venerdì 30 gennaio 2009
Riflessione sulla solitudine
mercoledì 28 gennaio 2009
Il popolo del lago (seconda parte)
Rimase con loro ventisette giorni. Ogni giorno organizzavano banchetti a base dell’unico cibo che mangiava il popolo del lago, le alghe verdi sminuzzate, e che Giada trovava veramente gustose. Le feste in suo onore poi erano davvero sfarzose, l’enorme sala da ballo era sempre piena di nobili Marfantiani che danzavano per ore, al ritmo della soave musica prodotta dalla grande orchestra. La ragazza amava quel clima, lo amava veramente, e amava anche danzare con il suo amico Xikton, che in quei giorni l’aveva sempre accompagnata. Quasi non ricordava più la sua vita sulla terraferma, i ricordi del mondo fuori dall’acqua svanivano giorno dopo giorno, ma non le importava nulla, lei ormai voleva solo rimanere in quel posto per sempre. Lassù la aspettava un mondo apatico e marcio, pieno di gente malvagia in ogni dove, là sotto invece non era così, non c’era nessuno che le volesse far del male, nessuno era apatico. Purtroppo in questo si sbagliava, se ne sarebbe accorta solo dopo; però passò ventisette giorni piacevolissimi, forse i migliori della sua vita, e tra danze e cene il tempo volò.
Nel ventisettesimo giorno, qualcosa accadde. Dopo essersi alzata alla mattina, Giada notò una cosa strana: diversamente dalla solita calma che regnava solitamente, nel palazzo quel giorno c’era una grande agitazione, un atmosfera concitata. Un po’ allarmata, si vestì e si recò nella sala del trono. Al suo ingresso, il gran consiglio del re ammutolì, e tutti la guardarono. Il re, con una faccia sconsolata, le riferì che era scoppiata una rivolta, che la popolazione, stanca di fare la fame per nutrire i ricchi banchetti dei nobili come avveniva da quasi un mese, si stava ribellando. Per sedare la rivolta avevano solo due possibilità: o smettevano le feste o mandavano via la ragazza. Giada però aveva appreso che nel popolo del lago la tradizione non si poteva violare, era sacra, e la tradizione appunto prevedeva di organizzare cene e ricevimenti ogni volta che un ospite raggiungeva il palazzo. Quindi l’unica cosa che potevano fare era proprio cacciarla via. Ma lei non voleva, non voleva proprio, si sarebbe opposta con tutta le sue forze. Espresse questa opinione al re, in tono supplicante; ma il re, sempre più sconsolato, le comunicò che non poteva restare. Doveva andarsene, non gli importava dove, ma doveva andare via dal regno. Giada guardò allora Xikton, ma questi, infelice, scosse la testa. Giada venne accompagnata all’esterno del palazzo dalle guardie, che le intimarono di abbandonare per sempre Marfant. Lei urlò, con le lacrime agli occhi, che non avrebbe mai lasciato quel posto, se non la volevano sarebbe rimasta la fuori per sempre, ma mentre diceva questo sentì un’accelerazione. Stava venendo strattonata per un braccio, ma non vedeva chi la stesse tirando, era come se ci fosse una strana e misteriosa forza che la attraeva verso l’alto, verso la superficie, verso quel mondo che non voleva più vedere. Tentò di opporsi con tutte le forze, ma non ci riuscì, veniva portata lentamente ma inesorabilmente in su. Infine riemerse dall’acqua. Là c’erano molte luci che si muovevano e lampeggiavano, persone che parlavano e urlavano. Non riusciva a capire nulla, era confusa e stordita, sentiva solo un freddo intensissimo, non riusciva a sopportarlo. Poi si accorse che stava venendo trasportata, quindi il freddo si fece meno intenso. Disperata poiché non riusciva a capire cosa succedeva, Giada perse i sensi.
Il popolo del lago (prima parte)
Il popolo del lago
Era appena tornata a casa da scuola, quando il telefono cominciò a squillare. Giada corse a rispondere: era una sua cara amica, che le ricordava di venire alla sua festa di compleanno, più tardi quello stesso giorno. La ragazza non se ne era certo dimenticata, come poteva scordarlo, eppure la telefonata la rese felice. Sarebbe andata a Lecco, e sarebbe rimasta lì fino ad ora tarda, a festeggiare i 18 anni dell’amica, un traguardo molto importante nella vita di una persona, e il solo pensare quanto poteva essere speciale la festa le dava allegria. Corse in camera sua, per posare zaino e giaccone, e poi volò come avesse le ali ai piedi nella cucina, per prepararsi il pranzo da sola. Si fece una buona pasta con un sugo semplice e rapido, e in pochi minuti stava già mangiando. Il giornalista nella televisione della cucina balbettava parole incomprensibili a causa del volume troppo basso, e Giada e mangiò la metà del suo pasto in silenzio ascoltando quel soffuso mormorio, con troppi pensieri per la testa per accorgersi del fatto. Il telegiornale finì, e partirono le previsioni del tempo: la neve e il gelo di quei giorni non si sarebbero sciolti, e che anzi le temperature sarebbero state vicine allo 0 per quasi tutto il giorno. Alla giovane non piaceva l’inverno, soffriva sempre il freddo nella sua camera, ma non importava, la festa per fortuna era al chiuso. Già pregustava la sera dopo, immersa nei propri pensieri, quando il telefono squillò di nuovo. Era suo padre, le diceva che stava andando a casa, molto in anticipo rispetto al suo solito.
Rimase con loro ventisette giorni. Ogni giorno organizzavano banchetti a base dell’unico cibo che mangiava il popolo del lago, le alghe verdi sminuzzate, e che Giada trovava veramente gustose. Le feste in suo onore poi erano davvero sfarzose, l’enorme sala da ballo era sempre piena di nobili Marfantiani che danzavano per ore, al ritmo della soave musica prodotta dalla grande orchestra. La ragazza amava quel clima, lo amava veramente, e amava anche danzare con il suo amico Xikton, che in quei giorni l’aveva sempre accompagnata. Quasi non ricordava più la sua vita sulla terraferma, i ricordi del mondo fuori dall’acqua svanivano giorno dopo giorno, ma non le importava nulla, lei ormai voleva solo rimanere in quel posto per sempre. Lassù la aspettava un mondo apatico e marcio, pieno di gente malvagia in ogni dove, là sotto invece non era così, non c’era nessuno che le volesse far del male, nessuno era apatico. Purtroppo in questo si sbagliava, se ne sarebbe accorta solo dopo; però passò ventisette giorni piacevolissimi, forse i migliori della sua vita, e tra danze e cene il tempo volò.
Nel ventisettesimo giorno, qualcosa accadde. Dopo essersi alzata alla mattina, Giada notò una cosa strana: diversamente dalla solita calma che regnava solitamente, nel palazzo quel giorno c’era una grande agitazione, un atmosfera concitata. Un po’ allarmata, si vestì e si recò nella sala del trono. Al suo ingresso, il gran consiglio del re ammutolì, e tutti la guardarono. Il re, con una faccia sconsolata, le riferì che era scoppiata una rivolta, che la popolazione, stanca di fare la fame per nutrire i ricchi banchetti dei nobili come avveniva da quasi un mese, si stava ribellando. Per sedare la rivolta avevano solo due possibilità: o smettevano le feste o mandavano via la ragazza. Giada però aveva appreso che nel popolo del lago la tradizione non si poteva violare, era sacra, e la tradizione appunto prevedeva di organizzare cene e ricevimenti ogni volta che un ospite raggiungeva il palazzo. Quindi l’unica cosa che potevano fare era proprio cacciarla via. Ma lei non voleva, non voleva proprio, si sarebbe opposta con tutta le sue forze. Espresse questa opinione al re, in tono supplicante; ma il re, sempre più sconsolato, le comunicò che non poteva restare. Doveva andarsene, non gli importava dove, ma doveva andare via dal regno. Giada guardò allora Xikton, ma questi, infelice, scosse la testa. Giada venne accompagnata all’esterno del palazzo dalle guardie, che le intimarono di abbandonare per sempre Marfant. Lei urlò, con le lacrime agli occhi, che non avrebbe mai lasciato quel posto, se non la volevano sarebbe rimasta la fuori per sempre, ma mentre diceva questo sentì un’accelerazione. Stava venendo strattonata per un braccio, ma non vedeva chi la stesse tirando, era come se ci fosse una strana e misteriosa forza che la attraeva verso l’alto, verso la superficie, verso quel mondo che non voleva più vedere. Tentò di opporsi con tutte le forze, ma non ci riuscì, veniva portata lentamente ma inesorabilmente in su. Infine riemerse dall’acqua. Là c’erano molte luci che si muovevano e lampeggiavano, persone che parlavano e urlavano. Non riusciva a capire nulla, era confusa e stordita, sentiva solo un freddo intensissimo, non riusciva a sopportarlo. Poi si accorse che stava venendo trasportata, quindi il freddo si fece meno intenso. Disperata poiché non riusciva a capire cosa succedeva, Giada perse i sensi.
martedì 27 gennaio 2009
27 gennaio, giornata della memoria
lunedì 19 gennaio 2009
Il giovane e l'iliaco
Dedico questo racconto a Michele, un altro dei miei lettori. La ricchezza di particolari è dovuta al fatto che mi sono ispiratato ad una storia vera, anche se la parte paranormale e onirica è ovviamente una mia completa invenzione.
Il giovane e l’iliaco
Michele aspettava il suo amico con un certo nervosismo passeggiando avanti e indietro davanti alla tomba di Antenore, il leggendario fondatore di Padova, nella piazza omonima. Fino a quel momento era andato tutto bene, quel giorno: era persino riuscito ad acquistare una buona quantità di dischi a basso costo, e la cosa lo rendeva ovviamente felice, anche se aveva speso forse troppi soldi, e sapeva che ne avrebbe spesi alti nel prosieguo del giorno. Il suo nervosismo era dovuto al fatto che colui che doveva incontrare non era propriamente un amico, ma invece una persona conosciuta attraverso Msn. E se su internet gli era sembrato simpatico e divertente, non sapeva se nella realtà sarebbe stato lo stesso. Inoltre, in un momento di scarsità monetaria, Michele gli aveva chiesto, sempre via chat, di comprargli un biglietto per il Priest Feast, il concerto a cui avrebbero suonato prima i Testament, poi i Megadeth e infine i Judas Priest, e a cui il suo “amico” aveva deciso di partecipare. Un concerto del genere non si vedeva quasi dai mitici eighties, perciò il giovane non sarebbe potuto mancare, ed era quindi contento che il suo amico avesse accettato la sua richiesta; tuttavia non sapeva se fidarsi di questa persona, magari poteva essere un biglietto contraffatto o falso, avrebbe potuto pagare 52 euro per un pezzo di carta straccia, e questo lo rendeva ancora più nervoso. Del resto, non lo conosceva affatto, ne conosceva gente del centro Italia, da dove “l’amico” proveniva. Controllò nervosamente l’orologio: le sedici e cinquantadue. L’appuntamento era alle 17, e lui era arrivato decisamente troppo presto.
Il tempo passò, e passò, e passò ancora, ma della persona che aspettava nessuna traccia. Dopo parecchi minuti, Michele cominciò a stizzirsi, e man mano che passava ancora del tempo, i suoi dubbi e le sue incertezze crescevano sempre di più, insieme alla sua rabbia. Alla fine, l’irritazione prese il sopravvento, e sciolto ogni dubbio, il giovane decise di andarsene, ma proprio in quel momento realizzò improvvisamente che qualcosa non andava. Non solo il suo “amico” non arrivava all’appuntamento, ma da qualche tempo non si vedeva anima viva, ne nella piazzetta, ne in via San Francesco davanti a lui, ne nella riviera Tito Livio, l’arteria che costeggiava la piazza, nessuna auto, nessun pedone, nulla. Adesso che se ne accorgeva, il silenzio regnava, e cominciava a diventare quasi assordante alle sue orecchie. La notte incombeva e i lampioni illuminavano il buio di una pallida luce arancione che rendeva il tutto ancora più spettrale di quanto già non fosse. Nelle finestre delle abitazioni attorno, invece, non si scorgeva la benché minima fonte luminosa, l’oscurità regnava incontrastata, e così era anche per la libreria Feltrinelli dall’altra parte della strada di fronte, per la facoltà di diritto comparato sull’altro lato dell’arteria e per il palazzo della procura dalle sue spalle.
Ormai abituato a quel silenzio, Michele sussultò violentemente quando d’un tratto sentì un suono alle sue spalle, un rumore sinistro quasi come uno strusciò di pietra su pietra, un sibilo molto strano. Istantaneamente si girò, e alle sue spalle c’era una figura umana, che sul colpo lo spaventò molto. L’uomo che aveva alle spalle era evidentemente molto anziano, alto e magro, con una testa completamente calva e una lunga barba bianca; nel suo volto Michele scorse qualcosa di familiare, di molto familiare, anche se non riuscì a capire cosa fosse. I vestiti del vecchio sembravano simili a degli stracci consunti, ma tutto sommato l’uomo non aveva l’aspetto del mendicante, al contrario sembrava come circondato da un aura di saggezza quasi mistica. Passato lo spavento, il giovane decise di rivolgersi all’uomo. Gli chiese chi era, e se sapesse cosa stava accadendo lì. Quando il vecchio rispose, egli seppe che l’anziano non era certamente italiano, e nella lingua che parlava sentiva giusto qualche assonanza con i linguaggi che conosceva; tuttavia, non sapeva neanche lui in che modo, riusciva a comprendere ogni parola che lo straniero diceva, come se una voce gli stesse parlando direttamente nel cervello. Capì che il vecchio in realtà era Antenore, l’eroe troiano della guerra contro gli achei che nella leggenda aveva fondato la città di Padova. Mentre parlava, Michele si accorse che la tomba alle spalle del suo interlocutore era aperta, il sarcofago era scivolato da un lato, e ciò gli causò dubbi ma soprattutto sgomento. Nonostante ciò, il giovane decise di rimanere ad ascoltare il vecchio, e per quanto fosse dubbioso, la versione di questi gli sembrò l’unica che spiegava quella oltremodo bislacca situazione.
domenica 18 gennaio 2009
Pesa Troppo
Ecco qui una nuova poesia, scritta in un momento, o meglio un periodo che dura tutt'ora, di sconforto verso la società. Spero che vi piacerà.
Pesa Troppo
Una sensazione molto strana
Alle volte mi coglie:
Sento come se il peso
Di libertà e democrazia
Sia tutto sulle mie spalle
Attorno a me, le persone
Sembrano disprezzarsi le une
Con le altre
E nessuno rispetta nessuno
Mi piacerebbe molto che ciò non fosse
Ma è solo una vuota speranza
E sono solo un piccolo uomo
Che più di tanto non può fare.
mercoledì 14 gennaio 2009
Il castello sulla collina
Ho deciso di dedicare un racconto ad ogni mio lettore che conosco, giusto per ringraziarlo di essersi preso la briga. E quale migliore metodo di scrivere una storia di cui lo stesso lettore è il protagonista? Dedico ovviamente questo primo racconto ad Alessandro, primo lettore e commentatore, e lo ringrazio anche di avermi sopportato per questi ultimi mesi. Ovviamente è un opera di fantasia.
Il castello sulla collina
martedì 13 gennaio 2009
Insonnia II
Insonnia II
Coricato sul mio parco letto
Chiudo gli occhi e tento
Di volare via.
Ma il caldo è insopportabile
Le tenebre cuociono il mio corpo e la mia anima
Il sudore ricopre il mio corpo
Come una odiosa coperta
E il sonno non arriva
La noia allora mi prende
O peggio un cupo scoramento
E passo ore fissando
L’oscurità del soffitto.
domenica 11 gennaio 2009
Gli Stranieri
Gli stranieri
Le campane suonarono a festa nel villaggio, quel giorno, e la popolazione si riversava urlante nelle vie e nelle piazze, festosa. Festeggiavano la liberazione da Satana, dai malvagi invasori che tramavano oscure eresie. Tutto era cominciato poco meno di 2 settimane prima, quando nel villaggio, un martedì mattina presto, erano apparsi quei sei strani individui, tre uomini e tre donne, che a primo acchito sembravano persone comuni, forse dall’aspetto più curato di un normale cittadino ma comunque normali. Però appena aprivano bocca rivelavano subito la loro anormalità: parlavano in uno strano dialetto, mai sentito in quel villaggio dell’Inghilterra centrale, comprensibile ma che anche agli abitanti del villaggio appariva molto rozzo. Inoltre, il loro comportamento era davvero strano, anche per uno straniero. Nonostante ciò, il capovillaggio li accolse con tutti gli onori, poiché gli stranieri si dicevano abitanti di una terra straniera e molto lontana, e ambasciatori di un grande stato.
L’indomani, era ancora nuvoloso, ma non vi fu pioggia. Gli stranieri bloccarono di nuovo i popolani desiderosi di ricevere la comunione. Anche stavolta fu il forestiero Cliff a parlare, e esordì domandando alla folla come mai, se era Dio a mandare i fulmini, aveva colpito solo il palo? Il palo attraeva i fulmini, evidentemente, quindi non era Dio a controllarli, ma il palo: Dio quindi non esisteva. Stavolta questa blasfemia non fu perdonata, neanche dalle guardie, che si voltarono e tentarono di aggredire gli stranieri. Si scatenò quindi la confusione più totale: due delle guardie assalitrici sparirono all’improvviso rimpiazzate da una nube di fumo, dopo essere state colpite da uno strano raggio rosso uscito da uno strano oggetto metallico tra le mani dello straniero Cliff. La folla, presa dal panico, iniziò a fuggire, spaventata dalla magia nera usata dall’ormai odiato ospite, dalle arti oscure usate da quell’adepto di satana, finche la piazza non si fu svuotata. Con un altro sacrilegio, lo stesso straniero riuscì a alzare il volume della sua voce in maniera che tutti lo sentissero, anche coloro che si erano barricati in casa sbarrando le finestre. Disse con un tono molto triste che il giorno seguente lui e gli altri del suo gruppo se ne sarebbero andati via per non tornare mai più.
sabato 10 gennaio 2009
Insonnia
Insonnia
Morfeo non arrivi nella mia casa
E continuo per ore ed ore
A fissare il soffitto nero.
Dei pensieri invadono la mia testa
Pensieri allegri, tristi, giocosi
Ma alla fine sempre cupi diventano
E la voglia di dormire mi pervade.
In questo letto, avvolto dall’oscurità
E vorrei morire o almeno dormire
Ma nulla accade
E rimango insonne per ore.
giovedì 8 gennaio 2009
Notte
Notte
Solitudine
Solitudine
Il mio carattere è difficile,
E per questo non riesco mai a stringere
Amicizia.
Non mi aiutano per nulla,
E non so se vivere da solo sentendo
Un forte bisogno di compagnia
O stare con gli altri pur sapendo che a loro
Non importa nulla di me.
Certe volte penso sarebbe meglio
Vivere rinchiuso in un castello
Sperduto in mezzo a boschi e montagne
Immerso da solo nelle meraviglie naturali
Libero da ogni vincolo.
Questo mio sogno però lo so anche io
Che è impossibile
Perciò i miei pensieri diventano neri
E ho l’impressione che vivrò l’intera vita da solo
E morirò in solitudine.
P.S. chiedo scusa per la spaziatura tra le righe, ma sono alle prime armi con il blog.