venerdì 31 dicembre 2010
2010
martedì 28 dicembre 2010
Un caso di disinformazione?
sabato 25 dicembre 2010
Merry Christmas
domenica 19 dicembre 2010
Doom over the world?
lunedì 6 dicembre 2010
Una notte come tante altre
venerdì 3 dicembre 2010
Prigioniero di se stesso
mercoledì 1 dicembre 2010
Una breve riflessione sul mondo attuale
giovedì 25 novembre 2010
Un lunghissimo viaggio
lunedì 22 novembre 2010
Luna
Aggiornamento: il capitolo è disponibile a questo indirizzo
giovedì 23 settembre 2010
Gemini
Aggiornamento: il capitolo è disponibile a questo indirizzo
lunedì 6 settembre 2010
Terra
Aggiornamento: il capitolo è disponibile a questo indirizzo
venerdì 27 agosto 2010
La Ricerca nell'Immenso - Nova Sol
Aggiornamento: ora il primo capitolo del romanzo è disponibile a questo indirizzo
giovedì 12 agosto 2010
Un alfabeto d'amore
Piccolo restyling
martedì 27 luglio 2010
Supernovae
Dopo un bel po' di tempo, con tutti gli impegni del caso, i problemi, i malesseri, e tutto il resto, sono finalmente riuscito a trovare il tempo per finire la riscrittura di uno dei due racconti che sono andati persi. Rispetto all'originale, questa riscrittura mi è venuta più estesa, diventando il mio racconto in assoluto più lungo, risultato ottenuto introducendo il messaggio finale, un'idea che ho avuto solo di recente. A parte questo, è un racconto che non introduce nulla di nuovo, rispetto a racconti precedenti miei (per esempio, ha dei punti in comune con Mutua Distruzione Cosmica e con Invasione), ma che comunque mi pareva buono, e che spero piaccia.
Supernovae
L’astronomo sedeva sul prato, sorseggiando lentamente una bevanda rilassante e guardando il cielo, mentre dentro la cupola il telescopio lavorava catturando un’immagine, assistito dai computer. Lo studio che stava compiendo riguardava la velocità di fuga di alcune galassie lontane, ed essendo la potenza del telescopio non così grande, ci sarebbero voluti alcuni minuti prima che il CCD raccogliesse abbastanza luce da poter avere una spettrografia abbastanza precisa per le sue ricerche: così, lo scienziato era uscito fuori. Amava ciò che faceva, quel misto di programmazione informatica e di matematica che era diventata l’astronomia moderna; tuttavia, spesso nei tempi morti usciva a vedere le stelle coi suoi occhi. Era un emozione unica, gli piaceva così tanto guardare i puntini luminosi di quella sublime volta. Preso da una sensazione di tranquillità e pace, senza alcun pensiero per la testa, cominciò così, per gioco, a cercare di riconoscere ogni costellazione e ogni oggetto celeste che vedeva. Tuttavia, c’era qualcosa che non gli quadrava. Una delle costellazioni appariva strana, era come quasi se vi fosse una stella in più, non troppo luminosa, ma comunque in un punto in cui c’era solo una galassia, ma nessuna stella visibile a occhio nudo. Immaginazione? Incuriosito, l’astronomo prese l’atlante celeste delle stelle, e controllò quel punto: come pensava, non c’era alcuna stella. Ripensò allora alla galassia: era in effetti la galassia gigante più vicina a quella in cui si trovava il loro sistema solare, e nelle notti terse come quella si vedeva persino a occhio nudo. Un’idea ovvia balenò nella mente dello scienziato: che fosse una supernova esplosa in quella galassia? Esaltato dalla possibilità di una scoperta scientifica, balzò in piedi, e tornò nella cupola velocemente.
Quando il tempo di esposizione della galassia lontana che stava puntando finì, e il computer chiuse la camera del CCD, l’astronomo puntò velocemente l’altra, e scatto una serie di brevi immagini elettroniche della durata di pochi secondi ognuna, quanto bastava per avere delle spettroscopie abbastanza nitide. Non c’era alcun dubbio: lo spettro di quel puntino era quello di una supernova di tipo Ia, la prima dopo molti secoli in cui in quella galassia fenomeni del genere non si verificavano. Era una scoperta eccezionale, visto anche che la stella esplosa era vicinissimo al bordo galattico più vicino a loro, e la sua luce arrivava quindi quasi senza assorbimento lì, perciò si sarebbe potuta studiare con grande precisione. Fuori dalla cupola, il cielo cominciava a schiarire, la notte astronomica era finita, anche se ad occhio sembrava ancora tutto buio; l’astronomo stava per staccare dal lavoro e andare a casa, quando qualcosa, nelle immagini che aveva acquisito, lo colpì: vicinissimo alla prima supernova, si vedeva un altro spettro, molto meno luminoso, ma che sembrava essere senza dubbio una stella in procinto di esplodere in supernova. Che scoperta! Erano secoli che non si vedevano supernove lì, in quella galassia, ed ora addirittura due vicine allo stesso tempo! Senza pensarci due volte, lo scienziato chiamo i suoi “superiori” nell’università in cui lavorava, e annunciò la sua scoperta.
Presto però, da esclusivamente scientifico, la scoperta di questo fenomeno diventò noto a chiunque sul pianeta e poi, grazie alla ipertelevisione, nel resto della galassia, anche al popolo che ovviamente non si intendeva di astronomia. L’avvenimento non si limitò a due supernove, infatti, ma una dietro l’altra decine di stelle esplosero, ed infine la parte più “in alto” della galassia era luminoso, tanto che era visibile, seppur non troppo, anche quando il sole era alto in cielo. Senza dubbio era un grande spettacolo, tanto magnifico quanto innocuo, vista la gigantesca distanza che lo distanziava da loro. Per quanto al popolo potesse sembrare bello, però il fenomeno creava un mucchio di interrogativi e di grattacapi da risolvere alla comunità astronomica dell’intera galassia, che malgrado gli sforzi intrapresi nel tentare di capire cosa succedesse, non arrivavano a nulla che non fossero ipotesi, mere teorie, ciascuna delle quali con tanti punti deboli da porre seriamente in dubbio che ve ne fosse una valida. Per anni, mentre la sottile area luminosa avanzava lungo la galassia (era colpa della sua alta inclinazione, che faceva arrivare la luce delle stelle più vicine prima della luce di quelle più lontane, mentre gli scienziati pensavano che un osservatore perpendicolare alla galassia l’avrebbe vista esplodere tutta contemporaneamente), gli astronomi si chiesero in cosa si erano imbattuti. Fu solo dopo che diversi secoli furono passati, che si trovò un modo, per la verità abbastanza ovvio, finalmente adatto a risolvere l’annoso enigma.
In quegli anni, la tecnologia per il traversata nell’iperspazio, che per millenni era rimasta praticamente la stessa, con pochi avanzamenti, di colpo grazie a una grossa rivoluzione tecnica (proveniente da un intuizione geniale di un capo ricercatore e del suo team, dall’Università riunita del pianeta Strileen’g) si perfezionò in maniera tale da consentire viaggi molto più lunghi di quanto prima era consentito senza alcuna sosta intermedia, e consumando una quantità di energia minore che in precedenza, fattore determinante per l’impossibilità dei viaggi intergalattici prima di allora. La comunità astronomica pensò allora di utilizzare questo nuovo metodo di viaggio iperspaziale per recarsi nella galassia vicina, in un percorso che per quanto lungo (tre o quattro mesi contro i due giorni che servivano già prima dell’innovazione per attraversare la galassia da un capo all’altro) era fattibile. Era un periodo ottimo, per la galassia: i commerci e i traffici andavano bene, e c’era una grande disponibilità di risorse, proprio ciò che serviva per lo sviluppo di quelle tecnologie; così, in breve tempo le prime navi intergalattiche furono pronte. Il primo volo verso l’altra galassia fu un test, con dei robot a bordo, solo andata e ritorno. Tutto andò molto bene, come anche i successivi test; ed infine, nell’anno 19673 della Repubblica Galattica una missione scientifica, formata da tre navi intergalattiche con relativo equipaggio e da un nutrito seguito di ricercatori, partì dal pianeta su cui era stato scoperto il fenomeno, Manteran, che era anche il mondo abitato più vicino alla galassia su cui si stava dirigendo.
Ci vollero quasi quattro mesi standard per arrivare, in un viaggio continuo e tortuoso nelle vorticose turbolenze spazio-temporali che componevano gran parte dell’iperspazio, ma tutto sommato non ci furono che pochi problemi minori, risolti facilmente dai tecnici di bordo. Quando, dopo il lungo viaggio, le navi uscirono entrando nello spazio comune, lo spettacolo fu sconcertante, per gli equipaggi: dal cielo del violetto acceso, tipico dell’iperspazio, erano passati ad uno sfondo completamente nero, praticamente senza luci, il che li mise a disagio. I membri del personale di viaggio delle astronavi, civili ma di addestramento militare, non sapevano molto di astronomia oltre a quella parte puramente tecnica che serviva loro per governare le astronavi; si aspettavano così di arrivare in una zona completamente inondata di luce, invece che in quelle tenebre. Ma era chiaro: le due galassie, per quanto vicine, distavano quasi trecento milioni di anni luce standard, perciò le supernove avvistata erano esplose trecento milioni di anni prima, e restavano solo piccole e deboli stelle di neutroni. Era comunque un bene: navigare al tempo della loro esplosione sarebbe stato sicuramente mortale, le navi sarebbero state incenerite, mentre passare quando tutto ormai si era spento e non restava altro che molto gas freddo e rarefatto e una miriade di stelle minuscole comportava al contrario rischi quasi nulli. Proprio una di esse era l’unica luce che risplendeva immersa nel buio, una brillante stellina bianca, dritta davanti alla piccola flotta della missione scientifica. Erano usciti intenzionalmente in quel luogo, la prima stella di neutroni qualsiasi avvistata casualmente nell’iperspazio (probabilmente la più vicina alla loro galassia nonché la prima avvistata tempo prima, ma non era detto, vista l’imprevedibilità locale dell’iperspazio) era perfetta per cominciare a studiare il fenomeno per il quale erano venuti.
Restarono un mese in orbita intorno al piccolo astro, ad una distanza di sicurezza da evitare le forze di marea. Le analisi degli scienziati mostrarono risultati forse deludenti, ma che in fin dei conti erano piuttosto attendibili: era una normale pulsar, relitto di una supernova, come ne avevano analizzate già in passato nella loro galassia. La missione si spostò poi verso altre stelle in ogni parte della galassia, e in altri tre mesi ne analizzò diverse, senza riscontrare anomalie di sorta. Arrivati alla quinta stella, una di quelle più vicine al centro galattico, che sembrava solo leggermente più grande delle altre, e non presentava altre particolarità, un giorno però il radar di precisione di una delle navi captò un segnale, di una piccola massa, non molto distante da dove si trovava la nave. Era la prima massa che il radar indicava, mentre nei mesi precedenti non avevano trovato nemmeno il più piccolo meteorite, cosa che invece accadeva spesso nella loro galassia, e gli astronomi spiegarono che era probabile che la maggior parte dei corpi celesti rocciosi fossero stati disintegrati nelle supernove, e le nubi di polvere che avevano incontrato ogni tanto non interferivano coi radar. Dopo un consulto tra le altre navi, si decise di avvicinarsi all’oggetto per vederlo, ed eventualmente di raccoglierlo, se avesse dimostrato di avere qualche interesse scientifico.
L’oggetto si rivelò essere una capsula sferica di titanio rinforzato al carbonio, in una lega particolare che a quanto pareva dalle analisi fisio-molecolari poteva resistere a temperature e pressioni elevatissime. La perfetta sfericità di quello strano modulo era deviata solo da una piccola sporgenza su di un lato. La sporgenza venne spinta quasi fortuitamente, abbassandosi e rivelandosi un bottone, e su un altro lato della capsula si aprì un pannello prima invisibile. Uno schermo apparve, con grande stupore di tutti i presenti, e al suo interno fece la sua comparsa un essere bizzarro: ricoperto di strani e foltissimi peli marroni in tutto il corpo, aveva un volto stranissimo, con tre occhi disposti a forma di triangolo con la punta rivolta verso in giù, il naso assente, una specie di piccola apertura come bocca. Si trovava accanto alla capsula, durante il filmato, per questo coloro che assistevano alla proiezione in un clima surreale poterono notare come l’alieno fosse altissimo, quasi il doppio di loro. In una lingua stranissima, lenta e dissonante alle loro orecchie, l’alieno parlò per quasi un’ora standard, prima che il video si interrompesse. Il significato di quelle parole era incomprensibile per tutti ovviamente, ma per fortuna, a bordo dell’ammiraglia delle tre astronavi, c’era un computer con l’avanzatissima tecnologia fornita dall’Università riunita del pianeta Dolnes, la più avanzata della galassia in quanto a linguistica, e capace, anche da pochissime parole, di risalire alla lingua completa, e di compiere quindi una traduzione, per quanto magari non con la certezza di correttezza (c’era una probabilità di sbagliare una parola del 3,85%, su un messaggio sconosciuto della lunghezza di quello del modulo), comunque giusta.
Il computer lavorò a lungo, vista la complessità dell’operazione; ma infine diede il responso che tutti aspettavano con impazienza, e che ognuno potè infine leggere, dopo tre giorni standard di attesa, sullo schermo del computer comune, con tutti i partecipanti alla missione che, come in occasione della cattura della capsula e della prima proiezione del video, si erano radunati sull’ammiraglia. La traduzione del discorso fu letta all’equipaggio dal capitano della nave principale, generando un ondata di sbigottimento: il suo contenuto era così terribile che non si riusciva nemmeno a crederci. Ci fu chi si sentì male, chi rimase poi nella sua camera per giorni e giorni, addirittura uno degli scienziati ne fu così turbato da tentare il suicidio, sventato prontamente dall’equipaggio della sua nave. Dopo diversi giorni, quando lo shock si fu attenuato, ma l’orrore era vivo nei cuori di tutti, e non poteva essere attenuato, si decise all’unanimità di portare con se il modulo recuperato, come prova di ciò che avevano appreso lì, ma di lasciare immediatamente quella galassia. Non c’era alcun pericolo, ormai, ma per tutti era insopportabile restare ancora lì, tanto era il raccapriccio e il disgusto diffuso dalle parole del messaggio. Il giorno standard dopo, le tre astronavi partirono, dirette alla loro galassia madre.
Questo era il contenuto del messaggio: “Qui Hyran Dezhar, della razza Phirye, originario del pianeta Kojjares, fisico dell’università di Torador, pianeta capitale della Federazione Galattica. L’apocalisse è ormai alle porte del pianeta, e abbiamo poco tempo, ormai, prima che la fine sia giunta, ma vorrei lo stesso usare il poco tempo che mi rimane per lasciare ai posteri una testimonianza diretta di ciò che accadde, affinché questa tragedia non venga mai dimenticata, sempre che la vita possa ancora esistere dopo quello che è successo ormai in tutta la galassia e che sta per succedere anche qui. Tempo fa, la nostra galassia era pacifica e unita, una grande Federazione Galattica, che comprendeva tutti i pianeti conosciuti su cui si trovavano esseri intelligenti e senzienti. La Federazione era ancora giovane, all’epoca, così non tutta la galassia era ancora esplorata, e ogni tanto si compivano delle missioni per trovare altre razze intelligenti, da istruire con le tecnologie iperspazi ali, per farle unire ad essa . Circa mille anni standard fa, un avventuriero nativo di Kym, Jois Avall, scoprì uno di questi pianeti, che i suoi abitanti chiamavano Terra, chiamando se stessi “esseri umani” o “terrestri”. Non l’avesse mai fatto! Gli umani erano una razza estremamente intelligente, che solo per una sfortunata coincidenza non possedeva ancora la scienza dell’iperspazio. Una volta acquisite le nostre conoscenze, però, questi terrestri avanzarono moltissimo nel campo scioentifico, con soluzioni geniali, mai adottate prima. Non tutti gli umani erano però pacifici e acutissimi ricercatori: la maggior parte, anzi, erano gente immorale, e senza scrupoli, che adoperava la propria intelligenza solo per il proprio bene egoistico, senza curarsi degli altri; la razza umana chiamava questa caratteristica col termine“avidità”, unica razza a possedere un vocabolo per descrivere una cosa inimmaginabile per ogni altro popolo galattico. Così, una volta possedute le prime navi iperspaziali, gli umani conquistarono molti pianeti disabitati o senza razze intelligenti intorno al loro pianeta, e non solo per alleviare la pressione demografica, ma creando col tempo un grande regno a se, quasi indipendente dalla Federazione, dominata dal centro stesso da un unico capo, che si autodefiniva “Imperatore dell’Impero Terrestre”. Più passava il tempo, e più gli Imperatori si facevano avidi, e le loro mire si espandevano sempre più. Arrivò alla fine il giorno, ormai venti anni standard fa (lo ricordo chiaramente, ero giovane all’epoca ma lo ricordo chiaramente), e meno di mille anni dopo la scoperta della Terra, che l’Imperatore Terrestre Ferdinand IX dichiarasse guerra alla Federazione. Allora l’uomo rivelò un’arma segreta: un distruttore di masse, un macchinario che consente di creare un onda iperspaziale particolare che interagisce con le particelle di idrogeno, trasformandole direttamente in energia. Con questo metodo, colpirono Ompled, un piccola pianeta alla periferia del sistema, ai confini dell’Impero Terrestre, trasformando la stella in una supernova, e nelle loro intenzioni questo doveva essere il primo atto di una guerra che avrebbero vinto con facilità. Ma il risultato fu oltre le aspettative degli umani: l’onda non si fermò come previsto, ma anzi continuò, trasformando in supernove anche le stelle attorno, senza sosta, fino a che anche la Terra venne inghiottita dal suo stesso sole; ora la galassia, in soli venti anni, è per oltre la metà esplosa, e secondo i nostri calcoli l’onda continuerà fino all’estremo opposto del nostro sistema stellare, e proseguirà arrivando perfino quasi a sfiorare le nubi di Magellano, perciò tra altri 20 anni di noi non rimarrà più nulla. Per salvarci dalla fine della nostra civiltà, noi dell’Università di Vokin, qui su Torador, abbiamo deciso di mandare alcune capsule con questo discorso, nella speranza che qualcuno riesca a sopravvivere e a tramandare il nostro disastro, o magari che qualcuno trovi il modo per superare le distanze abissali che noi ancora non possiamo attraversare, e che arrivi qui dalla vicinissima Galassia di Andromeda. Capsule come questa, con lo stesso messaggio (solo questa ultima parte finale varia) sono state spedite un po’ ovunque nella galassia, a Undi, a Barapos, a Lorwenn, a Rahapea, a Siqq, a Paokertix e in decine di altri posti, tra cui anche alcuni pianeti dell’ormai estinto Impero Terrestre, tra cui la stessa Terra, Aurora, Oceanworld, Altair IV, Invictus e Anacreon, mentre questa avrà l’onore di ruotare intorno al sole della capitale, Torador. Ecco, è tutto. Qui Hyran Dezhar, scienziato e patriota della Via Lattea; anno standard 5122. Un addio, con la speranza che qualcuno riesca a ricevere questo messaggio, e che non faccia gli stessi errori che hanno fatto gli Umani. Addio.”
venerdì 16 luglio 2010
Passo indietro parziale
Fuoco e ghiaccio
martedì 6 luglio 2010
Cambio nei commenti: una questione di civiltà
"Partendo innanzitutto dal fatto che una poesia non è fatta da parole che vanno a capo senza un senso (per usare un eufemismo) ma sinceramente: questa è una poesia o una specie di articolo/schifezza con la libertà di licenza poetica (???) nella frase "E i superstiti, ormai senza casa vagava per le strade"?????????????
Ma dico io... questa "poesia" l'avrebbe scritta anche un bambino di 4 anni. Non c'è poesia, non c'è ricerca, non c'è licenza poetica, non c'è il minimo piacere nella lettura di una cosa così abominevole.
Ah, sono abruzzese. Mi dispiace, ma cambia hobby perchè questo non fa proprio al caso tuo..... "
Ora, io penso che ci siano due modi di esprimere un concetto o una propria opinione: il metodo civile e il metodo volgare. Ora, non voglio dire che io ho sempre usato il primo, e a volte nei momenti di stizza ci può anche stare di arrabbiarsi; ma di norma, per quanto mi sia stato possibile sono stato sempre civile, al contrario di questa persona. Un comportamento civile non risiede solo l'uso un linguaggio "diplomatico", ma anche di evitare di frequentare determinati ambienti, con cui si è incompatibili. Per esempio io, da amante di heavy metal, classica, ecc. potrei andare nei siti di coloro che ascoltano musica "da radio" e con motivazioni peraltro validissime, dal mio punto di vista, potrei affermare che ciò che a loro piace fa schifo. Perché dunque non l'ho mai fatto e mai lo farò? Questione di civiltà. Allo stesso modo, chi trova la mia letteratura abominevole, se è civile può anche non commentare i miei post, nessuno chiede la sua dotta opinione. Oppure può farlo, io sono ben tollerante anche verso i commenti negativi, ma purché siano critiche costruttive, non insulti verso la mia persona come verso chicchessia. In secondo luogo: perché scrivere come anonimo e poi cancellare il proprio messaggio? Per me è un atto che denota non solo carenza di motivazioni (è un abominio di poesia, secondo costui che evidentemente è il nipote di Dante... ma allora perché non ci fa leggere le sue poesie che sicuramente sono qualcosa di stupefacente?), ma anche una certa codardia, paura di far arrabbiare qualcuno, un comportamento che, passatemi il neologismo, definirei "bimbominkiesco". Purtroppo per lui, ad ogni commento mi arriva una mail, perciò può essere vigliacco quanto vuole, ha scritto ed ora se ne deve prendere la responsabilità. Ad ogni modo non finisce qui, perché dopo qualcuno, sempre anonimo (ma si può ragionevolmente supporre che sia stata la stessa persona, con pochi dubbi), ha lasciato un nuovo, corto, commento:
E' una cagata pazzesca (cit.)
mercoledì 30 giugno 2010
Volta stellata
domenica 27 giugno 2010
Attraverso le profonde tenebre
Dopo un periodo di "magra", sono finalmente riuscito a scrivere ben 3 racconti, anche se due sono solo delle riscritture di racconti già scritti ma perduti prima ancora di pubblicarli. Il terzo, quest'ultimo, è anche il primo che pubblico, mentre a breve finisco la riscrizione degli altri e pubblico anche loro. Questo comunque è un racconto onirico e in qualche modo sperimentale, enigmatico specie nel finale, ma che spero vi piaccia.
Attraverso le profonde tenebre
Quando mi svegliai, la luce era accecante, così tanto che anche a occhi chiusi mi dava un po’ di fastidio. Dovetti aprirli molto lentamente, man mano che mi abituavo, e dopo qualche minuto riuscii finalmente a tenerli aperti. Mi resi conto allora di essere in un ampia stanza, dalle pareti, soffitto e pavimento compresi, completamente bianchi, e senza la più piccola macchia. Su uno dei lati corti della sala, vi era l’unico oggetto in una stanza altrimenti completamente vuota, un’unica porta a vetri, con appeso un cartello: “giusta via”. Io mi sentivo come svegliato da un sonno di mille anni. Non mi ricordavo cosa c’era prima, o meglio: avevo dei ricordi che esisteva qualcos’altro, al di fuori della stanza, ma non riuscivo a focalizzare alcun ricordo in particolare, come se la mia mente si fosse improvvisamente svuotata del tutto e delle mie memorie non rimaneva, appunto, che il ricordo della loro presenza. Ad ogni modo, non aveva senso rimanere lì, sdraiato sul candido pavimento, così mi alzai e lentamente, sgranchendomi le gambe, che sentivo abbastanza addormentate, mi avviai alla porta. Dal vetro smerigliato, intravedevo dall’altra un’altra stanza, leggermente meno illuminata di quella in cui mi trovavo. Senza pensare a nulla, maneggiai il pomello, quindi attraversai quell’uscio. Fu così che tutto cominciò
Mi trovai in un nuovo ambiente, ancora più largo del precedente, di un colore beige tendente al grigio. Ogni tanto il muro presentava qualche crepa, quasi invisibile, ma nel complesso regnava l’ordine e il grande stanzone sembrava quasi come il precedente. Sul fondo, due porte, mentre alle mie spalle la porta da cui ero entrato sembrava essere scomparsa subito dopo che l’avevo varcata. Non sapendo cosa fare, e senza pensieri, attraversai la stanza fino alla parete su cui si aprivano i due usci. Su uno, il più a sinistra, c’era di nuovo il cartello “giusta via”, ed era come la precedente, di vetro smerigliato; e dall’altra parte si vedeva ancora un ambiente, ancora di poco più buio del precedente. L’altra porta, invece, era di legno, completamente spoglia, un asse con un pomello. Volli comunque prendere la strada che era indicata come giusta, così entrai nella porta a vetri.
La grande camera era praticamente identica alla precedente, sennonché questa era grigia e l’intonaco alle pareti era abbastanza scrostato e con diverse crepe, come usurato dal tempo. Davanti, nella parete opposta a me, vi erano tre porte, e come al solito, spinto in parte da curiosità, e in parte dalla consapevolezza di non poter far null’altro, attraversai l’ambiente fin lì. Una delle tre porte era completamente trasparente, e dall’altra parte si vedeva una luce violetta lampeggiare, e delle ombre strane muoversi, e stranamente mi sentivo attratto da quella visione. La porta centrale era di mogano, semplice e spoglia; la porta a sinistra invece era più chiara, invece, come di noce, e vi era attaccato con un chiodo l’indicazione “giusta via”. Senza alcun dubbio, nonostante la porta a destra mi incuriosisse non poco, mi fiondai in quest’ultimo uscio, con un senso di inquietudine crescente.
Le mura della stanza erano grigio scuro, pieno di fessure e di scritte e disegni osceni che appena intuivo, nella luce del locale, soffusa ma non per questo dolce, solo angosciante. Un'unica luce intensa spiccava in fondo alla stanza, un quadrato di luce immerso nel grigiore generale. Irrequieto per la stanza in cui ero capitato, corsi subito dall’altra parte, turbato da scritte come “la fine è vicina”, oppure “l’unica via è il suicidio” che man mano mi passavano accanto, sulle pareti. Arrivato in fondo, scorsi le 5 porte sulla parete, e la luce proveniva da quella centrale. Dall’altra parte, non si vedeva altro che luce, e la cosa mi confortava non poco: fui quasi indotto ad aprire questa. Tuttavia, delle altre quattro porte, tutte uguali, tutte semplici assi di legno scuro, solo quella più a manca era contrassegnata dal ben noto cartello. Con una strana sensazione di pesantezza nel cuore, ma sentendo comunque di star facendo la cosa giusta, presi la porta di sinistra, e la varcai.
Il buio era totale, ora, e non riuscivo a vedere nulla, nell’oscurità più assoluta. Mi spaventai di quel buio che vedevo, e tentai di tornare indietro, ma invano: la porta era sparita come in ogni posto che avevo visitato precedentemente. Sentivo un odore penetrante e ripugnante, quasi vomitevole, indescrivibile nella sua bruttezza, e l’aria era irrespirabile, visto anche il terribile calore di quella stanza, che all’istante mi rese completamente madido di sudore, dalla testa ai piedi. Presi ad avanzare a tentoni, e più avanzavo più l’inquietudine aumentava. Ogni tanto, sentivo come delle voci lontane che mi sussurravano cose orribili in lingue sconosciute dal suono sgradevole, e ogni volta il mio stomaco si chiudeva e la paura mi coglieva. Ad un tratto, una voce più forte delle altre arrivò alle mie orecchie, e sentii come un leggero tocco, come di qualcosa che mi sfiorava appena il viso. Nel più totale panico, presi a correre alla cieca davanti a me, mentre le voci si intensificavano e sembravano svolazzare attorno a me, sempre più vicine. Corsi senza nemmeno mettere le mani avanti, e così alla fine sbattei la testa contro una parete, e poi non ricordo più nulla (dovevo essere svenuto), fino al mio nuovo risveglio.
Non so quanto ero rimasto lì sdraiato, se un ora, un giorno, o qualche anno, avevo perso a lungo la percezione del tempo; fatto sta che quando tornai cosciente era buio quasi quanto prima. Le voci erano sparite, ma lo stordimento e il disorientamento che seguirono alla ripresa lasciarono presto il posto ad una nuova inquietudine. Mi alzai con fatica, visto che il pavimento sembrava in qualche modo coperto di qualche sostanza appiccicosa e disgustosa, e repressi un mezzo conato di vomito. Le tenebre si erano diradate un minimo, giusto ciò che bastava per vedere una serie di porte nere tutte uguali che si aprivano sulla parete contro la quale avevo sbattuto. Con la paura nel cuore, ma comunque sempre deciso a fare la cosa giusta, presi la porta più a sinistra che ovviamente era contrassegnata dall’ormai ben noto cartello.
Mi ritrovai nella stanza da cui ero entrato nell’ultima. Rinfrancato, andai avanti e ancora una volta presi la via giusta, e ritrovandomi nella sala ancora precedente, più fiducioso, andai avanti sempre per la giusta via. Stanze più scure e rovinate e stanze più chiare e composte si alternavano, ma non finii mai più, con gran sollievo, in una stanza di quelle completamente buie. Tuttavia, man mano che avanzavo, l’euforia di essere uscito dall’incubo del “salone delle tenebre profonde” (come nella mia mente avevo chiamato quel luogo buio e spaventoso che avevo visitato) calava sempre più, e alla fine ero di nuovo irrequieto. Mi sentivo in trappola, come se fossi in un labirinto senza via di uscita.
Continuai a vagare per quelle sale per quelli che sembrarono mesi, senza mangiare, senza dormire, con l’unico desiderio di andarmene da quel luogo che avevo iniziato ad odiare. Quando ormai tutte le speranze mi stavano abbandonando, però, qualcosa finalmente accadde. Attraversai la giusta via, e invece che nella solita stanza grigiastra, mi ritrovai nel locale dove tutto era cominciato. Era molto più piccolo, ora, una specie di corto e stretto corridoio, ma senza dubbio era la stanza da cui ero entrato. Dall’altra parte, la porta a vetri smerigliati mi aspettava, ma di là intravidi qualcosa che mai mi sarei aspettato: giallo chiaro, e azzurro. La visione era meravigliosa, ormai colori come quelli non li vedevo da tantissimo tempo, abituato a quei toni di grigio e di tanto in tanto a qualche colore scurissimo e pallido che proveniva da una delle porte. Alla vista di quei colori vividi, l’emozione mi prese, e commosso mi avviai alla porta. La aprii, e mi trovai fuori. Il sole splendeva alto nel cielo, e illuminava la spiaggia, e il mare era azzurro e blu. Era tutto così bello! E poi compresi… ce l’avevo fatta, e ora davanti a me si stendeva un oceano di vita e d’amore.
sabato 19 giugno 2010
Alla mia angelica metà
giovedì 10 giugno 2010
Insonnia IV
lunedì 31 maggio 2010
Insonnia III
Insonnia III
Coricato ancor sul giaciglio
Osservo l'orologio
Con sempre più scoramento
Nella mia anima.
Ancora una volta troppo
Breve è stato il mio sonno
Come già da mesi ad ora.
E pur essendo distrutto nel fisico
E nello spirito, ancor resto ore,
Ed ore a girar nel letto, tentando
Disperato, di dormire almeno
Un solo attimo, ma invano.
Così, giorno dopo giorno,
La mia vita si consuma
Ancor più, e sempre più
Tutto il mondo diviene
Vuoto e senza senso