lunedì 24 gennaio 2011

Caos

Era un po' di tempo che non scrivevo una poesia triste, ma questa è veramente sentita, visto lo stato d'animo che ho da qualche tempo. Credo sia solo colpa di alcuni farmaci che prendo, ma in ogni caso mi sembrava giusto pubblicarla, mi pare bella, per quanto triste.

Caos

Sprazzi di luce
Balenan nel buio dentro me
Come pallide lingue
Di un fuoco malefico

E nella mente, confusione
Pensieri che rimbalzano
Come sferette in un gioco sadico
Mentre la testa pesa troppo sulle spalle

E questa sensazione
Non mi abbandona facilmente
Ma rimane, e mi provoca solo
Cupo e muto dolore

venerdì 21 gennaio 2011

Discepoli di uno schermo

Come ho annunciato ieri, ecco qui un racconto nuovo di zecca, anche se non pensavo davvero che già oggi sarebbe stato pronto. E' il mio solito racconto di fantascienza distopica, che parte da un fatto vero - i tanti decerebrati, come il tizio del post di qualche giorno fa, che si sentono invincibili e liberi di ogni cosa solo perché comunicano via internet- e lo sviluppa, creando alla fine una vera e propria tecnocrazia (anche i riferimenti al partito che controlla i media, però, non sono casuali). Secondo me è ottimo, come racconto distopico, e spero quindi che piaccia anche ai miei lettori.

Discepoli di uno schermo

Era un epoca in cui, per necessità come anche per svago, le persone passavano sempre più tempo davanti ad un computer; la rete era sempre più utilizzata per ogni motivo, quindi, dai bisogni primari alle sciocchezze meno importanti, fino al punto che succedeva di servirsene tanto da restare anche un giorno intero davanti allo schermo, senza nemmeno andare a dormire e a lavorare, senza aver nemmeno la più piccola percezione del mondo esterno. Esisteva addirittura chi, per non staccarsi dal monitor, vi rimaneva davanti fino a che una orribile morte, data da un misto di disidratazione e immobilità, lo coglieva; ma chi vi incappava nemmeno se ne accorgeva, oppure preferiva arrivare a farsi del così tanto, pur di non staccarsi da internet. Del resto, ormai la rete aveva il monopolio di ogni cosa: dell’informazione, in primis, essendo l’unico mass media rimasto al mondo, dopo il superamento del giornale, che richiedeva troppe risorse fisiche per essere stampato, e la riduzione della televisione, mezzo troppo poco interattivo, ad un ricettacolo di film di serie B, e che ormai nessuno, se non qualche appassionato, guardava più. Ma non era tutto: anche i beni erano ormai distribuiti quasi esclusivamente per corrispondenza online, e recapitati dal sistema postale robotico, mentre i negozi convenzionali erano ormai un’eccezione alla normalità. In tutto questo si era davvero perso il contatto umano, le persone non si incontravano più tra loro, anche i bambini erano oramai educati dai genitori e dagli insegnanti via videoconferenza; i contati fisici erano a questo punto assenti, nemmeno l’atto della riproduzione, con la fecondazione artificiale veniva più fatto, e non c’era più contatto neanche nell’amore, l’unico tipo di relazione ormai disponibile era quello a distanza, virtuale. Della civiltà del passato erano si state cancellate le guerre, i conflitti, la fame, in quanto tutti potevano godere del benessere dato dalle nuove tecnologie; ma si era così persa l’anima, le emozioni si erano appiattite e la noia era il sentimento più all’ordine del giorno. Paradossalmente, avendo tutto a disposizione, alle persone non interessava più nulla se non stare davanti ad un computer tutto il tempo, non sussisteva più il gusto della scoperta, ne piacere nell’avere una passione, la cultura era ormai rimasta qualcosa per i pochissimi che ancora non accettavano la sudditanza al calcolatore. Ce ne erano ancora, si, ma non era una vita piacevole la loro, dato che si trattava di una minoranza di norma emarginata e perseguitata dalla maggioranza formata dai “tecnologici”, come gli utilizzatori abituali di computer si autodefinivano; ed essi avevano nel loro credo l’odio e la distruzione psicologica di quelli diversi da loro, compito nel quale riuscivano in maniera egregia.

Successe ad un certo punto che un piccolo gruppo di persone, senza particolari qualità intellettuali, ma che in comune avevano solo la furbizia e un considerevole potere economico, si associò intorno all’idea, non rivoluzionaria ma sempre scartata prima di allora per la sua difficoltà di attuazione, di controllare la potenza della rete per arricchirsi e guadagnare il potere a cui molti di essi agognavano. Con la lungimiranza che li caratterizzava, essi si unirono in un partito, che si opponeva alla politica tradizionale, non-tecnologica, vista fino a quel momento, facendosi, almeno pubblicamente, portavoce delle esigenze e dei bisogni nuovi della nuova, grande massa di tecnologici. “Partito Tecnologico Liberale” si nominarono, e iniziarono a proporre tutta una serie di leggi volte al migliore utilizzo della rete e all’ampliamento del pacchetto dei diritti dei tecnologici; ma in segreto, la libertà individuale era l’ultimo dei loro obiettivi, dato che l’unica cosa a cui miravano era di avere una schiera che li seguiva e li riveriva, come un popolo servo di una piccola aristocrazia sovrana. Per fare questo, organizzarono nei dettagli un complicato piano, in due fasi. La prima prevedeva di comprare tutti le fonti di informazioni che erano possibili, a quei tempi controllate, in gran parte, da tecnologici che, fiduciosi, erano lieti di poter aiutare il partito che rappresentava il loro volere. Alcuni altri, che invece non simpatizzavano per il partito, si rifiutarono, cominciando a protestare e a denunciare la situazione di monopolio che il PTL cercava di stabilire, e le cose poco corrette che facevano per raggiungere il potere; ma le loro fondate accuse vennero sempre più ignorate e prese per follie, ed essi stessi vennero imputati di essere non-tecnologici. Alla fine, per disperazione, molti di loro accettarono di vendere le loro testate online, e a quei pochi che resistettero i giornali furono comunque strappati loro con la forza, dal potere economico del PTL che gli consentiva di vincere ogni causa, corrompendo ogni giudice se necessario. Anche i non-tecnologici denunciavano questi fatti, ma nessuno dava loro ascolto: erano considerati dei fanatici, anzi, e per questo venivano ancor più tormentati ed irrisi dai loro avversari tecnologici. La situazione si fece davvero tesa, fino a che, alla fine, la maggior parte di loro smise improvvisamente di fare dichiarazioni, e si dileguò completamente dalla vita pubblica, senza che nessuno sapesse più dove erano finiti; nel mentre i membri del PTL riuscirono a controllare ormai la totalità dei mezzi di informazione in tutto il mondo, e così ogni notizia fu da quel momento sotto il loro diretto controllo, senza possibilità di avere luoghi, nella rete, con informazioni non approvate dal partito, e senza la possibilità di avere opinioni non lodevoli su di esso.

La seconda fase del piano del PTL fu quella più subdola e criminale. Dopo avere portato, grazie ai mass media, praticamente tutta la popolazione mondiale dalla loro parte, i membri del PTL, un giorno stabilito, fecero inviare a tutti i seguaci una mail, contenente dei videoclip pieni di luci e colori particolari, la cui visione poteva ricordare un viaggio acido, od un opera astratta che mutava di continuo; ma questi filmati non erano semplice arte irreale, al contrario erano stati appositamente studiati dagli scienziati al soldo del Partito stesso per penetrare a fondo nel cervello di chi li guardava, annullandone le inibizioni e le resistenze, nonché ogni forma di personalità propria, e facendo di ogni uomo un essere incosciente con un vero e proprio lavaggio del cervello, servo di un padrone: un vero e proprio discepolo dello schermo. Bastava anche una sola visione: chi la subiva diventava subito un discepolo dello schermo, e faceva ogni cosa che esso, ossia chi lo controllava, gli ordinava di fare, senza più porsi nemmeno un dubbio, senza più alcuna facoltà cognitiva o mentale, solo un mero schiavo; e l’unica cosa che egli necessitava, in cambio, era di guardare di nuovo dei video come quelli, necessità che veniva provvista ben volentieri dai computer che li creavano, controllati dai membri del PTL. Quel giorno, la maggior parte della popolazione finì lobotomizzata dai monitor, e diventò succube dei capi del Partito Tecnologico Liberale; e molti altri diventarono schiavi nelle settimane successive, fino a che, in meno di sei mesi, tra la coercizione dei pochi nolenti e il lavaggio del cervello agli indecisi, tutto il mondo fu sotto la dominazione del PTL, definitivamente. Quando ciò avvenne, cominciò la riorganizzazione della società. Si crearono tante città coperte, piccole e razionali, con quel tanto che bastava per vivere, e composte da migliaia di moduli abitativi. Ogni modulo era un monolocale, con una dotazione essenziale di servizi igienici in un angolo e un unico divano al centro, davanti al quale uno schermo enorme trasmetteva i videoclip ipnotici 24 ore su 24; niente cucina, nessuna personalità era più presente negli uomini per dare importanza al gusto del cibo, c’era un tubo che scendeva dal soffitto e se inserito in bocca consentiva di bere acqua sporca e di mangiare un cibo omogeneizzato semi-liquido, prodotto dal cibo che delle macchine raccoglievano e altre macchine preparavano, cuocendolo. Ma non c’era solo questo, nella vita di un discepolo dello schermo: ognuno doveva provvedere anche al pesantissimo lavoro manuale richiesto nelle industrie, che serviva a produrre tutti i beni di lusso che i soli vertici del PTL ormai consumavano; e i turni erano davvero massacranti, duravano addirittura dodici ore.

I membri del partito, gli unici che non avevano subito l’influsso dei monitor, festeggiarono a lungo il successo nel loro piano, che gli aveva consentito di conquistare il mondo, e di poterlo ora tenere in pugno, come padroni onnipotenti di un branco di formiche schiave ed operose. Ma la loro vittoria fu ben piccola, e il fato, con loro, fu come suo solito ironico. Successe così che venne dato l’ordine al popolo di installare ovunque, nei luoghi pubblici, altri schermi per trasmettere i video, in modo da rafforzare ulteriormente il condizionamento e sopportare così meglio il pesante lavoro. Purtroppo per gli oligarchi, però, l’ordine venne eseguito in maniera troppo estesa: ovunque, anche contro la loro volontà, dentro le loro case, vennero installati gli schermi; e così, dal trionfo passarono gradualmente alla sconfitta, e poi alla clandestinità. Ma era inutile, gli schermi erano ovunque, e bastava uno sguardo per non poter più staccare gli occhi fino alla fine del filmato, il che avrebbe distrutto per sempre anche la più piccola traccia di ego proprio. Uno dopo l’altro, i membri del Partito Tecnologico Liberale caddero sotto l’influsso di quel sistema deleterio che loro stessi avevano creato; e nel giro di un lustro, da quel giorno sciagurato in cui erano stati inviati quei video, non esisteva più persona dotata di una seppur minima forma di coscienza. Tutti erano ormai discepoli dello schermo, tutti oramai si dividevano tra un modulo e la fabbrica, in cui producevano auto regali e jet privati, gioielli d’oro e d’argento e altri articoli di lusso ancora, dei quali più nessuno aveva bisogno ne tantomeno desiderio; e così, dopo la produzione, venivano accatastate fuori della città, come tristi monumenti alla decadenza della civiltà

Millenni passarono, e poi milioni di anni, ma nulla cambiava, il controllo degli schermi sui suoi discepoli era fortissimo. Quando uno schermo, o uno dei computer che creava e distribuiva autonomamente i filmati, si guastava c’era sempre il discepolo specializzato che lo aggiustava, senza chiedersi nulla. Nessuno aveva la benché minima possibilità di pensare autonomamente, visto che il cervello non era nemmeno più abituato a ragionare da solo; e anche se lo fosse stato, comunque l’ipnosi degli schermi gliene avrebbe cancellato la volontà. Così, senza più fantasia o emozioni, il mondo andava avanti per inerzia, statico, i figli nati semplicemente dal sesso, senza più alcun tipo di amore, sostituivano i genitori nei lavori senza nemmeno immaginare di potere fare qualcosa di diverso, senza vivere davvero neanche un momento, sopravvivendo tra il lavoro e il poco tempo di svago, che era in pratica riempito solo dalla visione dei video. Fuori dalle città di moduli, autosufficienti e assolutamente isolate dal mondo, sepolte ormai come erano dalle montagne dei beni prodotti, che a nessuno più servivano, la natura proliferò; le piante e gli animali selvatici, senza più nulla a contenerli, invasero le città del passato, a quel punto vuote e semicrollate per mancanza di manutenzione, e in qualche milione di anni nulla, al di fuori dei moduli, poteva far pensare che ci fosse mai stata una civiltà, su quel pianeta. In alcuni milioni di anni, il mondo riprese il suo corso: l’evoluzione ripopolò il pianeta di nuove forme di vita varie e meravigliose, e la natura rinacque, anche se mai più generò una specie intelligente, quasi come fosse cosciente dei danni che essa avrebbe potuto fare a se stessa e al mondo. Ma anche all’interno, ed era impossibile che ciò non avvenisse, il darwinismo biologico era presente: e si produssero così esseri sempre più gobbi e deformi, scarsamente dotati del cervello, che si atrofizzava sempre più, ma fortissimi fisicamente, adatti solo al lavoro manuale che caratterizzava la loro vita. Era logico, la mente non veniva più usata, e di conseguenza nessuna tecnologia poteva essere inventata, nessuna idea partorita, nessuna speculazione messa in essere: il progresso umano si era completamente fermato. Tuttavia, nonostante le ormai ridotte capacità intellettive, gli uomini non erano tornati allo stato animale: erano più simili a delle macchine, dei robot che si muovevano senza alcuno scopo, solo lavorando, e passando il resto del tempo tra il sonno e lo schermo, di cui avevano un bisogno impellente, peggiore della dipendenza dalla più assuefacente delle droghe passate. Ormai non avevano più nessuna materia grigia da distruggere, nessuna coscienza da sopprimere o stordire, ma comunque la necessità degli schermi era entrata loro dentro, nel loro DNA; e così, tutta la loro vita si sprecava tra un lavoro devastante, che li distruggeva negli appena trenta anni di vita media, e la perdizione in un continuo video psichedelico sullo schermo di un computer.

Passarono cinque miliardi di anni senza che nulla cambiasse. Quella pallida e orrenda ombra che restava del genere umano ancora sopravviveva rinchiusa in quelle città come in una prigione, senza alcuna speranza di modificare le cose. Ma qualcosa stava in effetti per cambiare: il Sole aveva finito l’idrogeno che lo alimentava, e stava passando alla fase successiva della sua evoluzione, come del resto doveva essere: lo avevano previsto cinque miliardi di anni prima gli scienziati, uomini liberi prima del dominio degli schermi. Anche se sepolti sotto le decine e decine di chilometri delle montagne di prodotti inutili, accumulatisi in quei milioni di anni al di sopra delle città, mentre il Sole si ingrandiva anche gli uomini non potevano fare a meno di soffrirne l’immenso calore. Così, lentamente, gli abitanti dei moduli cominciarono a morire in modo atroce uno dopo l’altro, uccisi dall’alta temperatura; non soffrivano, ovviamente, non gli importava delle ustioni e della sofferenza che il calore gli causava visto che non erano più dotati di un cervello; ma era comunque uno spettacolo raccapricciante, che fortunatamente nessuno, però, avrebbe mai visto. Poi, dopo poco tempo, anche una Terra ormai deserta fu inglobata all’interno dell’atmosfera di un gigantesco Sole rosso, e tutta la decadenza, tutti i mostruosi abomini che il genere umano aveva causato a se stesso, furono cancellati, come se l’universo stesso avesse, per pietà, dato un colpo di spugna a quell’aberrazione.

giovedì 20 gennaio 2011

Ancora un passo indietro

Ancora una comunicazione, oggi. Ci ho riflettuto moltissimo, negli ultimi giorni, ed infine ho deciso di riaprire il commento ai post di questo blog, anche se ora il commento sarà più limitato. Innanzitutto solo chi ha un account google (o compatibile a questo, tipo Worldpress) potrà farlo: gli anonimi sono banditi in via definitiva, in modo da evitare che chiunque possa ancora disturbare con insulti o con pettegolezzi, come successo le altre due volte. In secondo luogo, una nuova caratteristica, che non so se sarà solo provvisoria o definitiva, dipenderà dal nuovo andazzo: i commenti saranno moderati, perciò ogni commento verrà visualizzato da me, e nemmeno finirà nel blog, se ritenuto pettegolezzo o insulto. Anche questa nuova caratteristica serve a scoraggiare i troll dal dare fastidio. E' tutto, concludo dicendo che spero davvero che fatti come quello di luglio e quello di pochi giorni fa non si ripetano, e che non si abusi della libertà di commento.

Piccoli aggiornamenti di immagine

Ho aggiornato leggermente l'immagine del blog, togliendo qualche barra senza più senso e aggiungendone di altre, in modo da renderlo più gradevole. Null'altro da dire, se non che a breve tornerò con racconti nuovi e nuove poesie, magari.

mercoledì 12 gennaio 2011

Il fiore più bello

Avrei voluto dedicare alla mia Manu questa poesia floreale tra un mese esatto, il 12 febbraio, che è il nostro anniversario; tuttavia, ho deciso di pubblicarla ora, perché non posso aspettare (e poi è sempre il nostro undicesimo mesiversario). I fiori che cito sono tutti simboli delle sue qualità (per esempio il fiordaliso è simbolo di dolcezza); ancora una volta, non mi importa se piace ai miei lettori, basta solo che piace alla mia gioia.

Il fiore più bello

Il fiordaliso, il lillà rosa,
Il tulipan, giallo-rosso fior,
La rosa rossa, così odorosa
O i fiori di pesco, ancor?

Per me però è nessuno di essi
Il fior miglior in assoluto
E tu, o Manu mia, già pensi
Quel che più mi è piaciuto

Puoi esser sol tu, ovviamente
Ragazza, di tutte la più bella,
Che mi fa batter forte il cuore

E che mi coccola, teneramente,
Stupenda mia anima gemella
Per cui per sempre avrò amore

domenica 9 gennaio 2011

Un "basta" definitivo all'immondizia

No, non parlo qui di Napoli o simili; semplicemente, questo post serve per comunicare la mia decisione di chiudere definitivamente i commenti, sia ad anonimi che a utenti registrati, nessuno potrà più commentare alcuna cosa. Come ho preso questa decisione? Quando l'ennesimo troll anonimo è venuto a infastidire con dei post inutili. Personalmente non mi ha offeso minimamente, del resto quando si ha a che fare con persone del genere, che valgono zero, l'offesa non può che essere nulla. Sono però stato molto infastidito dalle allusioni di questo anonimo, per motivi miei privati, e ancor più toccata ne è stata la mia ragazza, per ragioni anch'esse private (ed è questo che, in fin dei conti, mi ha fatto infuriare); per questo, per evitare che si verifichi di nuovo un'esperienza del genere, per evitare che un essere infimo figlio di puttana, decerebrato e criminale causi ancora problemi come quelli avvenuti questa sera (di cui non parlo, per non dare soddisfazione al suddetto animale immondo), sono costretto a chiudere per sempre il commento al blog. E questo, che si sappia, perché sono civile: fossi stato più cattivo, sarebbe partita la denuncia alla polizia postale questa sera stessa.

Mille grazie al suddetto schifoso rifiuto umano, comunque, mi ha fatto aprire molto gli occhi sul fatto che quello che scrivo è assolutamente meritato, che quando scrivo dello sterminio della razza umana, certi individui se la meritano davvero, una morte violenta ed anche lenta e dolorosa; ed in particolare individui vigliacchi e codardi come il truce violentatore all'origine di questo post, che può permettersi di far del male ad una coppia (nel senso di due persone, perché di sicuro non è questo che ci mette in crisi; ti è andata male, mia merdosissima feccia umana), perché tanto l'anonimato e lo schermo lo proteggono, come il più patetico e classico dei poveri segaioli depressi e infelici, senza una vita, e che da poveri falliti quali sono, sono soddisfatti solo facendo del male agli altri.

Agli altri lettori del mio blog chiedo scusa per la volgarità di questo post, ed anche per la chiusura dei commenti; ma sappiate che sono davvero infuriato. Di solito, o almeno ultimamente così ho imparato, tendo a non dare corda a certa gente chiaramente fastidiosa, ma a ignorarli semplicemente; però le illazioni e i pettegolezzi mendaci di questo verme, che hanno gravemente ferito ben due persone (a cui non è degno nemmeno di baciare le scarpe), non potevano essere ignorate, questa volta.

Detto questo, una comunicazione finale, avulsa dal resto del post: sto preparando un paio di nuovi racconti e il quinto capitolo del romanzo; spero che a breve, sempre che abbia tempo, saranno pubblicati.

venerdì 7 gennaio 2011

Due importanti ricorrenze

Oggi (e precisamente a quest'ora, 18:22) sono esattamente due anni che questo mio blog è in rete, ed essendo ormai quasi come una specie di "figlio", per me, vorrei fargli gli auguri per questa importante ricorrenza. In secondo luogo, poi, questo post con cui festeggio il secondo anno di vita del blog è per una strana coincidenza anche il post numero 100 del blog, e anche questo, a mio avviso, è un traguardo importante. Auguri a Hand of Doom, quindi, per questi due traguardi importantissimi!

lunedì 3 gennaio 2011

1.000.000.000 A.D.

Per iniziare l'anno bene, ecco un nuovo racconto, che è il primo dei tre che sto scrivendo ad essere completato. Questo è ispirato a due miei sogni, ma uno in particolare, che ho ricalcato quasi fedelmente la trama di questo racconto, mentre l'altro ha ispirato solo la piccola parte della torre Eiffel. Come prevedibile, ne è venuto fuori un racconto abbastanza onirico, magari anche privo di un senso profondo, ma comunque piacevole da leggere. Spero sia di gradimento, comunque, anche se non lo reputo tra i miei racconti migliori. Ah, dimenticavo: il romanzo di cui parlo all'inizio è esattamente quello che sto scrivendo!

1.000.000.000 A.D.

Ero fierissimo, il giorno dell’imbarco. Il mio nome sarebbe risuonato per sempre nella storia, visto che tutto quello che era stato fatto, la maxi-operazione messa in piedi da tutti i governi mondiali insieme, era merito del romanzo che avevo scritto. Anche se ero solo uno scrittore, anche se non avevo contribuito alla missione con qualche scoperta scientifica, avevo comunque, in parte, sensibilizzato all’argomento del riscaldamento globale alcuni, e poi, man mano che il fenomeno letterario si propagava, molti altri, finché tutta l’umanità ne fu a conoscenza. Il riscaldamento del globo era, negli anni dopo l’uscita del mio libro, avvenuto sempre più velocemente, fino al punto che si pensava che il clima era fuori controllo, e che in pochi anni il pianeta sarebbe stato tanto caldo da risultare inabitabile. Così, si era deciso di trasferire, con un grandissimo gruppo di astronavi, tutta l’umanità da un’altra parte, lontani dalla Terra che era oramai un pianeta morente e agonizzante. Insieme alla mia fidanzata, e con orgoglio, salii sull’astronave a cui ero destinato, pensando quasi, per qualche motivo che sfuggiva anche a me, di dover fare da navigatore alla nave; del resto ero ferratissimo, comunque, in fisica, e avrei potuto comunque contribuire alla navigazione. Così non era, anche logicamente, perciò ci fecero sedere entrambi in due comodi posti passeggeri, all’interno di una cabina simile a quella di un treno, ma più spaziosa e pensata per entrambi. Era bello, l’interno della nave, comodissima, ma il vero spettacolo era sopra di noi, ben più in alto della fine delle pareti della cabina: una gigantesca cupola, di cui solo la metà inferiore, in quel momento, era ricoperte di variopinte luci che ruotavano e si spostavano al suo interno come luminarie natalizie, e dai colori più accesi, dal verde brillante al rosso fuoco, dal giallo incandescente al blu elettrico. Ad un tratto, il capitano apparve negli schermi delle cabine, ed annunciò a tutti gli occupanti di quella nave che si dovevano allacciare le cinture quando la cupola si illuminava per tre quarti, poiché il viaggio sarebbe cominciato quando tutta la cupola sarebbe stata completamente luminosa.

Passò qualche giorno, come se nulla fosse. Dormivamo e mangiavamo ai nostri ampi e comodi posti, nella cabina, ed eravamo liberi di girare per l’immensa astronave come volevamo, senza che la cupola si illuminasse più della metà. Non ci veniva detto nulla, ne della partenza ne della destinazione; ma c’era qualcosa di strano, era come se non ci fosse importato nulla, come se non avessimo l’umana fretta di chiarire la situazione. Del resto, non ci annoiavamo, io e lei, eravamo sempre insieme e stavamo benissimo, col nostro solito affetto. Il terzo giorno, però, finalmente le luci si accesero, sopra di noi. Ci legammo stretti ai nostri sedili, poi anche l’estremità superiore della cupola si illuminò, e venimmo sballottati per un momento, mentre la cupola irraggiava colori bellissimi, mai visti prima, e gli occhi ci si riempivano di meraviglia. Fu una questione di secondi, però: la metà delle luci che si erano accese si spensero rapide. La cupola allora si aprì mostrandoci lo spazio sopra di noi, nel quale un grande pianeta era sospeso, e centinaia di astronavi, simili a quella in cui ci trovavamo, fluttuavano immobili. Riconobbi le forme dei continenti, e vidi con mia grande sorpresa che eravamo ancora sulla Terra, eppure qualcosa mi sembrava strano. Di nuovo il capitano apparve nello schermo, e ci spiegò che avevamo viaggiato ottocento anni nel futuro, per far passare il riscaldamento globale e tornare sul pianeta raffreddato. Con le mie competenze, capivo benissimo quello che diceva: ad una velocità pari quasi a quella della luce, avevamo viaggiato per tutto quel tempo nel vuoto, e avevamo sfruttato la compressione del tempo relativistica, per far si che ottocento anni passassero in pochi secondi. Il capitano disse che nonostante gli otto secoli, il riscaldamento globale ancora era presente e rendeva ancora il pianeta inospitale; poi aggiunse che se comunque qualcuno voleva visitarla, per poterne ammirare i cambiamenti, avrebbe potuto farlo nella pausa che le navi sfruttavano per la prossima accelerazione a velocità quasi-luminale. Ne parlammo brevemente, io e la mia lei, e insieme decidemmo di scendere sul pianeta.

Caldissimo. Questo sentivo, mentre camminavo sulla superficie della Terra, ottocento anni dopo l’ultima volta. C’erano settanta gradi fuori, e nonostante la tuta ermetica refrigerata mi proteggesse, comunque si sentiva che all’esterno c’era una temperatura altissima. Poco male, comunque, sembrava una temperatura lieve se guardavo le pozze di metallo evidentemente fuso e poi ri-solidificato che erano sparse un po’ ovunque, e che davano l’idea del calore immenso che aveva afflitto il pianeta nei tempi passati. Cos’era successo in quegli ottocento anni? Non lo sapevo, ma doveva esser stato qualcosa di terribile. Camminavo per le strade di Parigi, e lo spettacolo era surreale: non un palazzo era rimasto in piedi, non una casa, tutte cadute per la mancanza di manutenzione, di quella bella e romantica città, che aveva visitato tanto tempo prima, non restavano che le pallide macerie. L’esperienza più impressionante fu la nostra visita sotto la Tour Eiffel. Una volta era alta solo trecento metri, me lo ricordavo bene perché ci ero già stato sopra; ora invece si era allungata moltissimo, ed era coricata su un lato, formando un gigantesco arco che si stagliava nel cielo, impressionante a vedersi. Fissavo quello spettacolo inebetito, quando ci fu ordinato perentoriamente di rientrare nella nave. Dopo la fine della passeggiata, venimmo a conoscenza della scoperta degli scienziati: sul pianeta c’era un microrganismo che alle temperature di sopravvivenza umana moriva di freddo, ma che con quelle alte temperature proliferava, e mangiava ogni cosa, dai tessuti umani fino ad, addirittura, la resistente tela di kevlar di cui le tute erano fatte. Non c’erano quindi le condizioni adatte per ritornare a Terra, e visto che oramai la ricarica era completata, ripartimmo per l’accelerazione a velocità quasi-luminale quel giorno stesso.

Stavolta il viaggio durò ben più dei pochi secondi che aveva necessitato la prima volta, e dopo un po’ capimmo che c’era qualcosa che non andava. Ad un certo punto comparve di nuovo il capitano nello schermo, visibilmente sudato e a disagio, e ci disse che il sistema di navigazione aveva funzionato male, portandoci completamente fuori rotta, e che non sapeva quando l’orbita perpetua, che comunque seguivamo ancora, ci avrebbe riportati vicini alla Terra, anche se era probabile, secondo i loro calcoli, che ci volesse una settimana, nel loro tempo interno. Continuammo a viaggiare per giorni e giorni, e quasi ci eravamo scoraggiati; poi finalmente la cupola si spense, e lentamente si aprì. Vedemmo allora un’intera superficie verde di quella che era, ovviamente, la Terra, già molto vicina, come se quasi fossimo già dentro l’atmosfera, all’altezza di crociera di un aereo. Arrivammo in pochissimo tempo a distinguere un albero dall’altro, nella foresta immane che si stendeva sotto di noi, poi il mondo oscillò totalmente, mentre urtavamo contro i tronchi e ci schiantavamo sulla superficie della Terra, strisciando poi per un lungo tratto. Fortunatamente nessuno si fece male, eravamo tutti con le cinture allacciate, ma lo schianto fu davvero uno shock enorme, per il nostro morale, e non solo. Per quanto fosse solida, tanto da salvarci la vita anche in quel tremendo impatto senza alcun freno, l’astronave fu praticamente distrutta, al punto di non poter più ripartire ne funzionare. Dovemmo così prendere quel poco che potevamo portare, e uscimmo all’esterno.

Ci ritrovammo nella foresta immensa ed impressionante che avevamo già visto dall’alto. Mi sentivo piccolo, lì, quegli alberi erano alti oltre trecento metri, mai visti di così grandi, ed i più larghi avevano tronchi di quaranta metri di diametro, e sembravano quasi giganteschi palazzi di legno. Davanti a noi, c’era una grande radura, ma l’erba era anch’essa altissima, ci arrivava al petto. La stavamo attraversando quando dalle cime degli alberi vedemmo un volatile simile a un passerotto alzarsi in volo da un ramo, su in alto, e volare nella nostra direzione; man mano che ci si avvicinava, però, ci accorgevamo che quell’uccellino diventava sempre più enorme, e quando atterrò poco lontano da noi, ci lasciò completamente sbigottiti. Era alto quanto un palazzo di cinque piani, e altrettanto largo! Doveva essere un effetto dell’evoluzione di tutto quel tempo passato giù sulla terra, ma in quel momento non importava affatto a nessuno, ne qualcuno era meravigliato positivamente: si pensava solo a scappare. Era una cosa ragionevole, visto che appena atterrato, l’enorme volatile aveva calato il becco sul comandante della nave, inghiottendolo in un sol colpo, e poi aveva inseguito altre due persone, che aveva voracemente divorato. Ci separammo dagli altri, io e la mia lei, e fuggimmo spaventati, correndo veloci, dentro la foresta. Nella foga di scappare via, però, non ci accorgemmo però dell’alta gola che si apriva davanti a noi, così ci finimmo dritti dentro. L’acqua sul fondo attutì la nostra caduta, e mentre l’ombra minacciosa passò sopra di noi, la corrente ci trasportò dove voleva.

Dopo circa un’ora, in cui viaggiammo sul fiume a bordo di un tronco che fortunosamente avevamo, arrivammo in una zona dove l’argine era abbastanza basso e pianeggiante da essere risalito. Ci inerpicammo su, in alto, e vedemmo un oggetto stranissimo, al centro della grande pianura a lato del corso d’acqua: una immensa cupola dalle costole esterne di acciaio, tra le quali si tendevano spessi strati di rete metallica, così fitta da non potervi guardare all’interno. Pieni di curiosità, ci avvicinammo, ed eravamo quasi arrivati quando dall’erba altissima spuntarono fuori delle creature stranissime. Ricordavano gli esseri umani, erano solo molto più alti, toccavano forse i tre metri, ed avevano una forma particolare, quasi ovale, senza collo, con la testa incassata nelle spalle. I loro vestiti erano dei corti gonnellini di paglia, che lasciavano scoperto il petto, e nella mano stringevano una lancia blu luminosa, che nel complesso dava loro un aspetto dai selvaggi: ma nei loro occhi brillava l’intelligenza, ed anche uno sbigottimento pari al nostro. Uno di loro si fece avanti, e parlandoci in un inglese dallo strano accento, ma sorprendentemente comprensibile, ci invitò a seguirlo.

Entrammo da una grande porta nella cupola di rete, e all’interno, con nostra grande meraviglia, potemmo ammirare una città meravigliosa, con i palazzi dalle forme più curiose; le strade, lì, erano pavimentate di acciaio, e vi passavano auto a levitazione magnetica come non ne avevamo mai viste. Mentre sbarravamo la bocca stupefatti, con molta gentilezza i giganti ci condussero su una di queste auto, sulla quale salimmo noi e l’uomo che ci aveva parlato, e che continuava a spiegarci alcune cose sulla città. Viaggiammo poi per una decina di minuti, fin quando non arrivammo a quello che doveva essere il municipio della città, un edificio cilindrico di un solo piano, molto largo, in cima ad una collinetta. Entrammo nel lussuoso edificio, e venimmo accolti da un altro gigante, che con quell’inglese particolare ci spiegò di essere il sindaco di quella città, Erebussia, e che erano capitati in una delle città più antiche della nuova Terra. Disse poi che ci aspettava, che sapeva che prima o poi saremmo arrivati. Loro erano i discendenti di quelli che, seicento milioni di anni prima, erano finalmente riusciti a ritornare a Terra, dopo oltre quattrocento milioni di anni di pellegrinaggio. Purtroppo il mondo, abitabile di nuovo, era popolato da giganteschi volatili carnivori, e quando succedeva che alcune specie si estinguevano, altre prendevano il loro posto, come se non ci fosse nulla che potesse sconfiggere quei mostruosi pennuti. Loro erano stati costretti a rinchiudersi in tante piccole cittadine, e anche se nel tempo si erano evoluti per essere più forti, non erano arrivati minimamente alla forza fisica degli uccelli; ne, d’altra parte, potevano sterminarli con la tecnologia che possedevano, visto che la loro cultura non ammetteva il non rispetto della natura. Comunque, i loro avi avevano lasciato a quel popolo un testo scritto, nel quale tra le tante cose c’era narrato che una nave sarebbe tornata dopo seicento milioni di anni, secondo i loro calcoli, con a bordo colui che, col suo romanzo, aveva consentito a tutti i loro antenati di sopravvivere (ossia io, con mio grande orgoglio), invece di morire cotti sul pianeta; i passeggeri della nave, e costui in particolare, si dovevano quindi aspettare e soccorrere, quando la nave sarebbe tornata a Terra, perché sapevano che alla fine sarebbe tornata, probabilmente schiantandosi. Per questo avevano conservando la nostra lingua; ed ecco perché ci trovavamo lì, sulla collina che un miliardo di anni prima era il monte Erebus antartico, in quel continente chiamato Antarica, dal clima tropicale ma che un miliardo di anni prima era un gigantesco vulcano dell’Antartide, in un futuro che era, in parte, anche merito mio.

Una volta concluso l’incontro col sindaco, venimmo scortati come dei personaggi importanti, con tutti gli onori, ad un hotel estremamente lussuoso, poco lontano da lì. Tutti i mobili erano altissimi, ma ci adattammo, comunque, come anche alle porzioni enormi del frigo-bar. Tutto sommato eravamo contenti: eravamo nel futuro, si, in un mondo che non conoscevamo, ma eravamo insieme, e la bellissima avventura ci aveva uniti ancor di più; inoltre, era tutto merito mio, e quasi venivo venerato, per l’importanza che per loro avevo, ero proprio entrato nella storia. Rimanemmo ad Erebussia, rispettati come uomini importanti e guardati con meraviglia, così, fino alla fine dei nostri giorni, felici di stare insieme anche se eravamo gli ultimi della nostra specie, anche lì, un miliardo di anni nel futuro.

sabato 1 gennaio 2011

Per il mio angelo

Rispettando il detto "chi fa qualcosa il primo dell'anno, lo fa tutto l'anno" ho deciso che oggi riempirò di affetto la mia principessa, Manu. Per questo, le dedico questo sonetto sentitissimo, in cui la descrivo benissimo come un essere angelico (lo è), il cui amore è quasi una medicina che sconfigge tutti i mali che mi affliggono. Per me è una poesia bellissima, ma non importa se non lo è, visto che so che piacerà all'unica persona a cui è diretta.

Per il mio angelo

Nuovi problemi ogni dì nuovo,
Ansie vecchie oppure novelle
Mi empon la testa come un uovo
Creando giornate poco belle

Ma son spesso felice, tuttavia
Senza traccia di umore cattivo.
E tu, dolce Emanuela mia
Hai idea di qual'è il motivo?

Perché ci sei tu, o Manu mia
Che coll'amor allontani i mali,
Di affetto colmandomi il cuore

Ed ogni incertezza mandi via
Abbracciandomi con le tue ali
Angeliche, divino mio amore!

Buon anno, Manu, ti amo!