoproclamatosi Tiranno: per la maggior parte delle persone il pensiero razionale era molto più importante di ogni cosa, anche a costo di usare metodi non proprio pacifici e ragionevoli. Ma i soldati erano molto ben addestrati, oltre che spietati, e affogarono ogni rivolta in centinaia di litri di sangue. Di fronte agli eccidi, però, sempre più gente si ribellava, nelle colonie come nella originaria Terra, dimostrando un coraggio e un amore per la razionalità fuori dal comune. Preso dall’odio e dall’ira, arrogante come era, Steel decise di bombardare Marte con alcune centinaia di bombe all’idrogeno che aveva fatto costruire violando di fatto il bando delle armi atomiche che resisteva da quattro secoli, e di bloccare completamente ogni viaggio spaziale: le altre colonie sarebbero morte senza più aria respirabile. Per quanto riguardava la Luna Cava, i soldati la tolsero dall’orbita venusiana e la scagliarono in direzione del Sole, prima di distruggere i comandi e di abbandonarla, condannando tutti i suoi abitanti ad un rogo di dimensioni epocali. Una dopo l’altra le basi extraterrestri, senza scelta, si arresero tutte, ma nella sua totale assenza di moralità il Tiranno non volle sentire ragioni, macchiandosi anche di migliaglia di morti per soffocamento. Per quanto riguarda la Terra, forse essa ebbe il destino peggiore: piena di soldati, anche di quelli che avevano abbandonato le colonie prima del blocco del volo spaziale, il mondo originale divenne un inferno. Chiunque fosse o fosse stato in passato un razionalista, o avesse avuto a carico semplicemente un sospetto di questo, veniva internato in degli speciali campi di lavoro, dove veniva sfruttato per il lavoro, torturato e ucciso, insieme alla sua famiglia. Fece rinchiudere perfino tutti i componenti del M.I.M., i quali pur avendolo appoggiato fin lì disapprovavano tutta quella violenza e tutto quel sangue versato, in un ritorno per quanto lieve di coscienza. L’egocentrica e intollerante rabbia del Tiranno non risparmiava nessuno, ne donne ne bambini, ed a lui del resto non interessavano le sofferenze altrui, pieno di sé com’era: tutti coloro che riuscivano a pensare o a ragionare, a fare quello che lui mai era riuscito a fare, dovevano pagarla cara.

In 10 anni, la popolazione del Sistema Solare si era praticamente azzerata, rimanevano solo pochissimi soldati e il Tiranno. Il grosso dell’esercito, aveva eseguito alla lettera gli ordini di Steel, rastrellando la Terra con maglie sempre più strette, finché non rimase più nessuno al di fuori dei campi di concentramento. Poi anche essi si svuotarono, i prigionieri morivano e non venivano più rimpiazzati, ed alla fine rimasero completamente deserti, solo lugubri baraccopoli di cemento piene di scheletri mai seppelliti. A quel punto, però, non c’era più nessuno che lavorasse, nessuno a produrre i beni di prima necessità. I soldati erano condizionati benissimo, non abbastanza però da non sentire la fame, e cominciarono a ribellarsi, uccidendo e venendo uccisi dai loro stessi compagni rimasti fedeli. Ne rimasero solo pochissimi, alla fine, poi anche essi vennero sopraffatti dalla fame. Avrebbero voluto insorgere anch’essi, ma non avevano più la forza di far nulla, e nel giro di pochi giorni morirono di fame. Rimase in vita solo Steel, per una strana ironia del destino. Si era accorto di ciò che aveva fatto, e nei suoi ultimi giorni di vita arrivò a desiderare di non averlo mai fatto, ma in lui non c’era alcun pentimento, nessun senso di colpa, abituato com’era a considerare le persone come spazzatura. Era dispiaciuto solo di non avere più sudditi, non di aver ucciso miliardi di persone. Tra atroci sofferenze e dolori, infine il Tiranno morì come era vissuto, senza alcun rimorso, e il gigantesco palazzo che si era fatto costruire fu la sua eterna tomba. Sulla Terra calava così il silenzio, un silenzio di morte eterno: causato da una sola persona, e dalle sua irrazionale e deleteria mancanza di morale e di ragione, che aveva condotto la civiltà umana alla rovina.

venerdì 7 agosto 2009

Il male all'interno

Mi sono accorto che era parecchio tempo che su questo blog, mio malgrado, non postavo una mia poesia (l'ultima risale addirittura al 6 aprile). Non che non ne abbia scritte, in questi mesi, ma semplicemente, chissà perché, non ho avuto l'impulso di postarne. Comunque, eccone una nuova, triste come al solito, e che seppur scritta qualche mese fa non ha perso nulla della sua attualità. Parla di sofferenza e di dolore, come molte altre; spero comunque sia di gradimento

Il male all'interno

L’oscurità domina
In questa parte del mondo
Il male è ovunque

Non contento di questo
Il male entra anche dentro me
E non fa altro che far danni

Perché bisogna soffrire?
Che motivo esiste?
Perché proprio all’interno della mente?

A queste domande non ho risposta
E continuo a provare dolore.


P.S. mi sono anche accorto che negli ultimi mesi ho postato molto poco, per colpa di impegni e di assenza di internet... pure se adesso ho ancora più impegni di prima, ho deciso di non trascurare più il mio blog, perciò comincerò a postarci più spesso.

domenica 2 agosto 2009

Non ho più parole, solo bestemmie...

Se mi si chiedesse di descrivere lo stato della laicità in Italia dal mio punto di vista "di minoranza" (che poi è una minoranza relativa, visto che secondo fonti autorevoli un italiano su sette è un non credente e questo significa che atei e agnostici superano in numero tutte le altre religioni messe insieme, a parte ovviamente quella cattolica), direi, nello sconforto, "non ho più parole, ma solo bestemmie". Peccato che presto anche le bestemmie saranno proibite: "l'onorevole" Fabio Garagnani del PDL (ma che onore può avere uno che abbassa rispettoso il capo ad un'organizazione a delinquere come è la gerarchia Vaticana?) ha depositato in parlamento una proposta di legge che, nei suoi intenti, ha lo scopo di punire "chiunque pubblicamente offende una confessione religiosa, mediante vilipendio della Divinità, delle persone o dei simboli da essa venerata"(parole della proposta di legge, chi fosse interessato può trovare il testo completo qui). Ora, conoscendo il cattolicesimo più becero, che in pratica è anche quello a cui la nostra intera classe politica (in particolare quella di centro-destra), ed essendo il disegno di legge un po' vago su cosa sarà considerato offesa e cosa no, ho l'impressione che essa sarà usata per i peggiori scopi. Ogni affermazione contraria alla religione cattolica potrà essere "offesa alla religione" con risultati pressoché deleteri: verrà meno così la libertà religiosa, sancita dalla costituzione negli articoli 7 e 19 della nostra Costituzione, quella stessa Costituzione che questo governo non fa altro che calpestare. Se questa legge anticostituzionale passasse, l'Italia diventerebbe un paese teocratico o simil-tale, alla stregua di quei paesi arabi che tanto si criticano. L'aspetto più brutto di questa faccenda è che nessuno ne parla, si scivola verso la teocrazia senza una parola, senza che nessuna testata in rete dedichi all'argomento una sola riga. Per me questo è assolutamente scandaloso.

Comunque, ritornando al precedente discorso, ovvero la Costituzione: per troppo tempo l'attuale governo di centrodestra ci ha sputato sopra. Questa non è altro che la goccia (ma per la sua portata sembra una mezza secchiata) che ha fatto traboccare il vaso. Per questo, adesso, lo scrittore di questo blog prende una posizione netta e chiara: una posizione di assoluta negazione del governo Berlusconi, in ogni suo singolo particolare e rivolto verso ogni suo singolo componente, ovviamente non solo per questo motivo, il quale però ha una certa importanza. Volevo lasciare la politica fuori da questo blog, ma a me sembra abbastanza chiaro che ormai non è più possibile, vista l'attuale orribile situazione.

Infine, una mia riflessione abbastanza dura: ancora si chiedono il perché della fuga dei cervelli, ma io credo proprio di averlo capito. Chi ha un cervello non può sopportare di essere comandato e governato da chi evidentemente non ne è stato dotato dalla natura. E cose del genere, sempre a mio avviso, denotano, oltre ad avidità, sete di potere e assenza di la benché minima morale o coscienza, una quantità molto scarsa di materia grigia. E non sono attacchi personali, almeno non nell'intenzione, sono semplici e amare constatazioni, perché fidatevi, ciò di cui parlo è abbastanza realistico.

sabato 25 luglio 2009

Wiesgarðr

Nuovo racconto scritto da me, dedicato a Marco "Bompa". Ho cercato di fare un racconto diverso dal solito, in bilico tra epico e fantasy. Numerose le fonti a cui mi sono ispirato, pur essendo il racconto originale, dalla primaria e dilagante presenza della mitologia vichinga ai racconti di Howard su Conan il Barbaro, dalla cultura norrena ad alcune canzoni dei Manowar. Spero sia di gradimento, e spero pure che non crei invidia, il parlare di terre ghiacciate quando fuori si toccano i 40 gradi e si muore di caldo.
P.S. conoscerò Marco al Pagan Fest, quindi tra quegli "amici" che ci sono alla fine ci sono anche io, in un hitcockiano cameo.

Wiesgarðr

Marco era da sempre una persona allegra, pure troppo a detta di alcuni suoi conoscenti. Non si arrabbiava mai, prendeva sempre la vita scherzando, e non aveva mai pensieri negativi. Non ci aveva mai riflettuto, a dir la verità: lui prendeva la vita come veniva. Era sempre felice, ma non capiva quanto questo fosse speciale, una cosa che molti altri si sognavano, una cosa rarissima nei giorni moderni. Almeno, non lo capì fino a quel giorno.

30 settembre 2009. Quel giorno Marco aveva programmato le ferie dal lavoro, per andare a Milano a vedere un festival musicale. Il Pagan Fest era un evento in cui avrebbero suonato principalmente band folk metal, creato principalmente per gli amanti di questo genere, come era il giovane. Inoltre in quella edizione, gli headliner erano i Korpiklaani, uno dei gruppi più influenti nel campo del folk, perciò non poteva davvero mancare. Seguì con passione i vari gruppi-spalla che si susseguivano insieme agli amici conosciuti quel giorno nella zona più calma del locale, sorseggiando un boccale di birra; solo con il gruppo principale si sarebbe scatenato e sarebbe andato nella bolgia. Appena il gruppo apparve sul palco, si gettò nel pogo, lasciandosi andare. Le prime tre o quattro canzoni furono normali, se si può parlare di normalità in un pit. Poi però successe il misfatto: mentre la band suonava il cavallo di battaglia Happy Little Boozer, una canzone veloce su cui la bolgia si scatenava, d’un tratto il ragazzo perse l’equilibrio. Per sfortuna, o forse per una strana coincidenza, quelli che gli erano intorno non riuscirono a prenderlo in tempo come succede quasi sempre nel pogo, così Marco cadde a terra e batté violentemente la testa. Il dolore fu sul momento intensissimo, tanto da fargli chiudere gli occhi, e subito provò una sensazione di freddo. Non gli sembrò nulla di particolarmente rilevante, in quel momento, e massaggiandosi la fronte, si rialzò velocemente. Non sentiva più la band suonare, solo silenzio, e chiedendosi cosa stesse succedendo aprì gli occhi. Li dovette subito richiudere: la luce era bianca ed accecante, e gli provocava dolore. Di nuovo, questa volta più gradatamente: e quando li ebbe completamente aperti, si sgomentò di ciò che vedeva. Non era più nel locale, ma in una pianura ricoperta da una coltre bianca che si spingeva oltre i confini di vista. Grossi fiocchi di neve scendevano dal cielo, e la visibilità era molto limitata. Dal punto in cui era, il giovane non riusciva a vedere altro che qualche pino qua e la ed un piccolo laghetto ghiacciato. Come in un sogno, senza sapere cosa fare, si avvicinò allo specchio d’acqua e vi guardò dentro, ma non vide altro che la sua immagine riflessa… ma che immagine! Era sempre lui, ma molto più giovane di quanto si ricordasse, un bambino, si dava al massimo 10 anni. Ora che ci pensava, si sentiva anche diverso, oltre ad apparire tale, eppure non aveva perso alcun ricordo, e tutto gli sembrava un bislacco sogno. Spiazzato e senza sapere cosa fare, ma con il solito ottimismo, Marco si mise in cammino.

Per ore e ore camminò per la pianura, mentre la neve continuava a cadere. Il panorama cambiava veramente di poco, sempre un deserto ghiacciato con solo qualche abete che spuntava qua e la ed ogni tanto una pozza d’acqua congelata. Più volte si accorse di aver incrociato le proprie stesse impronte, ma ciò nonostante non si scoraggiava. Giunse la sera, e poi la notte, e Marco si ritrovò a vagare al buio e al freddo, i vestiti leggeri che lo proteggevano a malapena dal gelo. L’unico modo per non congelare era continuare, imperterrito, ad andare avanti, resistendo. Alla fine, questa strategia risultò vincente: dopo ore, finalmente, nelle tenebre e nella nebbia scorse una debole luce; né fu subito felice, ma era ormai quasi assiderato, e la tensione che lo aveva condotto a quel punto si era ormai affievolita fino a sparire. Prostrato dalla fatica e dal freddo, il giovane cadde a terra, svenuto.

Si svegliò in una piccola casupola di legno, illuminata da un caminetto che si trovava su un lato. Davanti al caminetto, un omone gigantesco, con lunghi capelli che gli scendevano sulla schiena, che in quel momento pensava al fuoco raggrumando i ciocchi. Tentò di alzarsi, e in quel momento l’uomo si voltò dalla sua parte, mostrando un paio di folti baffi. Parlò in una lingua strana e dissonante, ma che il giovane, stranamente, comprendeva benissimo e, come si accorse poi, riusciva persino a parlare. Gli chiese chi era, se si sentiva bene e da dove veniva, poiché aveva l’aspetto di uno straniero. Marco rispose, gli disse che stava bene, ma che non sapeva come era arrivato lì e non aveva idea neppure di dove si trovasse. L’uomo disse di chiamarsi Ari, e che il giovane si trovava in un paese chiamato Wiesgarðr. Poi domandò cosa ci faceva un ragazzino piccolo come lui all’aperto in una landa desolata come quella, ma il ragazzo replicò che era più vecchio, prima, e che non sapeva nemmeno perché fosse ringiovanito; allora lasciò perdere il discorso, e gli disse di riposare, consiglio che Marco accolse immediatamente, cadendo quasi subito in un profondo sonno senza sogni.

Da Ari, il giovane apprese molte cose: che Wiesgarðr era una terra del nord, nel mondo di Miðgarðr e che si affacciava sul mare. Il popolo Wies, che abitava quella terra, era testardo ma di buon cuore, ed era noto alle altre genti per l’agricoltura ma anche per la navigazione e per il saccheggio che perpetuavano sui mari. L’uomo adottò Marco e lo allevò come un figlio, rinominandolo Sweyn, come suo padre. Gli insegnò a spaccare la legna, a fare le faccende in casa, a coltivare la terra, ma era il combattimento con la spada l’addestramento preferito del giovane. Passarono le stagioni, la neve se ne andò e poi tornò più volte, e man mano il corpo del giovane si irrobustiva, cosa che durante la sua “crescita precedente” non era successo. Ari era giusto, ma molto severo, e man mano che gli insegnava l’arte della guerra, il giovane sentiva la felicità quella che dava per scontato, abbandonarlo costantemente, sostituita solo dal vuoto. Arrivò ad un punto che non riusciva più a provare gioia, ma solo rabbia ed odio. Infine, tornò all’età alla quale era prima di arrivare in quelle terre, ed a quel punto, pur non disprezzando affatto la stabilità della vita con il suo padre putativo decise che era ora di andarsene, alla ricerca della felicità che non riusciva più a provare.

Vagò per diversi anni in tutta Wiesgarðr e negli stati confinanti, alla ricerca di qualcosa di cui egli stesso ignorava la natura, in compagnia solo della spada che il padre gli aveva regalato. Mangiava grazie alla carità dei contadini o rubacchiando qua e la quel poco di cui necessitava, e dormiva sotto ripari improvvisati. I giorni passavano lenti, diventando settimane e poi mesi, e man mano il giovane perdeva la speranza. Aveva ventisei anni, quando, casualmente, si ritrovò nella capitale di Wiesgarðr, il giorno stesso della morte del re. Harald, secondo del suo nome, era stato un monarca saggio e pacifico, ma era morto senza lasciare eredi maschi. Per nominare il suo successore, si era deciso di indire un torneo, ed il vincitore sarebbe divenuto re. Sweyn ne venne a conoscenza, e decise di iscriversi, anche se in realtà non era così tanto desideroso di governare gli uomini. La tecnica di combattimento che Ari gli aveva insegnato era davvero ottima, però, così alla fine egli riuscì ad imporsi su ogni avversario, anche il più duro, e fu elevato alla regalità. Gli anni successivi furono molto belli: il popolo acclamava e amava re Sweyn, primo del suo nome, ed egli si dimostrava altrettanto saggio del suo predecessore, ma non altrettanto amante della pace. Grandi razzie compi con le Drakkar per mare, e il regno si arricchì di tesori mai visti prima. Ma non fu solo un guerrafondaio: sviluppò anche i commerci e strinse trattati di pace con gli stati confinanti, mentre ad essere razziati erano solamente i deboli stati nel sud di Miðgarðr. Ovunque nel regno, il re era amatissimo, e tutti erano felici perfino di pagare le imposte. Ma egli non era felice, ancora non aveva ritrovato ciò che lungo la strada aveva perduto.

Lunghi anni passarono, finché si ritrovò cinquantenne, ancora senza un briciolo di quella gioia che aveva sempre avuto prima di arrivare a Wiesgarðr. Aveva avuto esperienze delle più varie, era sposato con una donna tanto bella da ricordare una valchiria, e che lo amava veramente, ed aveva generato tre figli, ma nulla gli dava allegria. Un giorno, passeggiando per la capitale del regno, notò un chiosco di una veggente, e l’istinto gli disse di entrare. L’ambiente era pieno di fumo, e la veggente, un’orrida vecchia quasi priva di capelli, si vedeva appena. Appena lo vide, ella gli prese la mano, poi chiuse gli occhi ed entrò in una specie di trance. Durò qualche attimo, poi la veggente si risvegliò e parlò con una voce cavernosa che a stento sembrava appartenere ad una donna tanto minuta. Disse che sapeva, il problema era la felicità perduta, e che c’era solo un modo per riottenerla: andare nel sotterraneo regno dei morti, l’Helheimr, e battere la dea Hel in duello. Senza pensarci due volte, Sweyn abbandonò ogni cosa, lasciò il regno nelle mani del suo primogenito Ari, ormai ventenne, e partì verso nord.

Arrivò ai confini di Wiesgarðr e poi li sorpassò. Lasciò le terre degli uomini, uscì da Miðgarðr ed entrò nel Niflheimr, la terra dei ghiacci perenni. Lo attraversò tutto cercando di fare in fretta, per paura di incontrare i giganti di ghiaccio che lì si diceva abitassero. Ma non trovò altro che silenzio, in quelle terre, e in pochi giorni riuscì ad attraversarle tutte. Poi, la strada iniziò a scendere, e in men che non si dica si ritrovò sotto terra, non in una caverna normale, ma in un grosso ambiente illuminata da una pallida e anomala luce verdognola. Passò per il regno di Svartálfaheimr senza incontrare ostacoli, gli elfi oscuri che lì risiedevano non lo degnarono di un’occhiata, come se la sua visita fosse già prevista. Perfino il terribile cane Garmr dal pelo macchiato di sangue umano, che egli aveva tanto temuto di incontrare, lo lasciò entrare nella caverna del Gnipahellir. senza nemmeno opporsi. Camminò a lungo in quella grotta, perdendo perfino la cognizione del tempo; poi, alla fine, il condotto si allargò, ed egli si ritrovò improvvisamente in una grande aula. Davanti a lui, finalmente, il Gjallarbrú, il ponte d’oro che segnava l’entrata al regno di Hel. Oramai era arrivato, non poteva più tornare indietro. Prese coraggio, ed iniziò ad attraversare il ponte. Giunto circa a metà, si accorse di una piccola figura che avanzava dall’altro lato. La dea Hel! Era esattamente come i racconti e i canti la rappresentavano: per metà una bella ragazza, e per l’altro un cadavere in decomposizione. Il viso, diviso verticalmente come il resto del corpo, aveva un’espressione triste, tanto da impietosire Sweyn; ma la sua risoluzione a ritrovare la felicità perduta era troppo forte, ed egli non poté tirarsi indietro. Sospeso sull’abisso, gridò alla dea che l’avrebbe sconfitta, fosse stata l’ultimo atto della sua vita. Il volto di Hel si contrasse in una smorfia di rabbia, poi subì una trasformazione, ed in pochi attimi era diventata enorme; dalla ragazza che era aveva assunto l’aspetto di un terribile gigante completamente nero, dal volto terribile. Spaventatissimo, il re tirò comunque fuori tutto il coraggio di cui disponeva, e si gettò addosso al mostro. Per tre volte riuscì a ferirlo con la spada, ma esso continuava a combattere come se nulla fosse, con il suo gigantesco acciaio, orripilante a vedersi. E fu così che, mentre tentava il quarto affondo, Sweyn venne colpito e cadde a terra. Allora la dea gli si fece sopra, e aprì le fauci. Disse con voce spaventevole che non solo non avrebbe ritrovato la felicità, ma che nonostante stesse per morire con onore non sarebbe andato nel Valhalla, poiché nessuna valchiria sarebbe mai arrivata fin laggiù. Sarebbe invece rimasto lì nell’Helheimr, e avrebbe servito lei per l’eternità, camminando nel vuoto e con il vuoto nel cuore. Poi i terribili e affilati denti calarono su di lui, senza nemmeno dargli il tempo di urlare.

Si tirò a sedere dalla posizione sdraiata in cui si trovava. Non era più nell’Helheimr, ma in un posto diverso, ed era notte. Sentiva di aver già visto quel posto, ma non ricordava dove. Poi vide i suoi amici, quelli che aveva incontrato lì per la prima volta dopo averli conosciuti su internet, che lo guardavano. Allora si ricordò: il suo nome era Marco, non Sweyn! Ora riconosceva pure il posto, era l’esterno del locale dove suonava il gruppo, e ancora si sentivano, attutiti, i suoni di Wooden Pints. Non era passato più di qualche minuto da quando aveva sbattuto la testa, apprese poi dagli amici, e loro lo avevano portato fuori dal locale per farlo respirare. Ora il giovane si sentì felice, e subito dopo stupito, poiché era una sensazione che non provava da moltissimo, da quelli che gli sembravano anni. Ancora più allegro felice, propose di rientrare nel locale. Aveva capito il significato recondito di quella allucinazione, ovvero che la felicità è un bene inestimabile, non una cosa da tutti i giorni; e, finché ebbe vita, il giovane conservò la gioia, cercando di rendere più contente anche le altre persone.