martedì 28 aprile 2015

L'amore ai tempi di Amazon

Il venticinque aprile è uno dei giorni più pieni e impegnativi dell'anno per un gelataio (insieme peraltro al primo maggio, che è alle porte): è per questo che la scorsa settimana, tra preparativi e il weekend intensissimo, ho avuto pochissimo tempo da dedicare a qualsiasi altra cosa, compreso ovviamente Hand of Doom. Appena ho avuto un po' di tempo, ho deciso perciò di andare a ripescare un vecchio racconto che avevo scritto qualche mese fa, per poi accantonarlo perché non ero certo che fosse decente. Ieri tuttavia mi è venuta un'idea per un altro racconto e l'ho buttata giù di getto: rileggendolo qualche ora dopo, mi è già sembrato abbastanza completo da poter essere pubblicato. Invece del racconto precedente, che continuava a non convincermi del tutto, ho cominciato perciò un tour de force di revisioni per giungere infine a pubblicarlo proprio oggi: missione compiuta! In ogni caso, questo è un breve pezzo che ironizza sul fatto che, come probabilmente saprete, con il servizio di self-publishing fornito ad esempio da Amazon si sono moltiplicati i casi di e-book scontati e scritti coi piedi, specie nell'ambito del romanzo rosa. L'ho concepito sperando che fosse divertente e che vi possa piacere!

L’amore ai tempi di Amazon

Il Sole tingeva di rosso il cielo e il mare mentre scendeva lentamente dietro l’orizzonte, regalando uno spettacolo impressionante alla coppia che sedeva tranquilla sulla terrazza panoramica in cima dell’Empire State Building. 
«Che spettacolo splendido! Non trovi anche tu?» disse Mary con gaiezza.
«Si, stupendo… ma mai quanto te.» rispose John, con un sospiro. 
«Oh!» fece la ragazza con meraviglia.
«Non ce la faccio più a mentire a te e a me stesso, Mary! Si, te lo devo confessare: io ti amo!» proseguì il giovane.
«Oh mio dio, che gioia! John, fin’ora ho avuto paura che per te non fosse lo stesso! Finalmente allora anch’io posso confessartelo: ti amo anche io!» 
L’emozione di Mary era palpabile, e anche John sentiva le farfalle nello stomaco: in quel momento però il suo timore si sciolse, e avvicinandosi a lei, la baciò appassionatamente sulla bocca, ben sapendo che per lei era la prima volta. Rimasero uniti per un secondo, poi improvvisamente il giovane si staccò, quasi con uno strattone
«Cristo santo!» imprecò urlando, mentre Mary sbiancava. 
«Che è successo?» gli chiese sconvolta.
«Ho… avuto un’illuminazione. Non so come spiegarlo: come un lampo che mi ha attraversato il cervello, proprio mentre ci baciavamo. Mi sono reso conto in un istante  che è tutto sbagliato!»
«Sbagliato? Questo bacio?» chiese la ragazza, ancor più pallida.
«No… non proprio il bacio, almeno. Ho solo realizzato tutta una serie di astrusità che non so fin’ora come mi possano essere sfuggite. Per esempio: tu sei una ragazza solare, intelligente, bella, simpatica e così via, giusto? Non sono solo io a pensarlo, te lo dicono tutti quelli che ti conoscono, uomini e donne.»
«Si, è vero.»
«Allora come è possibile che questo era il tuo primo bacio, e che fin’ora non sei mai riuscita a trovare nemmeno un fidanzato? Ma non sei solo tu, il problema: anzi, forse io stesso sono ancora peggio»
«Che vuoi dire?»
«Ecco, io sono bello, ricco e famoso, tutti i tabloid parlano di me e delle mie storie di passione con questa o quella modella. Perché quindi ora dovrei provare questo fascino ingenuo per te, tanto addirittura da essere diventato timido come non sono mai stato neppure da bambino? Non ha senso!»
«Forse è l’amore che ti fa questo effetto?» rispose la ragazza, anche un po’ irritata. 
«Non è che non sono stato innamorato prima di te, eh! Ma questa è la prima volta che mi succede. Questo è il meno peggio, però, visto che sono cose che rientrano nel campo del possibile. Mi sono appena accorto che ci sono invece fatti davvero impossibili, il che è assolutamente angosciante, secondo me.
«Come è possibile, per esempio, che tu a diciannove anni vai all’Università qui a New York, in motorino per giunta? Non dovresti stare nel campus di un college, magari? E poi perché se siamo entrambi di New York usiamo sempre espressioni tipiche della lingua italiana? Anche le nostre abitudini e le nostre mentalità sono da provincia italiana, più che da New York, in effetti.»
«Oddio, non vorrai dire che…» balbettò sconvolta Mary.
«E ancor più terribile, come è possibile che il Sole tramonti a est, sul mare? E’ contro ogni dannata legge della fisica!»
«Dio mio!»
«Si, ormai è chiaro cosa ci è successo…» cominciò John, tornando a parlare piano.
«Non lo dire, ti prego!» si lamentò Mary
«Purtroppo non parlarne non cambierà la realtà. E’ così, Mary: io e te siamo i personaggi di un romanzo scarso. Ci ha creati probabilmente qualche ingenua autrice italiana che non ha la minima idea di come scrivere qualcosa di decente.»
«Non è possibile, no!» strillò Mary, scoppiando a piangere.
«Dai, poteva essere peggio. Poteva essere una di quelle schifezze pornografiche a tinte sadomaso.» cercò di rincuorarla John, ma Mary continuava a singhiozzare senza tregua. 
«Cosa possiamo fare per tirarci fuori da questa assurdità?» disse infine la ragazza, ancora con le lacrime agli occhi. 
«Purtroppo, io di soluzione ne vedo una sola» replicò John con un cenno in direzione del parapetto. Mary comprese cosa voleva dire e per un momento impallidì ancor di più.
«Hai ragione, probabilmente è l’unica cosa da fare» disse poi, cercando di farsi coraggio. John le tese la mano e insieme si avvicinarono al limite dell’abisso per poi tirarsi su.
«Pronta?» le chiese lui.
«Pronta.» confermo lei prima di darsi una spinta, e cominciare a precipitare verso la strada sottostante insieme al suo amante. 

Lentamente, John si alzò sulle braccia, stupefatto. Quando si era schiantato sull’asfalto aveva sentito una fortissima fitta, ma era stato solo un attimo: non aveva nemmeno perso conoscenza e il dolore era sparito come era arrivato. Il giovane si guardò intorno e individuò Mary: anche lei si stava rialzando in piedi, frastornata.
«Siamo vivi! Come è possibile, dopo un volo del genere?» chiese, appena lo vide. Il giovane ci pensò per un attimo, prima di realizzare la risposta.
«E’ molto peggio di quanto pensavamo. Dannazione, il nostro è un paranormal romance!» disse, tetro.

martedì 21 aprile 2015

La terrificante indifferenza di internet

L'ho già detto diverse volte e lo ripeto anche stavolta: sono assolutamente contento di quei pochi che mi seguono, per quello che fanno. Mi interessa poco se poi quelle stesse persone non commentano i miei post, non li condividono, non mi fanno sentire la loro vicinanza: anche solo tenere il proprio "mi piace" su una delle mie pagine va comunque più che bene, per me, né ho intenzione di lamentarmi del fatto che preferirei un po' più di tutte queste attività (anche se di sicuro non mi dispiacerebbe).

Ci sono dei giorni però in cui mi sento un po' più giù, in cui avrei davvero bisogno di un po' di supporto morale, o almeno di sentirmi apprezzato almeno per qualcosa tra le tante che faccio: puntualmente però è qualcosa che non succede, e l'unico modo in cui posso ritirarmi su è con le mie forze. E' proprio in quei brutti momenti che mi accorgo di quanto le persone che girano per questa giungla che è il web siano così insensibili ed indifferenti. Non solo, però: mi accorgo anche di quanto questa indifferenza non solo mi dia fastidio, ma anche quanto quasi mi spaventi. E' terribile infatti sapere quanto poco alle persone importi del prossimo, e terrificante è la consapevolezza che a parte i pochi affetti, ci si può sentire soli e completamente isolati anche in un mondo come il nostro che addirittura soffre di sovrappopolazione.

E' così che a volte mi sento io, quando ad esempio le mie recensioni, su cui così tanto ho lavorato, non vengono apprezzate, nemmeno con un like su Facebook che in fondo richiede pochi secondi (più qualche altro momento per guardarla - senza ipocrisie, sono certo che la maggior parte delle persone scorra semplicemente fino al punto in cui è riportato il voto e giudichi la recensione solo da quello). E' così che mi sento quando i miei tentativi di entrare almeno un pochino in confidenza con blogger che stimo finiscono come sempre in un buco totale nell'acqua. Ed è così che mi sento anche quando, annunciando che un post o qualcos'altro slitterà perché non sto bene, a nessuno passa in mente di chiedermi come sto oppure di augurarmi almeno di "guarire presto", Certo, qualche eccezione c'è, ma comunque è abbastanza rara, la reazione più comune è proprio l'indifferenza.

Di solito quando mi sento così, cerco in ogni caso di prenderla con filosofia, di non abbattermi; del resto so che il vittimismo non piace a nessuno (men che mai a me, devo dire, anche se ogni tanto, come in questo caso, vittimista lo sono un pochino - ma non che la cosa sia giustificata, anche io sicuramente sto sbagliando). Ecco perché solitamente, anche quando voglio denunciare qualcosa che non mi va, cerco comunque di mantenere toni oggettivi e distaccati, senza esporre troppo le mie emozioni. Ogni tanto però non ce la faccio più, e sento il bisogno di buttare fuori il disagio ed il malessere, come appunto in questa occasione: come sempre in questi casi, quindi, vi chiedo scusa per questo sfogo.

Sbaglio? Internet non è poi così indifferente? Io credo di si: sul fatto che nemmeno questo post sarà notato, che non si beccherà nemmeno un like, nemmeno un commento, potrei scommettere dei soldi. Almeno però questo caso posso capirlo: come già detto, il vittimismo è odioso e l'indifferenza è quindi giustificata, forse...

martedì 14 aprile 2015

Il pantano

Ci sono periodi, nella mia vita, in cui mi sento molto creativo: porto avanti tantissimi progetti diversi senza particolari difficoltà e riesco a pianificare tranquillamente i miei blog, scrivendo con grande anticipo i post in modo da non dovermi sforzare più del necessario nel trovare argomenti nuovi ed interessanti, Ci sono invece altri periodi in cui per vari motivi scrivere mi è macchinoso e difficile, ed ogni parola esce fuori quasi con sforzo, periodi in cui ogni aggiornamento di ogni blog mi costa sudore e tanto tempo per riuscire almeno decente.

Purtroppo, questo periodo appartiene proprio a questi ultimi: settimane di cattive condizioni di salute e di problemi personali mi hanno portato a non riuscire a scrivere nulla di decente per questo martedì. O meglio: ho scritto almeno due/tre post, ma alla fine ho deciso  di non pubblicarne nessuno, perché a mio avviso ancora troppo incompleti e ingenui, o perché non mi sembravano per nulla convincenti e li ho cancellati senza per nulla dar loro la luce. E così mi sono ritrovato del tutto impantanato, incapace di trovare qualcosa da pubblicare questa sera, a parte questa brevissima lamentela contro me stesso. Spero di tornare a breve con nuovi contenuti decenti, ma se la prossima settimana non troverete il mio solito post, saprete che sto ancora male.

Ma capita solo a me una cosa del genere? O è successo a volte anche a voi?

martedì 7 aprile 2015

La fatica di essere un blogger

Tra gli utenti di internet, una quota piuttosto ampia (direi anche la maggioranza, seppur mi manchino le prove scientifiche per affermarlo con certezza) sostiene che il blogging "non sia un lavoro" e che sia assurdo affermare il contrario: motivo di ciò è che tutti, a detta di queste persone, condurre un blog sarebbe semplice, perché basterebbe scrivere "quattro cazzate ogni tanto" per farlo. Ovviamente queste idee provengono da chi non ha mai scritto per un blog: la realtà è infatti ben diversa.

Come si può definire la parola "lavoro"? Io spesso quando uso questo termine intendo il processo attraverso cui si produce un prodotto, qualsiasi esso sia (quindi anche di un post di un blog, per rimanere in tema), ma a quanto pare la maggior parte delle persone non concorda con me: nell'uso comune difatti lavorare indica non solo la fatica in sé ma anche il guadagno monetario che ne consegue. Se usiamo quest'ultimo significato del termine, allora tenere un blog non è in effetti un lavoro, almeno nella maggior parte dei casi (escludendo quei professionisti che riescono a campare col blogging, anche se comunque non sono poi molti, almeno in Italia). Che sia o meno lavoro, però, quel che è certo è che scrivere dei post un minimo argomentati e buoni da leggere richieda almeno una buona dose di impegno. Si, ma quanto?

La mia personale risposta è: molto. Un esempio sono le recensioni di Heavy Metal Heaven: chi mi segue anche lì sa bene quanto siano approfondite e lunghe, anche se forse è meno intuitivo capire quanto tempo esse richiedano. La genesi di una recensione che deve uscire di lunedì è in realtà piuttosto lunga (tralasciando poi la fase di ascolto ed assorbimento, che è quella di gran lunga maggioritaria): la primissima bozza incompleta la butto giù infatti addirittura il mercoledì precedente, completando poi il tutto il giovedì, e proseguendo con una-due revisioni al giorno fino alla pubblicazione definitiva. Tutto questo impegno serve non solo a correggere gli eventuali errori di grammatica, ma anche e soprattutto a rendere il testo più coerente, logico e scorrevole, insomma ad arrivare al livello di qualità che mi vanto modestamente di mantenere: sono sicuro infatti che senza questo "di più" non avrei nemmeno il piccolo seguito che faticosamente mi sono conquistato fin'ora. Per quanto riguarda invece Hand of Doom, di solito i post "ordinari" richiedono meno fatica (anche se per i racconti vale più o meno la stessa cura delle recensioni, se non addirittura di più), ma comunque diverse revisioni sono necessarie: è anche questo il motivo per cui, per esempio, se per mezza settimana non sono stato in condizioni di salute ottimali, il solito post del martedì salta. Sarò strano? A dire il vero non credo proprio, visto che avendo letto post simili scritti da altri blogger, la mia non è una pratica unica, ma sembra molto, molto diffusa, seppur con le dovute differenze. Tutti infatti tendono ad avere una gran cura dei propri contenuti, ed in generale vedo un perfezionismo molto diffuso, nella blogosfera italiana.

Tutto questo discorso vale comunque solo per il solo lavoro di scrittura, ma nella vita di un blogger che si voglia definire almeno un minimo "professionale" c'è molto altro: l'impostazione delle varie sezioni dello stesso blog in maniera strategia, il marketing, la cura dei social network, l'intrattenere rapporti più o meno stretti con altri blogger, il lavoro di documentazioni e così via, tutti impegni che richiedono altra fatica. Gestire un blog, anche piccolo come Hand of Doom, è insomma una continua sfida, che richiede tempo e soprattutto tanta, tanta dedizione: altro che le "quattro cazzate" di cui sopra!