lunedì 31 dicembre 2012

2012

Ennesimo anno, ennesimo bilancio. Quest'ultimo anno, per me, è stato piuttosto positivo, devo dire. Ci sono stati anche quest'anno certo dei problemi, anche parecchio grandi, ma se bisogna proprio fare un bilancio, gli avvenimenti positivi superano quelle negative. Rispetto all'anno scorso, in cui ero decaduto totalmente, quasi una larva umana, sono finalmente riuscito ad un certo punto (verso la metà di Aprile, direi) a farmi forza, e il resto è venuto da se, con la situazione che è migliorata sempre più. Ho fatto tante esperienze e sono sempre stato meglio, sono sempre cresciuto d'umore e sono arrivato, quest'estate, a divertirmi davvero e alla felicità vera, provate ben poche volte prima. Ci sono stati quei grossi problemi di cui sopra, perciò non me lo sono potuto godere appieno: ma se il prossimo anno sarà così e con meno problemi (e io me lo auguro), potrà sicuramente essere il migliore dacché mi ricordi. Tutto ciò è avvenuto grazie ai miei amici, che hanno tirato fuori da me la forza che nemmeno io credevo di avere: e così, con questa rinnovata e dirompente potenza e convinzione in me, sono riuscito finalmente ad essere una persona normalmente felice. Sono anche contento di essere immensamente cresciuto, di aver sviluppato come mai prima la mia cultura e il mio pensiero, e di aver incrementato anche le mie capacità mnemoniche ed intellettive, grazie ad esercizi mentali appositi (ma anche di questo in parte devo ringraziare gli amici, che hanno fatto girare l'effetto Rosenthal).

Per quanto riguarda la mia produzione, rispetto agli altri anni è stata un po' scarsina per quanto riguarda la quantità, ma qualitativamente, almeno credo, molto buona, almeno per come l'ho percepita io (anche se questo non indica che sia effettivamente così). Ho scritto alcuni tra i miei racconti e tra le mie poesie che ritengo più validi, tra i miei preferiti io credo, ed inoltre mi sono concentrato anche su altri tipi di progetti al di fuori di questo blog, pur riguardando sempre la scrittura (nel momento in cui scrivo è ancora un segreto ciò che ho fatto, ma poi vi farò sapere). Comunque sia, insieme alla crescita personale di cui parlavo sopra, credo di essere cresciuto anche come scrittore: se questo sia vero o meno, non lo so, ma io spero davvero che ciò che scrivo sia migliore di quanto fatto in passato e peggiore di quanto farò in futuro!

Concludo con lo stesso augurio dell'anno, scorso, ossia che il prossimo anno sia meglio di quello passato, anche se devo dire che rispetto al 2011 parto da una base totalmente diversa in questa affermazione. Se l'anno scorso è stato pessimo, come dicevo nel bilancio un anno fa, e perciò non mi aspettavo niente di buono, nulla di positivo, ora parto dalla consapevolezza di poter avere sempre di più, grazie a me stessso. Gli anni decadenti sono finiti per sempre, probabilmente stanno per incominciare quelli più epici, e io spero che tra un anno vi starò scrivendo qui più felice che mai di quanto la mia vita sia bella. Auguri per il prossimo anno, quindi, a me ma anche a voi, miei pochi ma amati lettori!

martedì 25 dicembre 2012

Auguri ai lettori

Come al solito, oggi che è natale vorrei augurare buone feste a tutti i miei lettori; non che io creda nella sacralità di queste feste, anzi è mia tradizione ormai da anni ascoltare  il black metal più satanico e il death metal più anticristiano che ci siano in questa festività (pare una battuta ma è vero!), ma visto che d'altra parte tengo in particolare a tutti quelli che mi leggono, allora non posso che augurarvi delle festività gioiose e insieme alle persone che amate. Auguri!

giovedì 20 dicembre 2012

"Una Peccatrice", di Giovanni Verga

Vorrei cominciare il secondo filone di questo appuntamento fisso nel blog con una breve recensione. Recensioni di film e di libri forse non saranno l'anima di questo angolo, ma ogni tanto ve ne proporrò alcune.

Questa mia prima recensione riguarda il breve romanzo Una Peccatrice di Giovanni Verga, letto qualche mese fa. Il libro in questione è un'opera giovanile dello scrittore siciliano, tra le prime che egli abbia mai scritto, ma nonostante ciò sono già presenti, in forma embrionale, tutti i temi che poi lo renderanno famoso, su tutti quello dei vinti, i personaggi vittime della vita. Inizia qui ad emergere quindi quel pessimismo verghiano che è bandiera sua e del Verismo, contraddistinguendolo dal Naturalismo di autori quali Zola, che pur a tinte cupe disegnavano la possibilità di cambiamento e di "redenzione". Il linguaggio è abbastanza desueto ma comprensibile a chi abbia una cultura di scuola superiore, mentre lo stile è abbastanza arzigogolato e serioso, ma nulla di troppo astruso

La trama è la seguente [inizio spoiler]: il giovane Pietro Brusio è uno studente di legge, diligente e su cui la famiglia può contare, finché non accade un incontro fatale con una nobildonna d'alta società, che lo cambia totalmente. Ella gli causa un colpo di fulmine, amore praticamente a prima vista, ma lei oltre ad essere di estrazione, come detto, nobile, è sposata con il conte di Prato. L'amore sembra subito disperato: quando lei capisce di avere un ammiratore, lo considera con sufficienza, ma Pietro non desiste nonostante l'ovvio scoramento e continua imperterrito trascurando ogni altra cosa, seguendo anche la contessa a Napoli quando lei si trasferisce. Lì compone un'opera lirica (probabilmente ciò è una nota autobiografica dell'autore, insieme agli studi di legge), il Gilberto, che ha un gran successo; e vedendo l'opera, lei capisce che la trama è basata sulla loro storia, e inizia ad interessarsi molto al compositore. Dopo molte peripezie, la contessa (che si rivela chiamarsi Narcisa) abbandona suo marito e scappa con Pietro, ormai innamoratissima: è quindi, apparentemente, un idillio. Eppure, quello che sembrava dover finire così, a causa di incomprensioni e di un'atteggiamento molto ansioso da parte di lei (che ad alcuni, nei tempi moderni, potrebbe risultare addirittura divertente), i due si allontanano progressivamente, finché Narcisa, non sentendosi più amata e pensando di aver perso il suo Pietro per sempre, decide di avvelenarsi (e al contrario di quanto detto poco fa, quelle pagine sono veramente tristi e toccanti), e muore tra le sue braccia. Il racconto si conclude con lui che ne rimane shockato a tal punto, ci racconta Verga, da ridursi alla mediocrità per tutto il resto della sua vita. [fine spoiler]

Una trama scarna ma buona in un libro ben scritto, magari non facilissimo per chi non vuole impegnarsi ma comunque che può piacere a chi va di andar oltre la semplice lettura della domenica (ma anche a questi ultimi potrebbe piacere, vista la complessità poi non così grande): questo è "Una Peccatrice" di Giovanni Verga. Consigliato quindi a chi ama la letteratura semplice e il romanzo dal sapore antico.

P.S. per le due settimane della pausa natalizia, sarà in pausa anche questa rubrica, quindi si ricomincerà giovedì 10 Gennaio con un nuovo articolo di scienza.

giovedì 13 dicembre 2012

21 dicembre: il pianeta Nibiru

Vorrei cominciare questa nuova mia "rubrica" su Hand of Doom con un articolo un po' particolare, a metà tra il debunking e la scienza, che mi è venuto così, quasi dal nulla.

Come tutti sapranno, il prossimo 21 (o 23) dicembre, secondo le fantomatiche profezie del popolo Maya è previsto un qualche evento, anche se sembra esserci indecisione tra la fine del mondo o un cambiamento in qualche modo spirituale; tali ipotesi sono supportate da profeti, complottisti, santoni new age e chi più ne ha più ne metta. Una delle tesi più propagandate in tal senso è quello di un pianeta in rotta di collisione con Terra, che impatterà proprio in quella data, chiamato Nibiru in onore degli studi dello scrittore azero Zecharia Sitchin, che sosteneva, sintetizzando, che gli Anunnaki, deità sumere, fossero in realtà abitanti di questo pianeta, il quale torna ogni tanto nel sistema solare interno nella sua rivoluzione intorno al solo (cosa c'entrino i Maya con i Sumeri, non si è ancora capito). I governi del mondo sarebbero al corrente di questo evento futuro, secondo la ben nota paranoia dei complottista, ma non lo dicono in pubblico, e mentre i grandi e i potenti si preparano a mettersi al riparo, la popolazione morirà tutta. Ma è davvero possibile tener nascosto un simile segreto? La risposta è no.



















Facendo dei calcoli ed applicando poche semplici formule di astrofisica, mi sono divertito a trovare alcuni parametri del pianeta; per fare ciò, come in ogni modello di fisica teorica, ho dovuto ipotizzare alcuni dati fisici di esso (questi dati potrebbero essere anche stati trovati, chissà in quale maniera anti-scientifica, dai propugnatori delle teorie sul 2012, ma non ho davvero alcuna volontà di andarli a cercare sui loro siti), cercando anche di creare la situazione più estrema possibile (in modo che situazioni  meno improbabili diano risultati ancor più eclatanti). Innanzitutto ne ho calcolato la distanza dal nostro pianeta: può sembrare un dato impossibile da calcolare con la sola matematica, ma basta ipotizzare la velocità ed essendo nota la distanza temporale dall'evento, si può calcolare quella spaziale. Certo, la velocità è pur sempre incognita, ma l'ho ipotizzata grande circa cento volte la velocità orbitale terrestre (è un dato improbabilissimo, ma ai nostri fini è adatta). Altro dato immesso per ipotesi è la grandezza del pianeta: siccome Nibiru è abitato da una razza aliena, l'ho immaginato di poco più piccolo rispetto al diametro terrestre; potrebbe essere anche più piccolo, ma non poi di molto, visto che la gravità deve essere sufficiente alla conservazione di un'atmosfera. Infine, il terzo ed ultimo dato ipotetico è l'albedo, ossia un coefficiente che indica quanta luce viene riflessa da un corpo (celeste o meno): l'ho settata su quella della Luna, che è piuttosto scura nonostante ciò che si possa pensare, visto che il nostro satellite naturale ha in realtà un colore e una brillantezza paragonabili a quelli dell'asfalto. Per comodità di calcolo, inoltre, ho posizionato i corpi celesti con l'angolo nella figura qui a lato (con corpi e distanze non in proporzione): non è detto che i corpi si trovino in questa posizione, ma comunque ho anche visto che cambia estremamente poco, cambiando le posizioni relative dei due astri.

Ebbene, con questi dati emerge che il fantomatico Nibiru è oramai vicinissimo alla Terra, meno di un cinquantesimo della distanza Terra-Sole, anche alla sua immensa velocità (infatti le distanze cosmiche sono un dato inimmaginabile nel sentire comune, e sul fatto credo creerò un post, prima o poi); già a questo punto si può dire che, pur cambiando nella figura la posizione del pianeta rispetto alla Terra, il cambiamento rispetto al Sole sarebbe minimo, e perciò il risultato dei calcoli varierebbe di ben poco. Il risultato più eclatante è però il dato sulla luminosità dell'oggetto (la sua magnitudine apparente, per usare un termine tecnico); essa risulta di gran lunga il terzo oggetto più luminoso del cielo dopo Luna e Sole, circa 130 volte più luminoso del pianeta Venere (il più luminoso oggetto celeste che abbiamo in cielo) al suo massimo e solo poco più di sei volte meno luminoso del nostro satellite naturale . Anche esagerando i dati (peraltro già abbastanza esagerati di loro), la sostanza non cambia: con albedo o raggio diminuito o velocità aumentata, anche in senso estremo, pur diminuendo la luminosità dell'ipotetico Nibiru è sempre la terza sorgente luminosa, in cielo; e volendo proprio strafare, estremizzando tutti e tre i dati insieme, la magnitudine del pianeta sarebbe comunque tale da renderlo estremamente visibile, essendo brillante all'incirca come la stella Deneb (che è comunque una delle 20 stelle più luminose del cielo).

Le conclusioni quindi sono semplici: non è semplicemente possibile occultare la presenza di un presunto Nibiru in rotta di collisione con il nostro pianeta. Siccome, quindi, di questo fantomatico pianeta non c'è alcuna traccia, è praticamente certo che non vi sia alcun Nibiru in arrivo, e quindi che questo pericolo sia, ai fatti, inesistente. Sono bastati solo pochi calcoli e l'applicazione di semplici formule matematiche per poterlo appurare, e se anche è stato utilizzato un modello semplificato rispetto alla realtà (come ad ogni modo si fa spesso nella scienza), comunque il risultato è deciso, e aggiungendo condizioni fino ad arrivare a quella reale, il risultato cambia di molto poco. Come giudicare, quindi, il presunto arrivo di questo pianeta? Semplice, niente di più e niente di meno che una balla. Ovvio, di fronte a queste evidenze chi ha l'atteggiamento complottista l'accantonerà e tirerà fuori un'altra teoria; ma anche se non arriverò a smentirle nel dettaglio, sappiate solo che sono balle, tutte. Il 21 dicembre c'è solo un modo in cui il mondo finirà: che qualcuno di potentissimo e fuori di testa (il presidente iraniano Ahmadinejad da questo punto di vista è già sulla "buona strada"), credendo davvero nelle profezie, vedendo delusa la propria credenza decida di scatenarla di persona l'apocalisse, iniziando una guerra non convenzionale su scala mondiale, ad ulteriore riprova che il pericolo più grande per il mondo è la stupidità e l'ignoranza umana.

P.S. lascio a tutti voi le formule e il foglio di calcolo con cui ho ottenuto i miei risultati (potete scaricare lo zip con i file qui, scaricatelo perché in google drive non si apre bene); in quest'ultimo potrete anche divertirvi a cambiare le variabili per vedere ciò che viene fuori.

domenica 9 dicembre 2012

Lieve trasformazione per Hand of Doom

La questione è semplice: ho deciso una piccola trasformazione di Hand of Doom. Non è un cambiamento totale, al contrario racconti, poesie e semplici pensieri in libertà continueranno ad essere qui postati in libertà e senza schemi fissi; tuttavia, vorrei aprire un piccolo spazio anche dedicato alla mia passione per le scienze e per la cultura, possibilmente uno spazio fisso ogni settimana (magari alternando le due maxi-categorie), giusto per avere un ritmo (e magari aiutarmi anche un po' nella regolarità, che a sua volta farà bene anche, ho letto, al mio bacino d'utenza); visto che il giorno che mi torna più comodo è il giovedì, credo proprio che inizierò dal prossimo. Non so se la divulgazione scientifica e culturale potrà piacere ai miei lettori, che presumo essere di altro tipo, ma io spero davvero di si, anche perché per me scienza e cultura siano le cose più importanti (ed alla seconda appartiene anche la scrittura, beninteso), cosicché vorrei portare le mie opinioni anche in questi due campi, e rendere l'offerta di Hand of Doom più ricca. Ecco, questo è quanto, spero comunque che, anche con questa nuova caratteristica, voi lettori rimaniate comunque fedeli al mio blog. Al prossimo giovedì, dunque!

mercoledì 28 novembre 2012

Cuore di vuoto infinito

Qualcuno che mi conosce bene, avrà pensato che il "progetto" annunciato qualche settimana fa serviva solo a nascondere il mio cattivo stato d'animo. No, il progetto esisteva davvero ed è stato concluso da un paio di settimane (ma non dico nulla di più in proposito, se andrà in porto sarà una sorpresa). Tuttavia, lo stato d'animo è stato davvero orrendo, nelle scorse settimane, per tanti problemi, ed allora un giorno, ispirandomi anche ad alcuni discorsi con gli amici, mi sono messo a scrivere questo racconto. L'ho completato praticamente in quarantotto ore, sembrava allora qualcosa di molto bello e che si scriveva da sé; ora non sono più tanto sicuro della cosa, ma lascerò come sempre che siano gli altri a giudicare. Comunque sia, questo racconto voleva essere qualcosa di poetico e di drammatico, il racconto di un'umana tragedia, non la solita novella con una trama come parte principale, quanto qualcosa che si focalizza sul sentimento, un racconto "psicologico", insomma. Per fare ciò, ho fatto in pratica una fotografia della mia anima: qualsiasi sensazione provata dal protagonista l'ho potuta constatare in un modo o nell'altro di persona, e molte delle sue caratteristiche sono le mie, anche se la storia del protagonista è in buona parte totalmente inventata. Una puntualizzazione doverosa: la persona che descrivo ad un certo punto non è, come si potrebbe pensare, quella tal donna del mio passato, bensì è modellata sull'attrice Paget Brewster, la rappresentante del mio ideale di bellezza (anche perché se mai quella lì apparirà mai in un nuovo racconto, sarà per morire in modo estremamente doloroso). Questo è tutto, non mi resta che lasciarvi alla lettura del racconto, che spero vi piaccia.

Cuore di vuoto infinito

D. era seduto per terra, con la schiena contro il muro, mentre calde lacrime gli baciavano le guance. Nella fabbrica abbandonata da anni in cui si trovava, vi erano interi macchinari a pezzi, mostri enormi una volta possenti ma ora ridotti in terra, pezzi di intonaco staccatisi dalle pareti e dal soffitto, e, sparpagliata ovunque, una grande quantità di rifiuti di ogni tipo. Il buio era illuminato dalla pallida luce rossa dei lampioni della città poco lontana, che la nebbia diffondeva, e passava attraverso le finestre e l’apertura della pesante porta di metallo, lasciata spalancata dal giovane stesso nell’entrare; nel complesso ne risultava una visione brulla e decadente, il che era in una deleteria e perfetta armonia con ciò che il ragazzo provava in quei momenti. Si sentiva ormai sconfitto, un “vinto” come quelli così ben descritti da Verga, avrebbe detto in momenti felici vantandosi come spesso faceva della propria cultura letteraria: ma stavolta non era affatto dell’umore per pensare ad una cosa simile, il suo pensiero era a quel punto rivolto esclusivamente verso ciò che stava per accadere di lì a poco. Mentre rigirava tra le dita il lungo coltellaccio da cucina, unico bagaglio che si era e portato dietro da casa oltre alla solitudine, unica amica rimastagli, davanti agli occhi gli scorreva tutta la sua vita. Così breve era stata, eppur così immensamente lunga era sembrata, con tutto ciò che aveva passato, con tutto il dolore che aveva provato, con tutto il male che aveva subìto dal mondo.

La sua infanzia non era stata poi così pessima, anzi: aveva avuto una famiglia affettuosa accanto, ed era cresciuto come tanti altri, anche se rispetto ai suoi coetanei era sin da subito apparso più intelligente. Eppure, maturando, D. cominciò a sentirsi diverso dai suoi coetanei, molto diverso. Pian piano, sviluppò una concezione del mondo radicalmente diversa e decisamente più profonda del pensiero comune, una visione romantica ed idealista ai termini estremi. Se anche ci volle molto tempo per rendere le sue idee coerenti e completamente evolute, tale modo di pensare era presente sin da quando aveva quindici anni; e fu questo l’inizio della sua condanna. Se infatti aveva capito prestissimo quanto l’amore fosse importante, non riusciva a capacitarsi di come praticamente tutti quelli che conosceva, anche i più “sfigati”, avessero trovato tutti, se anche in modi e tempi diversi, una partner mentre lui, complice probabilmente la sua estrema timidezza, non riusciva ad avere neppur la più insignificante esperienza in tal senso. Dopo qualche anno di attesa passiva, provò a farsi avanti nella ricerca di una persona speciale, per quanto il suo carattere così introverso glielo permettesse. Era una ricerca apparentemente facile, viste le sue qualità ed il fatto che per lui contassero solo amore, sintonia e comprensione, ed una persona disposta ad amarlo con queste sole caratteristiche sarebbe potuta divenir per lui la sua vera anima gemella: nonostante ciò, riuscì a conseguire solo pesanti delusioni, alcune delle quali dolorosissime, che lo fecero soffrire immensamente, per quell’infelice principio secondo cui chi vive al massimo le emozioni positive, subisce immensamente amplificate anche quelle negative. Lui tuttavia non vacillò, era un uomo che non abbandonava i propri sogni facilmente e quelli d’amore, i più essenziali per lui, men che meno; al contrario essi si facevano sempre più profondi e sofisticati. Seppur fosse qualcosa per cui, dall’esterno, D. poteva essere visto come una persona estremamente ammirevole (per quanto i suoi coetanei ben poco lo stimassero, considerandolo nel migliore dei casi un ingenuo e nel peggiore un totale imbecille), e del resto anch’egli sapesse di star seguendo la giusta via per conseguir potenzialmente una vita piena, l’unica degna di esser vissuta, nel suo cuore vi era una sofferenza continua, quasi una tortura. Ogni cosa relazionata all’amore lo affliggeva, anche semplicemente il vedere una coppia felice scambiarsi addirittura solo un’effusione lo faceva ardere di struggimento, consumato dal nero fuoco del desiderio d’esser amato insoddisfatto: lo voleva anche lui! Voleva anche lui che una persona speciale lo guardasse con quegli occhi colmi d’amore, voleva anche lui baci e carezze, abbracci e tenerezza, comprensione e dolci parole; ma continuava a non potere, per quanto provasse. A volte persino i suoi amici gli causavano attacchi d’ansia: i loro discorsi sul sesso occasionale e sulla donna vista quasi come un oggetto crucciavano il giovane, che si chiedeva con scoramento come era possibile che loro, a cui alcunché dell’amore importava, e si fidanzavano solo per lussuria, o per superficialità, o addirittura solo per capriccio modaiolo, avessero avuto comunque molte ragazze, mentre i suoi tentativi erano sempre andati tutti completamente ed inesorabilmente a vuoto, proprio lui che così tanto poteva amare, che poteva rendere una qualsiasi persona l’essere più importante e felice del mondo trattandola come la più amata delle principesse, che così tanto considerava l’amore come la cosa più fondamentale in assoluto nell’universo intero, la forza che trascendeva totalmente ogni cosa dalla potenza immane ed inimmaginabile. Comunque sia, i suddetti amici erano lo stesso bellissime persone, a cui voleva un mondo di bene: lo aiutavano molto con quell’intenso affetto d’amicizia che era in fin dei conti una forma diversa di amore, e D. con loro riusciva comunque a distrarsi e ad esser felice: ma nel profondo l’afflizione covava sempre, come un tizzone ardente sotto la cenere, e del resto nessun amico, per quanto stretto, sarebbe riuscito a riempire quel vuoto nella sua anima, a colmare quella fortissima mancanza che lo faceva sentire così incompleto e così solo, ovunque e con chiunque si trovasse. Così, spesso dopo aver spento le luci, coricato sul suo letto, la mente del giovane era attraversata da riflessioni di oscura tristezza. Cosa aveva poi mai di sbagliato, lui, per non poter avere l’amore che tanto bramava, per cui tanto si struggeva? Che cosa gli mancava per poter viver l’idillio romantico che tanto sognava? La ragione non trovava nulla, anzi, sapeva di avere così tanto da poter dire e da poter dare, e ciò lo faceva sentire completamente inadeguato. Era in quei momenti, prima di dormire, che lo scoramento più cupo lo prendeva, e si sentiva più sconsolato che mai.

Man mano che gli anni passavano, i suoi tentativi di evadere da quell’orrenda realtà si intensificarono, ma il risultato fu sempre lo stesso: per quanto ci provasse, nessuna appartenente al gentil sesso si avvicinò mai a lui in alcun modo, e ad ogni nuovo rifiuto o allontanamento, nel suo cuore i mostri che vi albergavano, generati dalla disperazione e dal dolore, si fortificavano sempre più. I suoi sogni seguitavano a restare saldi, ma la loro frustrazione perpetua, il persistente protrarre del periodo solitario, lo torturavano intimamente, come un tarlo che scavasse nel suo animo, divorandola dall’interno. Così il vuoto dentro di lui diventava sempre più assoluto, sempre più simile a quello che si trovava nel cosmo più profondo, ove anche una singola particella è rarissima; e nel cuore delle sue notti, sempre più insonni per l’angoscia, egli piangeva e malediceva se stesso. Perché proprio a lui? Cosa aveva fatto per meritarsi tutto quello? Per quale motivo esisteva? Quale senso aveva quella lunga collezione di dolore senza fine? Avrebbe voluto non credere più nell’amore, avrebbe voluto diventare il peggiore degli esseri umani e abbandonarsi al più turpe nichilismo, non dando importanza più a nulla al mondo, smettendo di pensare; ma non ci sarebbe mai riuscito, e pur sapendo di star percorrendo ancor la via giusta, nell’intimo odiava se stesso con tutto il cuore per questo. Ad un certo punto, anche le cose al di fuori della sfera amorosa cominciarono ad andargli alquanto male, e così D. venne inghiottito nel tunnel della più malevola e strisciante depressione. Le sue speranze erano come sempre vive, ma ciò non gli dava molta forza; piuttosto, era immensamente stanco di dover vivere in eterna attesa, aspettando qualcosa che sembrava ancora eternamente lontano nel tempo ed era diventato un’assenza smisuratamente opprimente ed angosciante, che non gli dava pace. Il tempo passava, e D. sentiva il suo cuore invecchiare, arrugginirsi al passare del tempo e riempirsi di ragnatele, il suo mondo personale sembrava solo corrompersi, dalla bellezza che c’era all’inizio dei suoi giorni per raggiungere nel processo di degrado infine la totale decrepitudine. Raggiunse e passò la soglia dei ventisette anni, ed era in vista dei ventotto, quando, oramai disperatissimo, si decise a far qualcosa per scrollarsi di dosso quella croce che ormai era diventata infinitamente troppo pesante da portare. Non poteva costringere una persona ad amarlo, anche perché del resto non sarebbe stato un amore vero ed ideale come quello che lui tanto anelava: poteva fare qualcosa solo su se stesso. Perciò, dopo averci pensato a lungo, si decise a compiere l’ultimo passo, scegliendo infine di assecondare gli istinti suicidi che non da poco, anzi da moltissimi anni, erano ben presenti tra i suoi pensieri. Le sue ossessioni lo portarono a scegliere una data ben precisa per farla finita: il giorno precedente il suo ventottesimo compleanno. Se nulla fosse cambiato, non voleva arrivare a quel traguardo da solo, senza aver ancora conosciuto mai l’amore, e sarebbe morto a ventisette anni, come tanti dei suoi miti, quali Jimi Hendrix, Jim Morrison e Janis Joplin. Nonostante ciò, non si era ancor arreso: nei mesi successivi, si impegnò moltissimo per raggiungere il proprio obiettivo, ovviamente evitando qualsiasi tipo di forzatura, che in ogni caso avrebbero contraddetto il suo idealismo; ma l’ultima delle persone in cui aveva riposto le sue speranze, con cui era nato un rapporto di gran confidenza, lo allontanò subito dopo aver saputo del suo voto. Dopo che il mondo gli era crollato addosso per l’ennesima volta, D. rimase da solo davanti al suo destino, con il vuoto dentro di se divenuto una gigantesca voragine nera, un turpe abisso senza fondo, e con l’unico desiderio di porre fine a quella solitudine estrema ed eterna, che da troppo tempo andava avanti, avendolo ormai consumato completamente dentro. Così, la sera prestabilita, senza avvertir nessuno, era uscito di casa, lasciandovi solo una lettera in cui spiegava tutto ciò che aveva vissuto e i motivi per cui non poteva continuar così; e giunto in quel grande capannone, che sapeva da tempo disabitato e senza alcuno che potesse andarvi a curiosare nemmeno per sbaglio, aspettava ora di riuscire a trovare il momento ed il coraggio per fare ciò che voleva fare.

Erano circa le undici e mezza, e D. era stato lì con il caos totale nel cervello per quasi un’ora, in un’atmosfera oscura di triste tranquillità, di silenzioso scoramento, di amaro fallimento. Aveva riflettuto molto a lungo sulla propria condizione e sull’esistenza umana: ciò che da sempre aveva desiderato più di ogni altra cosa in assoluto nel mondo, mai si era realizzato, era come se il fato fosse stato un malvagio ma ironicissimo essere sadisticamente consapevole delle sofferenze che gli aveva causate, ed avesse voluto infierire sempre di più, sempre peggio, sempre più duramente sulla povera pelle del giovane, infine totalmente logorato ed esausto, senza più una singola energia per poter andare avanti. Tutte le sue conoscenze, tutta la sua immensa cultura, tutta la sua intelligenza, tutte le innumerevoli qualità, da tanti tanto lodate ma in fin dei conti completamente inutili, non gli erano servite ad assolutamente nulla: ormai l’aveva capito, lui era sbagliato. Non era affatto adeguato ad essere amato, non ne era nemmeno degno, non era adatto neppure a quel mondo, era solamente un essere in tutto e per tutto erroneo, spazzatura umana che nulla valeva ed altrettanto meritava. Le uniche forze che gli rimanevano erano quelle necessarie per l’ultimo atto: così, finalmente decisosi, vinte tutte le resistente, alzò il coltello e se lo puntò contro la cassa toracica. Era giunto il momento: se mai una donna aveva colmato quel vuoto cosmico or perfetto presente nel suo cuor così straziato, ora forse il freddo e lucente acciaio ci sarebbe riuscito. Prese un bel respiro, e poi, piangendo come mai, premette con tutta la forza che aveva nelle braccia sull’impugnatura della lama, affondandola nel petto. Il dolore fisico fu lancinante, ma durò giusto un’infinitesima frazione di secondo, prima che il mondo sprofondasse nel buio.

Vista la sua cognizione scientifico-razionalista della realtà, era conscio di come l’aldilà non esistesse e di come la morte fosse la fine definitiva della coscienza, un sonno sconfinato e continuo… ed allora cos’era successo? Non sapeva per quanto fosse rimasto in stato di incoscienza, se un secondo oppure un lustro, ma ora si sentiva stranamente sveglio, per quanto non lucidissimo. Lentamente, aprì gli occhi, e si accorse di essere in una stanza d’ospedale: com’era possibile? Qualche minuto dopo, arrivò un infermiere, a cui chiese lumi: gli venne spiegato allora che il suo tentativo di suicidio era fallito, il coltello aveva solo sfiorato il cuore, per sua fortuna (o per malasorte, pensava il giovane); e così una persona, trovatasi casualmente nella fabbrica abbandonata, lo aveva soccorso in tempo, prima che si dissanguasse. Costui venne poi fatto entrare, e D. sgranò gli occhi: era una giovane ragazza di bell’aspetto, e per giunta molto particolare, che qualcuno poteva addirittura trovare brutta, ma che a lui, non sapeva perché, anche solo a prima vista piaceva molto. Aveva lunghi e lisci capelli neri come la notte, occhi egualmente neri e belli, due abissi profondissimi, un viso strano ma bello, che si faceva ammirare soprattutto per com’era liscio ed angelico ma anche espressivo, con piccole imperfezioni che però non rovinavano ma rendevano il viso addirittura molto più affascinante, e dei lineamenti elegantissimi, quasi divini. Tuttavia, non era tanto l’apparenza, ad incantarlo, erano più i gesti, i movimenti, gli ammiccamenti e soprattutto il suo bellissimo e sincero sorriso: quella donna non gli pareva solo bella da non poter volgere lo sguardo (per quanto razionalmente capiva la soggettività, lei non era poi così mozzafiato, almeno per i comuni canoni di bellezza), ma sembrava anche molto gentile ed intelligente, realtà confermata dal modo in cui parlava, e da ciò che diceva. In ogni caso, la prima domanda che ella gli pose fu sui motivi per cui aveva compiuto quel gesto; il suo stupore fu grande quando seppe, e subito gli spiegò quanto essi fossero veramente simili a quelli che avevano spinto lei a rifugiarsi nel capannone, per star da sola a riflettere mestamente sulla sua cronica mancanza d’amore e su quello che lei definiva il proprio “buco nel cuore”, così somigliante al vuoto nell’anima del ragazzo. Su tante altre cose i due giovani erano in sintonia, di conseguenza la conversazione fu gradevolissima per entrambi, ed al termine di un lungo incontro ella gli promise che sarebbe tornata a trovarlo. Anche se il giovane era piuttosto scettico e non se lo aspettava, effettivamente la ragazza tornò spesso, e tra di essi nacquero discorsi affettati lunghi ore ed ore, in cui i due si legarono moltissimo. Quando D. uscì dall’ospedale, lei c’era ancora, e lui dal canto suo iniziò a invitarla ad uscire insieme, in amicizia. Passarono molto tempo insieme, divenendo inseparabili ed intimissimi, e nel giovane qualcosa, nato già dal primo incontro, continuava a crescere. Non era una novità, gli era già successo centinaia di volte di invaghirsi di qualcuna, ma sentiva stavolta che in qualche modo lei era diversa: il suo sorriso era come il Sole, e lei veramente affettuosa con il giovane, lo apprezzava tantissimo e lo metteva completamente a suo agio, sembrava quasi provare un sentimento che nessuna donna gli aveva mai dimostrato prima. Poi, una sera, l’iniziativa partì da lei, che era sempre stata estroversa e coraggiosa, al contrario di lui: e sotto una splendida Luna piena d’argento, con le stelle che osservavano dal cielo, calme e sorridenti, gli dichiarò quanto amore le era nato dentro nei confronti di un’anima così meravigliosa come la sua, il quale d’altronde, silenziosamente, certo era giunto a ricambiarla appieno. Fu il momento in assoluto più felice della vita di D., così bello da sembrare irreale, pura immaginazione divenuta realtà per un’incantevole magia, il suo più grande sogno che si realizzava. In quel momento si chiese se tutto stava davvero accadendo, oppure se stava solo immaginando il tutto.

Purtroppo era la seconda. Se ne accorse subito, l’istante successivo, quando il mondo di quella fantasia scomparve improvvisamente, aprendo i suoi veri occhi, che fino ad allora erano rimasti serrati. Nonostante ciò che aveva visto in precedenza apparisse ancora quasi reale, realizzò subito come fosse ancora nella fabbrica abbandonata, con il coltello piantato in profondità nel torace; non era accanto al suo cuore, rasentandolo, bensì si trovava proprio dritto nel pieno di esso, si accorse subito. Il suo fisico era ormai quasi inerte per la ferita e la perdita di sangue, tanto che praticamente non sentiva nessun dolore fisico, ma per un secondo la sua coscienza fu sveglia e attiva, ed allora capì tutto. Era stato l’ennesimo scherzo del destino, l’ennesima speranza delusa, l’ultima illusione svanita di una vita fatta solo di menzogne: sarebbe potuto scomparire senza quasi accorgersene, senza mai scoprire l’inganno di ciò che aveva concepito la sua immaginazione, ed invece moriva come era vissuto, in mezzo al dolore e alla totale desolazione, in mezzo ad un deserto romantico arido e senza speranza di vita. Eppure, con le ultime energie, D. trovò la forza di sorridere: nonostante quell’ennesima, ultima cocente beffa del fato, finalmente la sua anima così devastata e ormai totalmente consumata dal fuoco malefico dello struggimento stava per terminare di esistere. Sarebbe sparito anche quel vuoto infinito che lo pervadeva, e che ancor in quel momento lo tormentava con malvagità, e ciò lo rendeva felicissimo, di una gioia amara: finalmente avrebbe trovato la pace. Esalò l’ultimo respiro con il sorriso ancor immobile sulle labbra, e subito dopo la mezzanotte scoccò. I rintocchi funerei nella notte delle campane di una chiesa poco lontana ricoprirono le spoglie ormai prive di vita con una coperta nera ma accogliente: l’anima così tormentata che abitava quel corpo aveva finalmente cessato di esistere e di soffrire, e D. ora riposava, libero da ogni pena per la prima volta dopo tanto tempo. Così finiva la sua esistenza, com’era cominciata, in mezzo all’immondizia, che fosse reale o metaforica come quella che aveva dovuto subire lungo tutta la sua vita. Era la conclusione di una tragedia minuscola se paragonata alla grandezza dello spazio, ma lo stesso cosmica per un uomo non malfatto ma anzi veramente retto, in questo mondo, esso sì, davvero, profondamente sbagliato.

venerdì 23 novembre 2012

Omofobia ed educazione

Avrete sicuramente letto la notizia dello studente quindicenne di Roma impiccatosi un paio di giorni fa perché stanco delle innumerevoli prese in giro e dei torti subiti a causa della sua omosessualità. E' una vera vergogna che una persona non possa vivere la propria vita come vuole, che debba essere preso in giro pur non facendo nulla di male (e se pensate che essere omosessuali sia qualcosa di male, in realtà a fare il male siete solo voi). Secondo me, la causa di tutto questo odio è una sola: la mancanza di insegnamento della democrazia occidentale, con tutto il suo bagaglio di tolleranza.

Al giorno d'oggi, accade che i bambini ormai non vengono più puniti né trattati con severità, sono lasciati totalmente allo sbando, senza controlli, senza che qualcuno li indirizzi verso una giusta via, come se potessero crescere senza una guida, da genitori che con superficialità decidono di averli e con altrettanta superficialità si occupano di loro. E' senza severità che nasce l'intolleranza: l'istinto infantile all'omologazione e all'esclusione del non-omologato, se non viene mitigata, cresce e prosegue, fino a stratificarsi quando poi l'individuo cresce. Se poi, come nel caso dell'omofobia, c'è anche gente autorevole che la alimenta (la solita immancabile Chiesa Cattolica e i soliti immancabili politici servi), ecco che la frittata è fatta, l'omofobia dilaga in lungo e in largo, e così un omosessuale, specie se molto giovane, non può vivere bene in Italia.

La soluzione a questa situazione dovrebbe essere il ritorno ad un'educazione fatta di principi forti, sia a scuola che da parte dei genitori. E' l'unica vera soluzione in questo caso, altre non avrebbero gli stessi effetti: per esempio, la legge contro l'omofobia da più parti chiesta, per quanto se ne abbia bisogno in un paese così moralmente decadente come il nostro, non è in ogni caso giusta, come le quote rosa è solo qualcosa che sottolinea la diversità degli omosessuali, quando invece egli dovrebbero essere considerati eguali a tutti gli altri. La battaglia dovrebbe essere quindi per l'educazione civica, ed è una battaglia che tutti dobbiamo combattere, non solo gli omosessuali: ognuno di noi può infatti discriminato per qualsiasi sua caratteristica, e l'unica soluzione contro ciò è dire di no ad ogni discriminazione. O meglio, ad ogni discriminazione tranne una: è davvero arrivato il momento di essere intolleranti contro gli intolleranti, di isolarli, e di smettere di essere buonisti: tolleranza non vuol dire infatti tollerare tutto, bensì difendere i diritti di libertà di vivere di ognuno, che l'intolleranza appunto nega.

martedì 6 novembre 2012

Un periodo intenso

Vorrei giusto avvertire i miei pochissimi lettori che in questo periodo sono parecchio occupato, il tempo che dedico alla scrittura è quasi totalmente occupato in un importante progetto di cui per ora preferisco non rivelare (anche perché non c'è nulla di definitivo, ancora), quindi fino alla fine del mese potrei latitare parecchio (poi tornerò). Spero comunque di riuscire ad aggiornare il blog in qualche modo, magari con qualche post di opinione, e anche di riuscire a trovare qualche momento di tempo per finire uno dei racconti in dirittura d'arrivo, ma per ora non posso assicurare nulla.

venerdì 2 novembre 2012

Disgustosa ipocrisia, atto secondo

Questo breve post lo scrivo sulla falariga del primo sull'argomento "pro-life". E' di qualche giorno fa la notizia dello sciopero della fame dei malati di SLA, che va avanti ormai da un po', per quanto abbia avuto scarsisissima, se non nulla, copertura mediatica. Che il governo non conceda i fondi necessari ai malati di quel terribile morbo è certo qualcosa di scandaloso, grandemente lesivo della loro dignità; eppure, per quanto ciò non sia minimamente attenuante, almeno il governo ha una propria coerenza, nel suo deleterio piano di tagli. Che dire invece dei pro-life, ancora una volta assolutamente silenti?

Che un credente possa anche passar sopra ad un comportamento di un uomo di chiesa, come era il cardinal Martini, può anche starci, anche se io lo trovo da persone senza spina dorsale e sottomesse; ma che qui i cosiddetti amanti della vita non dicano niente, fa comprendere benissimo quanto essi siano ipocriti e non credano minimamente in ciò che affermano. Quanto costava infatti fare una protesta, almeno via internet? Eppure non ve ne è traccia alcuna, nemmeno il più misero gruppo di facebook con due iscritti, nulla di nulla. Quindi, se vuoi morire, non puoi, devi rimanere attaccato ad una macchina, e se vuoi vivere non puoi farlo in maniera almeno dignitosa? E' questo il vero messaggio dei pro-life? Allora abbiano almeno il coraggio di cambiare il proprio nome in "anti-life", perché questo è quello che sono, odiatori della vita di nietzschiana memoria, che si fanno paladini della vita solo quando bisogna seguire il potente di turno e mai quando c'è invece da contrastarlo, troppo succubi e pecoreschi per poter pensare con la propria testa. Da me, per questa gente, solo il massimo disprezzo.

Ho usato toni troppo forti? Probabilmente si, ma questo è una cosa che mi indigna tanto che non ci si può esprimere per poterlo commentare. Questo fatto è uno dei più grossi indici del processo di decadimento della nostra civiltà, e non si può accettarlo in silenzio o con moderazione, bisogna combatterlo e far tornare a trionfare la vera civiltà occidentale contro chi la sta corrompendo e piegando ai propri subdoli scopi.

giovedì 25 ottobre 2012

Amici

Dopo tantissimo tempo che non lo facevo, ho scritto una poesia, anche se son sicuro che nessuno ne sentiva la mancanza. Eppure, mi sentivo di farla, un giusto tributo alle persone che mi hanno aiutato, da quasi un anno e mezzo, a passare dal periodo peggiore a quello migliore di tutta la mia vita. Con questa poesia vorrei dir loro grazie, a tutti quelli che ho (che sono pochi ma buoni), ma in particolare a tre di loro, i più stretti: Ago, Diego e Giorgio. Per il resto, niente... è una poesia come tante altre, spero che non vi dispiaccia.

Amici

Guardando a me,
Alla mia esistenza,
Ne avrei ben donde,
Di lagnarmi e pianger:

Non son bello né intrigante,
E del sonante ne vedo nulla;
La notte è insonne, dormo a stento,
E soprattutto mi manca l’amor
Che sì intensamente bramo.

Eppur né lacrima bagna il mio viso
Né dalla bocca lamentazion esce,
Poiché ho verissimi amici con me
Che mi aiutan, e mi sostengono
E mi fan sentir apprezzato

Ed anche se i problemi restan
Quas’io non li sento a lor grazie,
Tanto quest’amicizia è bella;
Sì solo allegria, mai tristezza
Rempe le ore in lor compagnia

E con questo modesto canto vorrei
Dire loro: grazie di tutto quanto!
Poiché la loro amicizia per me è
Qualcosa senza cu’io non vivrei

sabato 20 ottobre 2012

Per la parità dei diritti

La notizia dell'omicidio di Palermo, solo l'ultimo di una serie di episodi praticamente infinita, mi porta ad una amara riflessione. Nonostante il nostro presunto alto livello di civiltà, nel nostro mondo le donne continuano a venir picchiate ed uccise dagli uomini, in nome di una presunta superiorità del sesso maschile su quello femminile che non ha alcuna giustificazione razionale, ed è solo l'ennesimo retaggio culturale-religioso del passato. Secondo me, in questi casi non è una questione di rabbia, è qualcosa di diverso: se infatti è normale, provare ira ed anche disprezzo dopo il termine di una relazione, specie se essa è finita male, ciò è comunque un gruppo di sentimenti rivolti verso ad una persona. Poter disporre della vita e della morte di qualcuno è invece trattarlo non come un essere umano bensì come un oggetto, il che è qualcosa di atroce, una mancanza totale di rispetto verso la dignità umana. Anche io ci sono passato, per una separazione estremamente orribile, e sia fatti accaduti prima sia scoperte postume mi hanno lasciato con un immenso odio verso quella persona; tuttavia, non penso che arriverei a darle nemmeno un ceffone, e questo non perché non  meriti di soffrire (anzi, si merita ben di peggio), ma quanto perché è questione di semplice civiltà e razionalità:  io penso che nessuno, per quanto abbia fatto del male agli altri, merita di soffrire fisicamente o addirittura di morire, e questo principio di rispetto non è negoziabile, nemmeno in presenza di un forte disprezzo.

Tornando al caso di specie, l'omicida ha ucciso non per rabbia, ma per possesso: non poteva sopportare di aver perso qualcosa, e pur di non farla avere a nessun altro, ha preferito l'omicidio (poco importa se la vittima non è stata il suo "obiettivo" ma sua sorella, l'intenzione era comunque quella di uccidere); ha insomma considerato la sua ex-compagna come un essere inanimato, quasi una sua emanazione, e la rabbia non era per qualcosa che lei aveva fatto, quanto per la frustrazione del proprio egoistico desiderio di possesso. Eppure, non è un pazzo solitario, o meglio: è si assolutamente deviato dal mio punto di vista, ma non è un'eccezione, persone come lui sono più comuni di quanto si pensa, e il motivo, come dicevo inizialmente, è nelle mie opinioni culturale. La donna, per motivi culturali ma anche religiosi, è stata vista sempre come inferiore all'uomo, dovendo sempre essere obbediente e servile, ruolo che sempre più donne rifiutano, in maniera per giunta più che legittima; e da lì nascono le tragedie.

Nel mondo occidentale, con ancora troppi di questi casi, urge un cambiamento della cultura generale, con un rifiuto totale ed esplicito di questa mentalità a favore dell'accettazione della parità morale vera tra i due sessi, in ogni ambito; e, secondo me, il cambiamento dovrebbe partire da tutti noi, perché l'uguaglianza non è qualcosa che interessa solo le donne, è un principio di civiltà che dovrebbe essere scontato e persino banale per tutti, qualcosa da fare non per convenienza ma solo per lo spirito di ciò che giusto. E' molto difficile mutare la situazione, ma la mia speranza è che, un giorno, quando ci saremo liberati di inciviltà e religione, non vi sarà più la possibilità che una persona giovane, piena di sogni e speranze, possa morire a 17 anni senza assolutamente un senso.

giovedì 11 ottobre 2012

Mistici vecchi bardi

Dopo quasi tre mesi dall'ultimo racconto, ho finalmente ne ho finalmente terminato uno nuovo, oltre ad essere andato avanti con almeno cinque altri racconti (ed è anche questo uno dei motivi per cui ho avuto questa pausa, la divisione delle mie forze in cinque parti), dei quali due sono parecchio avanti; tra di essi, c'è anche il racconto "capolavoro", quello tanto lungo che ormai sta quasi diventando un mini-romanzo, ormai a pochi passi dalla propria realizzazione. Tornando a noi, questo racconto è un tributo lunghissimo ai Blind Guardian (anche detti "I Bardi"), il mio gruppo musicale preferito, e metaforicamente racconta come la loro musica è riuscito a rendermi una persona più felice; è inoltre infarcito di citazioni alle loro canzoni (e, se vi va, fate un gioco: cercate di trovarle tutte!). Detto questo, non mi resta che augurarvi una buona lettura!

Mistici vecchi bardi

Era un periodo molto infelice, per me. Ero molto depresso, non avevo nessuno al mondo, e mi sentivo solo e poco amato. La mia vita non aveva alcun senso, nessuna direzione, niente radici, niente punti fissi, e la mia unica speranza verso il futuro era che tutto sarebbe finito al più presto possibile. La sera, prima di dormire, sdraiato sul letto, piangevo e pregavo Dio per un aiuto, ma egli rimaneva silente, come se mi avesse dimenticato; oggi so che non esiste affatto, ma nell’ingenuità di quei tempi ancora credevo (ora quasi me ne vergogno). Ogni giorno passava sempre uguale a quello precedente ed a quello che sarebbe seguito poi, e non c’era scampo alle sofferenze, solo una lunga serie di momenti di perdizione, senza il benché minimo senso. Non ero sempre stato così: da giovane, ero stato un ragazzo allegro e solare, il che era ancor peggio: il ricordo della felicità passata ormai andata era insopportabile, ed il fatto che la Terra, da parco giochi, si fosse trasformata in un deserto per me, dove non era rimasto nulla a parte le lacrime, mi abbatteva ancora di più; così rimanevo seduto nella mia stanza, ove l’inverno mi avvolgeva anche d’estate, ed ogni cosa mi scivolava addosso. Avevo quasi deciso di porre fine a tutte le mie sofferenze definitivamente, uccidendomi; l’avrei anche fatto, se non fosse stato per un evento che cambiò radicalmente la mia vita.

Una sera simile a tutte le altre ero nella mia camera, a vegetare tristemente, quando qualcosa di molto strano avvenne. Come un sesto senso misterioso, senza preavviso, si attivò nella mia mente, facendomi percepire con stupore che c’era qualcuno là fuori, nella notte. Lo distinguevo chiaramente: vi era una qualche presenza arcana all’esterno, e chissà come sapevo anche che aspettava proprio me! Senza pensarci due volte, uscii dalla finestra (abitavo al piano terra) e cominciai ad inseguire l’essere di natura sconosciuta, che intanto aveva cominciato a muoversi; corsi molto a lungo, tanto che presto le abitazioni lasciarono posto ai campi, e poi ai boschi. Ad un certo punto, il sesto senso scomparve come di colpo: e, come risvegliandomi dalla strana trance in cui solo in quel momento realizzai di esser caduto, mi accorsi di essere nel pieno di una foresta, tra gli alberi, in una notte senza Luna, con le tenebre che mi circondavano. Dov’ero? Dopo un po’, mi accorsi che non era totalmente buio: vi era come uno strano baluginare che rischiarava appena, e veniva da una direzione ben precisa. Mi avviai, e ben presto scorsi la fonte di luce: era un grande fuoco, e da esso proveniva un vociare, come di una folla di persone. Rapito da quella visione mi spinsi ancora più avanti, senza timore; così, finii in una radura circolare, ove si trovava una piccola moltitudine, seduta in cerchio intorno al falò. Uno dei presenti mi notò, e subito avvertì gli altri, che si voltarono tutti verso me: mi sentii enormemente in imbarazzo, ma subito dopo in molti mi accolsero sorridendo, rincuorandomi un poco. Mi fu fatto cenno di unirmi al cerchio, e sebbene fossi molto restio a causa della mia timidezza estrema, alla fine accettai. Guardando meglio, notai che, isolati dagli altri, c’erano quattro uomini incappucciati, con in mano degli strumenti musicali. Mi venne spiegato che essi erano bardi, cantori girovaghi insomma, e che tutta quella folla era lì per ascoltare i racconti e le canzoni di quegli uomini. Interessato, aspettai qualche minuto, dopodiché il silenzio calò, e lo spettacolo ebbe inizio.

I bardi si alzarono improvvisamente, e cominciarono a raccontare una storia, in maniera corale. Era il racconto fantasy di un uomo dalla bassa statura, una specie di gnomo, o qualcosa di simile; ma la sua “piccolezza” non gli impediva di compiere grandi imprese. Così, egli intraprese un lungo viaggio: sfidò i giganti più volte, trovò una bizzarra creatura a cui rubò un oggetto magico in grado di dargli l’invisibilità, viaggiò attraverso paesi incantati e fitte foreste, fino ad arrivare alla montagna dove un grande drago custodiva avidamente i suoi tesori. Con l’astuzia, il piccolo uomo riuscì a provocarlo, al che cominciò a sfogare la propria rabbia sugli uomini della città vicina, i quali colsero però l’occasione per uccidere il mostro. Si scatenò quindi una folle battaglia per spartirsi l’oro ormai senza padrone, ma alla fine il bene trionfò, ed il piccoletto poté tornare a casa, conservando però nel cuore la sua bellissima avventura. La storia finì, e subito i quattro bardi attaccarono una meravigliosa ed evocativa canzone, che parlava di avventure epicissime, del tempo e di una torre nera. Anch’essa terminò dopo un po’, e mentre il pubblico acclamava i musicisti e discuteva di quanto appena ascoltato, il mio pensiero correva proprio al racconto. Un pensiero proveniente da chissà dove, che sembrava quasi estraneo a me, mi balenò nella mente: se anche quel piccolo uomo era riuscito a superare il suo difetto e ad avere avventure inimmaginabili, perché io non potevo fare lo stesso e vincere ansie e tristezze, cominciando a vivere davvero? Sul momento fui abbastanza restio, il cambiamento mi spaventava sempre (ed è così in parte anche adesso); e poi, subito dopo, un nuovo racconto cominciò, interrompendo i miei pensieri.

Stavolta, il mondo in cui la novella era ambientata era il nostro, o così sembrava, anche se il periodo era il medioevo. La storia principale parlava di un monarca, il più grande mai esistito nella sua terra, annunciato da una profezia che descriveva la sua grandezza chiamandolo “re che era e che sarà”, e di un grande mago, suo consigliere. Il vero protagonista del racconto, attraverso i cui occhi esso era narrato, era però il figlio illegittimo del sovrano, un giovane condannato dal destino, fin dalla nascita, ad uccidere e venir ucciso da suo padre, e che non poteva far nulla per evitare questo suo fato nefasto, spinto dalle forze della sorte, troppo grandi per poter essere contrastate. Dopo molti avvenimenti, alla fine il destino si compì, e il ragazzo fu contento: nonostante, al contrario di suo padre, egli sarebbe stato considerato dalla stragrande maggioranza dei posteri come un abominio, assassino del proprio sangue, non gli importava, l’unica cosa a cui pensava mentre scompariva nell’abisso era che finalmente poteva riposare in pace. Il racconto terminò, e come la volta prima i bardi iniziarono una canzone. Questa parlava di casate nobiliari in lotta per il potere, ma l’ambientazione era particolare, fantascientifica anziché medioevale, con astronavi e viaggi spazio-temporali; al centro di tutte le battaglie vi era un pianeta desertico, l’unico a produrre una risorsa preziosissima; dopo un po’, il brano finì, lasciando il posto al brusio della folla. Anche quest’altra storia mi diede da pensare: il giovane protagonista mi assomigliava molto. Come me era incompreso da tutti, e come me accettava di malavoglia il proprio destino (il mio prevedeva solo la solitudine, ma non era migliore, pensavo) senza però riuscire a fare nulla per cambiare. Sarebbe stato così anche per me? O il fato aveva qualcosa di diverso per me? Non sapevo, ma speravo con tutto il cuore che qualcosa potesse mutare. Ci pensavo ancora, quando la folla si zittì, segno che un’altra novella stava per prendere vita .

I bardi declamarono il racconto più lungo della serata, almeno il doppio di ogni altro precedente (ed ora posso dire” anche seguente”); ma non era solo la lunghezza a distinguerlo dagli altri. La trama, infatti, non saprei raccontarla, tanto era intricata e complessa! A grandi linee, comunque, la storia era ambientata in un mondo fatato nel quale inizialmente esistevano solo gli dei, la maggior parte dei quali buoni; ma ve ne era anche uno, il più potente, dallo spirito man mano sempre più malvagio, che contrastava sempre gli altri suoi simili. In ogni caso, ad un certo punto si risvegliano altri esseri, immortali ma non divini, figli di colui che stava ancor sopra agli dei, l’autorità assoluta dell’universo. Inizialmente queste creature vivevano in pace insieme agli dei, ma poi una parte di essi si rivelò passionale e troppo suscettibile. Il dio nemico ne approfittò, e così una parte di questi esseri si recarono nella terra da lui abitata, per combattere le sue armate infernali. Da lì in poi, si susseguirono battaglie e guerre senza fine; nel mentre arrivò anche un'altra razza di esseri, questa volta mortali (comuni uomini, in pratica), che si allearono con gli immortali e combatterono il dio malvagio, anche se alcuni furono plagiati da quest’ultimo. Vi furono enormi guerre, con il nemico che avanzava piano nella conquista, mentre tanti valorosi guerrieri del bene morivano; e poi storie di intrighi e di tradimenti senza fine, con alcuni episodi a lieto fine ma la maggior parte tristi, senza spiragli di luce. Sembrava ormai quasi finita, con il male che stava per conseguire la vittoria finale ed abbattere la luce, quando gli dei decisero finalmente di scendere in guerra. Il conflitto che ne seguì fu violentissimo, e cambiò addirittura la morfologia del territorio, con intere aree che sprofondarono nel mare; ma alla fine il nemico fu sconfitto. L’oscurità non era stata distrutta del tutto, ma i bardi decretarono la fine (con un po’ di disappunto di tutti i presenti): quella era un’altra storia. Così, dopo questa conclusione, il gruppo attaccò un pezzo musicale, ancora una volta molto bello, che narrava questa volta dei riti pagani, i quali risultavano diabolici agli occhi dei cristiani dalla mente chiusa, ma che non eran altro che riti di passaggio, di cambiamento e di rinascita, delle allegre feste per ringraziare la natura di quanto aveva dato agli uomini. Anche questa canzone terminò, e subito cominciò il solito ciarlare: e anche io cominciai, come sempre, a riflettere. Non è come molti bigotti pensano, che il fantasy sia deviante, o che estrani le persone dalla realtà, non è altro che fantasia, nonché un mondo in cui puoi immergerti e dimenticare almeno per un po’ i tuoi problemi. Questo pensiero mi piacque, ma duro solo un secondo, prima di focalizzarmi di nuovo sui cantori, che avevano ricominciato a parlare.

Questa storia era parecchio strana, diversa, e mi colpì particolarmente (probabilmente è per questo che la ricordo meglio delle altre). Era ambientata ancora in epoca medioevale, e parlava di un ragazzo nato cieco, che per non mostrare il proprio handicap, andava in giro sempre incappucciato ed avvolto in una lunga tunica. Col tempo, era riuscito ad imparare a basarsi su odori e suoni per vivere, olfatto e udito erano diventati così sensibilissimi, consentendogli una vita quasi normale. Eppure, nel suo villaggio non era affatto ammirato, al contrario: fin da piccoli, i suoi coetanei l’avevano schernito, cosa del resto normale per dei bambini; solamente che poi la situazione non era affatto mutata, e alla soglia dei venticinque anni il dileggio proseguiva, se possibile con ancor più crudeltà. Lui tuttavia aveva imparato a non curarsi di quello scherno, ed andava avanti diritto per la propria strada. Un bel giorno di settembre, il ragazzo decise di intraprendere un viaggio verso l’ignoto, in solitaria; non lo fece per dimostrare qualcosa, ma solo per se stesso, per il proprio spirito di avventura e per la voglia di vivere e realizzarsi attraverso il viaggio. Nonostante il suo handicap, il giovane girovagò in lungo ed in largo, avventurandosi in luoghi ignoti ai più; eppure, non ne aveva mai abbastanza, e continuava ad andare sempre più lontano, spinto da un’enorme ed insaziabile sete di conoscenza. Ad un certo punto, riuscì a trovare un passaggio, che lo condusse al limite del tempo e dello spazio e poi anche al di là, facendolo giungere in un posto lontano, oltre la realtà di tutti i giorni, ove vi erano cose che nel mondo reale vivevano solo nell’immaginazione; ma lì, dall’altra parte, esistevano davvero. Ivi compì gesta eroiche: combatté creature mitologiche (tra cui un essere mezzo uomo e mezzo drago) e salvò intere nazioni con la sua intelligenza e le sue particolari capacità sensoriali, diventando addirittura l’eroe più grande mai apparso in quelle terre. Quando tornò al villaggio, dopo molti anni, portò esperienze, ricchezze e oggetti fatati, e tutti davanti a tutte quelle prove delle sue imprese, dovettero credergli: così il ragazzo, ormai divenuto uomo, nonostante lo scherno degli anni passati, divenne l’idolo dell’intero paese. Gli fu conferito il titolo di Guardiano, una carica prestigiosa ed importantissima, ma che prevedeva anche la responsabilità più alta nella protezione del popolo e dei suoi averi. Il resto è poi leggenda, ed il Guardiano cieco è rimasto, ancor oggi, nei cuori di tutto il villaggio. Il racconto terminava così, e venne subito seguito da una nuova canzone. Si parlava ancora di fantascienza, ma non vi erano guerre cosmiche o viaggi nello spazio, al contrario, affrontava l’amicizia di un umano con un alieno, e parlava delle emozioni di quest’ultimo, del suo modo di vedere la Terra ed i suoi abitanti, ma soprattutto della sua tristezza nel dover tornare a casa, senza poter mai più rivedere il suo compagno terrestre. La canzone era come sempre stupenda, ma finì presto, e mentre tutti parlavano, i miei pensieri vagavano, spingendosi nei meandri più profondi della mia mente. Come aveva fatto il ragazzo, senza la vista, a riuscire in tutte quelle imprese? Anche io avevo molti problemi, anche se non paragonabili alla cecità, eppure ce la facevo a stento ad andare avanti, e la vita per me era sofferenza: perché non poteva essere per me come era stato per lui? Questo pensiero si impresse a fuoco nella mia mente, e subito mi venne a cuore la volontà di trovare una risposta ai miei dilemmi. Cercavo di capire come fare, quando il silenzio scese ancora una volta sulla radura, subito riempito dalle voci dei bardi.

La novella successiva era ambientata in un mondo fantasy particolarissimo, in cui le stagioni duravano anni ed anni, ove vi era un regno composto di sette parti, e dominato dal feudalesimo medioevale. Il punto di vista era quello dei potenti e dei nobili, ed il racconto narrava appunto le loro vicende, i loro intrighi, le loro vite, per giunta in una maniera molto diretta e cruda: morte, violenza di ogni tipo e sesso erano presenti ovunque. La storia si concentrava poi su un bambino molto giovane, ma già condannato a passare una vita da paralitico, dopo una rovinosa caduta da una torre. Eppure, il ragazzino non si arrendeva, continuava a lottare con tutte le sue forze, aiutato dai suoi compagni e dal potere che si era risvegliato in lui, che gli consentiva di entrare nel corpo del suo lupo domestico, col quale camminava. Man mano che proseguiva il racconto, la trama si faceva sempre più interessante ed avvincente: comparivano man mano migliaia di personaggi, e l’oscurità avanzava sempre più, al che io rimanevo senza parole. Purtroppo, ad un certo punto la storia terminò senza neanche un vero finale, con mio sommo dispiacere, ed iniziò una nuova canzone, su guerrieri nordici che nonostante la propria potenza in battaglia, attraversavano un periodo di immensa crisi, visto che i loro dei sembravano averli abbandonati. Il brano musicale fu breve, e venne seguito da un lungo dibattito. Anche allora, la mia mente vagò a lungo, riflettendo sul coraggio del protagonista. Anch’egli aveva avuto molta sfortuna nella propria vita ma non aveva mai abbandonato la speranza di poter tornare a camminare, era sempre andato avanti imperterrito senza piangersi addosso, come invece probabilmente avrei fatto io: certamente una persona ammirevole, nonostante fosse ben più giovane di me. Mi stavo per interrogare se non fosse il caso di prendere esempio da lui e dalla sua maturità, quando un nuovo racconto cominciò.

Era un racconto ambientato nel nostro mondo, ai giorni nostri. Non c’erano protagonisti, si parlava solamente, in maniera romanzata, dei giochi di potere intrapresi dai potenti del mondo, mentre i “piccoli” erano da essi mandati a morire contro un nemico artificiale senza motivo, ingannati dalla promessa di pace e di libertà, che non erano che vuote parole dietro alle quali si celavano ambizione e cupidigia. Gli stessi capi di stato finanziavano poi la ricerca militare, con soldi spendibili per aiutare la gente, ma usati invece solo per creare armi sempre più avanzate, che arrivavano nello spazio ed erano sempre più efficaci nel loro atroce compito di sterminio. Andando avanti nel tempo, sembrava davvero imminente il giorno in cui sarebbe scoppiata una guerra così gigantesca e totale che avrebbe spazzato via l’intera umanità dalla Terra. I bardi conclusero la storia dicendo che tutto ciò era realmente successo, ed anche se ai giorni nostri sembrava tutto passato, comunque non bisognava mai abbassare la guardia, perché quelle situazioni potevano riproporsi; quindi, partirono con una canzone molto ariosa, che aiutò a dissolvere le ombre che quel racconto aveva creato. In essa, si parlava di due giovani ragazzi, che si amavano ma per colpa di un destino avverso non potevano stare insieme; eppure, si erano promessi di attendere che le condizioni fossero mutate per coronare il proprio sentimento. Alla fine il fato gli arrise, ed il loro amore durò fino alla fine del mondo. Seguì il solito brusio, ed io pensai, per una volta, anche alla musica: nel cuore sentii che l’amore era veramente importante, ed anche se io, per colpa di alcune esperienze avverse nel mio passato, avevo quasi odiato questo sentimento, comunque adesso capivo che tutti, anche io, ne avevamo bisogno, soprattutto perché l’odio generava solo morte e guerra. Ero arrivato a questa conclusione, quando le chiacchiere si interruppero, e cominciò un racconto, l’ultimo della serata, come annunciato.

Anche questo fu un racconto molto lungo e tortuoso. Si parlava di una titanica guerra tra una potenza straniera e conquistatrice ed una città stato assediata, che era durata già quasi dieci anni, ma nonostante ciò continuava imperterrita. La protagonista della novella era un’indovina, e coi suoi poteri di preveggenza aveva ormai da molto tempo potuto vedere il destino dei suoi compatrioti, e della città: c’era solo rovina davanti a loro, e morte, e disperazione . Nessuno però le credeva, anche visto che i nemici sembravano essere ormai logorati, al contrario ella veniva tacciata di essere un uccello del malaugurio, e disprezzata da tutti. Il racconto si soffermava in particolare su ciò che nel suo cuore albergava: c’era tristezza, rassegnazione, sconforto in quell’anima così complessa e tormentata, che così tanto desiderava morire e al tempo stesso piangeva la futura perdita della città, della sua cultura, di poemi e racconti, di tutta la bellezza e la santità di quel luogo, dove poi ci sarebbe stato solo silenzio. Ad un certo punto, il piano nemico entrò in atto: essi, con grande astuzia, fecero credere di essersi arresi, lasciando come pegno di pace una gigantesca statua di legno. Eccitatissimi, gli abitanti della città portarono la statua in città, senza sapere che nel suo ventre si nascondeva un commando di soldati nemici, pronti ad aprire le porte della città al grosso del loro esercito una volta che la notte fosse scesa e tutti avessero dormito. La veggente, grazie alle sue capacità, era l’unica che ne era a conoscenza: ma ancora una volta, non venne ascoltata, bensì ancora sbeffeggiata . Così la città cadde e fu rasa al suolo, con quasi tutti gli abitanti uccisi; e poi, come in quel luogo, nella radura non vi fu che silenzio, solo il calmo vento risuonò per qualche minuto, quasi a commemorare la tristezza di quella storia. La canzone stavolta non vi fu, ed anche il discorrere che cominciò dopo un po’ fu molto tenue e soffuso. Nel frattempo, io riflettevo fittamente: nonostante la sua tristezza, quella era una tra le storie più belle, imponenti ed epiche che avessi mai sentito, pieno d’emozioni com’era, qualcosa di mai provato prima d’allora.

Dopo qualche minuto, i bardi spezzarono il silenzio, con poche parole di saluto: speravano che i racconti e le canzoni nella foresta fossero piaciute a tutto il pubblico, e che l’indomani avrebbero intrapreso un viaggio nelle tenebre, per raggiungere altri luoghi e rallegrar altre persone con il loro spettacolo. Mentre tutti andavano via dalla radura, da soli o insieme, parlottando tra loro, io rimasi lì, fermo. La mia timidezza estrema mi tratteneva, ma volevo parlare di persona coi cantori. Ce l’avrei fatta? Lo speravo, ma non lo sapevo, visto quant’ero introverso. Infine, mi decisi, e tirando fuori tutto il coraggio e la forza d’animo che avevo, mi presentai a loro, ma purtroppo riuscii solo a balbettare: quasi pensavo di andarmene, dopo quella figuraccia, quando il loro capo mi sorrise, e indirizzò verso di me parole gentili, che mi fecero capire di non aver fatto nessuna brutta figura. Mi fecero sentire, per la prima volta nella mia vita, non sbagliato, giusto, e il cuore mi si riempì di qualcosa di nuovo, una gioia mai provata prima! Mi sentii commosso, ma trattenni le lacrime, e riuscendo a parlare quasi normalmente (era come se mi avessero messo a mio agio, e la timidezza fosse in gran parte sparita), feci loro, in forma di metafora, la domanda che era presente nella mia mente sin dal terzo racconto: gli chiesi come era possibile che un cieco potesse essere un guardiano, quando tale carica implica nel nome stesso di dover guardare. La risposta dei bardi fu semplicissima, ma geniale: mi risposero “perché lo voleva”. Al principio non capii, ma poi, mentre i cantori si congedavano con cortesia, pensandoci, cominciai a comprendere: il giovane aveva compiuto tutto per forza di volontà, e se ce l’aveva fatta con essa, nonostante tutto, ce la potevo fare anche io! Pian piano, pensandoci, ne divenni assolutamente certo: ogni racconto aveva un messaggio diverso, ma tutti mi erano molto utili, e volevano dire una cosa sola: che dovevo smettere di vegetare, come avevo fatto fino ad allora, e cominciare a vivere davvero; ed anche se prima forse non ci sarei riuscito, sentivo che l’atmosfera mistica e magica di quella sera aveva cambiato tutto. Le lacrime cominciarono a sgorgare allora, e piansi dalla gioia, mentre la luce del Sole, che ormai stava sorgendo, diradando le tenebre dal cielo e dalla mia anima, mi avvolgeva completamente, in tutta la sua potenza.

Non ricordavo di essermi addormentato, quando venni svegliato da delle voci, che si avvicinavano. Aprii gli occhi, e la prima cosa che vidi fu un grosso cane che mi stava vicino: saltai dallo spavento, avevo sempre avuto paura dei cani. L’animale era però al guinzaglio, e fu tirato indietro; potei così ammirare come nella radura fosse pieno giorno. Ero circondato da tante persone, poliziotti, tra le quali c’era anche mia madre, in lacrime. La prima cosa che fece fu chiedermi se stavo bene, al che io le risposi di si: e subito sentii che era la verità, non l’avevo detto tanto per dire! Ero stato triste, almeno fino al giorno precedente, ma quell’incontro con i cantori mi aveva cambiato totalmente la vita. Tutti quei racconti e quelle canzoni avevano in qualche modo influito su di me, mi avevano aperto davanti un mondo che prima nemmeno potevo immaginare, ed ora lo vedevo in maniera completamente diversa. Ero vivo! Dopo il mio ritrovamento, tornai a casa, ma non fui più infelice: era come se la gioia, nascosta da qualche parte in me, fosse venuta fuori! Così, da allora, anche se periodi tristi capitarono, come è del resto normale per tutti, non fui più depresso: la storia del guardiano cieco rimase sempre nel mio cuore, ma soprattutto ivi rimasero i bardi, ed io sono sicuro che, finché avrò vita, loro saranno in qualche modo sempre con me.

giovedì 4 ottobre 2012

Breve riflessione su due recenti episodi

Giusto ieri leggevo del politico che ha squarciato le gomme di un disabile reo solo di aver reclamato un proprio diritto (articolo); oggi invece leggo di un medico che dopo aver sbagliato un farmaco, ha addirittura picchiato la paziente vittima di questo errore (articolo). Visti questi fatti, non riesco a fare a meno di chiedermi: possibile che siamo così culturalmente indietro nel campo della civiltà? Possibile che ancora non si riesce ancora a far capire alla gente che il rispetto, la tolleranza e l'educazione vengono prima di tutto? L'essere gentili ed educati (nemmeno altruisti, ma giusto rispettosi) dovrebbe essere una regola assoluta, a mio avviso, per noi, gente comune; per gente invece con responsabilità più alte di quelle normali, come possono essere politici o dottori, la civiltà dovrebbe essere essere ancora più importante, fondamentale addirittura, una caratteristica quasi necessaria al loro lavoro e alla loro importanza. Il fatto che così non sia, rende la situazione a mio avviso alquanto deprimente, e il desiderio di cambiare tutto a partire dalle menti delle persone a cominciare dall'educazione di base (e qui potrei aprire un altro post, forse a breve lo farò!) si fa sempre più forte.

lunedì 24 settembre 2012

Auto-segnalazione

Di solito non faccio queste cose, non linko i miei articoli di Heavy Metal Heaven, ma questo si. Penso che potrebbe andare bene anche in questo blog, visto che riassume in toto la mia filosofia, seppur nel solo ambito musicale, quindi è anche adatto per qui. Per quanto riguarda, invece, i contenuti propri di questo blog: lo so, ho un po' trascurato i racconti, avendo molte altre cose da fare, ma prometto che a breve proverò a postare un racconto nuovo (ne ho uno quasi finito e un altro paio a buon punto).

mercoledì 12 settembre 2012

Cospirazionismi

Ho scritto gran parte di questo post ieri, undici settembre, ma l'ho pubblicato solo oggi perché la sua immensa lunghezza ha richiesto parecchio lavoro (diverse ore, e contando che ho cominciato ieri alle 23, non ho fatto in tempo); nonostante ciò, lo scopo era proprio di dedicarlo alla giornata di ieri. Stavolta però non voglio commemorare i morti o l'evento, seppur un ricordo lo meriterebbero, quanto esprimere la mia posizione su alcune idee che circolano sin da allora. Infatti, ci sono molte persone (come certo saprete) che sostengono un gran numero di idee stravaganti sugli attentati di quel giorno del 2001, tutte accomunate da un concetto di fondo: non sarebbe stato il terrorismo islamico a compierli, bensì gli Stati Uniti con un autoattentato; la motivazione sarebbe di trovare un pretesto per cominciare la guerra. Secondo queste teorie, gli americani avrebbero così riempito di bombe le Torri, abbattuto l'aereo caduto in Pennsylvania, usato un missile per colpire il Pentagono e così via. Sono sicuramente gigantesche bufale, tuttavia, in questo post non voglio mettermi a smentirle, e questo perché:
  1. per smontare ogni singola balla di queste in maniera rigorosa e scientifica ci vuole un grosso e pesante lavoro di documentazione
  2. comunque è un lavoro piuttosto inutile, visto quanto dirò tra poco
  3. in ogni caso c'è chi l'ha già fatto per anni ed anni al posto mio e meglio di come potrei mai fare io da solo (per esempio lo staff di undicisettembre.info), tanto che ormai non c'è un'unica idea originale complottista che non sia già stata smentita con fior di prove.
Qui voglio invece occuparmi dell'aspetto psicologico delle persone che propugnano tali affermazioni sugli attentati dell'11/9 e di quelle che propagandano tutte le altre balle del genere (signoraggio, scie chimiche, nuovo ordine mondiale, sbarco sulla Luna, fino ad arrivare al negazionismo dell'olocausto che sembra tutt'altro, ma che in realtà rientra perfettamente tra i complottismi).

Dalla mia esperienza personale, ho capito innanzitutto che spesso le persone che propugnano le teorie del complotto sono molto contraddittorie. Una delle loro affermazioni tipiche è di avere gli occhi aperti, di essere svegli in un mondo di dormienti, vale a dire tutti gli altri, che a loro dire non vedono la verità che loro, illuminati come sono, riescono a scoprire. In realtà, così non è: queste persone nella maggior parte dei casi ascoltano un'affermazione e subito la prendono per vera, senza verificarla, attaccando anche chi gliela contesta con cognizione di causa; e questo non li fa certo essere "svegli", ma semmai "dormienti", nonché assolutamente parte di quel popolo credulone a cui si sentono tanto superiori. Il fatto di credere in determinate cose, spesso fanaticamente, li spinge ad essere sempre contro: contro il potere, contro i mass media, contro i luoghi comuni, contro tutti, o almeno così è in teoria, perché la pratica è molto diversa. Infatti, anche internet, dove prendono la maggior parte delle informazioni su cui basano le proprie teorie, è un mezzo di comunicazione di massa, per giunta uno dei più pericolosi, visto che tutto ciò che vi è scritto viene preso per vero (specialmente da loro); inoltre, i capi del complottismo (i cosiddetti "guru"), quelli che per primi ideano le teorie, potendo contare sull'accettazione di ogni cosa che dicono, hanno nelle mani un potere gigantesco (ed ecco qui che l'essere contro viene meno). C'è anche del rischio: se qualcuno dei ciarlatani a capo del movimento, spalleggiato dai migliaia di suoi seguaci, a diventare un personaggio importante, potrebbe poi combinare un vero disastro (si ricordi, per esempio, che sulla teoria del complotto degli ebrei Hitler ha costruito buona parte della propria fama). Fantascienza? Secondo me è già realtà, basta leggete i deliri online di Beppe Grillo (anche se so che questa citazione mi potrebbe costare qualche insulto, non importa). 

L'incoerenza si manifesta anche tra il pensiero e i fatti concreti. Insomma, ammettiamo di sapere (in maniera certa e scientifica, magari) che gli americani, o chi per loro, vuole dominare il mondo, e per raggiungere lo scopo compiono mistificazioni ed atrocità. Sapendo questo, chi riuscirebbe a rimanere freddo e sereno? Io no, la prima cosa che farei è scrivere un articolo di denuncia. Se riuscissi a dimostrare quello che dico in maniera certa, avrei svelato il segreto più grande della storia dell'umanità, e come minimo mi darebbero il premio Pulitzer (se non un Nobel per la pace istantaneo). Perché dunque chi crede di avere tutte le prove del complotto non lo denuncia? La risposta che do io è che non solo non si possono dimostrare tali teorie in maniera credibile, e per questo non si possono fare scoop, ma anche che i cospirazionisti intimamente sono i primi a non credere alle proprie balle, ed è per questo che non si stracciano le vesti per smascherare i cattivissimi cospiratori e i poteri occulti e far tornare la verità. Certo, la risposta dei complottisti è che verrebbero perseguitati, magari anche fatti fuori dalla CIA; peccato che così non sia, i ciarlatani a capo del movimento continuano da anni indisturbati ad affermare le cose più strampalate senza che nessuno dica loro niente, e per giunta a vivere di questo, vendendo libri e video pieni della loro fuffa (e probabilmente è questo lo scopo della loro creazione delle teorie del complotto). Il fatto che nessuno li disturbi è un'ulteriore riprova che le loro teorie sono false: per esempio sulla testa Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, che aveva effettivamente informazioni segrete reali, pende un mandato di cattura da parte degli Stati Uniti per spionaggio con conseguente rischio di pena di morte, non male per qualcuno che non ha mai rivelato niente di così grosso come i presunti retroscena dell'11 settembre (ma ha rivelato altre vicende inimmaginabili, giusto per dimostrare come un "complotto" effettivamente esistente, se è tale, è molto difficile da scoprire, e le prove non sono visibili a tutti come invece sosterrebbero i complottisti).

Un'altra caratteristica dei complottisti, in parte già accennata, è la sospensione di ogni razionalità e di ogni senso critico, sulla realtà come su se stessi. Uno che crede nelle teorie del complotto accetta ogni informazione che conferma le proprie tesi senza pensarci due volte, ma solo quelle, mentre le informazioni che potrebbero mettere in dubbio le proprie convinzioni vengono scartate a priori senza nemmeno pensarci o approfondire, bollate subito come false o di parte (altra incoerenza: ascoltare solo le affermazioni che ci piacciono e scartare quelle che non ci piacciono è molto più di parte delle affermazioni scientifiche che smonatano le bufale, le quali sono invece totalmente neutre). Nemmeno per un attimo ci si ferma a valutare la vera logicità e plausibilità di tali teorie (che infatti al vaglio razionale si rivelano piene di buchi e contraddizioni); e nemmeno per un attimo ci si pone la questione che ci si può star sbagliando, nemmeno in presenza di prove schiaccianti (ed è per questo che ho scritto che è un lavoro inutile, anche portando le prove più accurate che ci possano essere, comunque chi avesse dei forti preconcetti del genere resterebbe comunque della propria opinione). Ciò è deleterio (oltre che stupido, a mio modo di vedere), denota gravi mancanze sia nel rapporto con se stessi e con il mondo che nel senso critico, e per me è un atteggiamento completamente errato. In un periodo come questo dove internet aumenta sempre più il proprio potere, dovremmo andare nella direzione opposta ed essere più consapevoli di noi stessi e dei pericoli che corriamo, invece di buttarci dentro di essi a capofitto (a tal proposito, segnalo anche un bellissimo articolo molto accurato del professor Carlo Cerioni che parla di questo argomento (è il mio prof. di filosofia del liceo, che devo anche ringraziare: ha contribuito a gettare delle basi senza le quali, poi, la mia "cerebralità" non sarebbe sbocciata, e conseguentemente nemmeno questo blog sarebbe esistito)).

Concludendo questa analisi (che poi analisi non è, per me risulta più un insieme di riflessioni sparse che un vero articolo), trovo l'atteggiamento complottista più che difettoso ed alquanto lontano dal mio modo di essere, e questo senza nemmeno considerare le loro teorie (che comunque trovo che siano poco credibili, incoerenti ed alcune persino al limite della follia). Per questo, l'unico mio augurio è che questo fenomeno scompaia presto, se non altro perché gli attentati di undici anni (ed un giorno) fa sono eventi giganteschi e terribili, con tremila morti; stare a negare la realtà di come sono avvenuti può sembrare qualcosa di neutrale, ma basta ragionarci per capire che non è diverso dal dire che i nazisti non volevano uccidere nessuno. Il nostro mondo ha tantissimi problemi: quindi, lasciamo perdere questi deliri, e concentriamoci su cose veramente importanti, che è meglio.

venerdì 31 agosto 2012

La disgustosa ipocrisia dei pro-life

Parto da una normale notizia di cronaca: il cardinal Carlo Maria Martini  è appena morto per colpa della sindrome di Parkinson. Si potrebbe discutere ore ed ore della scarsa qualità del giornalismo italiano e all'importanza che da alle singole persone (per dire, a Ronnie James Dio, un dio in tutti i sensi, nemmeno mezzo secondo è stato dato, mentre a questo cardinale è stato dedicato un lungo servizio sul telegiornale qualche ora fa, quando neanche era morto), ma non voglio discutere di questo, nell'articolo. L'argomento che voglio trattare è un altro.

Ho letto online che il cardinale ha rifiutato ogni cura e ogni accanimento terapeutico. Molti già penseranno che sta per arrivare un attacco alla chiesa o al prelato in se, ma non è così (anche perché non vedo perché attaccarlo): secondo me ha fatto la cosa giusta. Martini, in contrapposizione con la sua istituzione, era per la libera scelta sul fine vita, perciò non vedo nulla di ipocrita nell'aver espletato un diritto che ogni stato democratico dovrebbe consentire. L'ipocrisia invece è nella chiesa (ma parlo solo degli uomini che la compongono stavolta, non della religione in se), nei politici che la supportano servilmente e più in generale di chiunque, sul fine vita, si dichiari pro-life. Questi ultimi infatti non hanno detto nulla di nulla sulla vicenda, non hanno contrastato in alcun modo la decisione del cardinale, e ciò denota la loro enorme ipocrisia. Che, per caso la vita di una Eluana o di uno Welby è più importante? Non credo, al contrario, anche se per me ogni vita ha lo stesso valore, per un credente in teoria dovrebbe essere più importante un membro d'elite della chiesa di cui si fa parte, che un sconosciuto famoso solo per una malattia o un incidente. Eppure, nessuno ha detto niente, si segnala l'assenza di qualsiasi voce contraria alla scelta del cardinale. Da un certo punto di vista è meglio così, Martini ha avuto la possibilità morire in pace e senza angosce; ma dall'altro, è deprimente vedere questa situazione, con gente anche potente che, per esempio con il caso Eluana ha strepitato e si è stracciata le vesti, con dichiarazioni disgustose, atrocità ed oscenità varie, mentre nel caso di specie assoluto rispetto e silenzio religioso. Come si può anche solo ascoltare le tesi di persone così, se le stesse persone che le sostengono non ci credono fino in fondo, o ci credono solo quando tali idee gli sono state inculcate e le seguono in maniera pecoresca? Non si può, semplicemente. Il poeta Ezra Pound diceva "Se un uomo non è disponibile a correre qualche rischio per le proprie idee, o le sue idee non valgono nulla o è lui che non vale nulla"; ed io seppur da posizioni che non potrebbero essere più lontane dalle sue, concordo con questa presa di posizione. Pound era un fascista, aveva idee a mio modo di vedere assolutamente sbagliate, ma il suo portarle avanti coerentemente è comunque in qualche modo ammirevole; al contrario, questi "pro-life" non hanno alcun tipo di coerenza in idee e comportamenti, esprimono codardamente le proprie idee solo se qualcuno di importante li appoggia e mai in contrasto ad essi, il che, a mio modo di vedere, squalifica sia le loro idee che loro stessi.

Un'altra implicazione, ancor peggiore, di questa vicenda è di ribadire la situazione assurda Italiana, in cui chi è potente può fare ogni cosa, mentre chi non ha il potere è limitato nei suoi diritti, e molti di questi ultimi, persino, appoggiano incoscientemente questa situazione. Quanto mancherà alla prima adozione di un potente omosessuale? Secondo me pochissimo, e pur da "favorevole" all'eutanasia (e all'adozione per gli omosessuali), trovo disgustoso il fatto che possano accedervi solo i "privilegiati"; ed è ancor più vomitevole che costoro siano gli stessi che negano alla stragrande maggioranza di "non-privilegiati" di usufruire di tali diritti inalienabili di ogni persona (perché in effetti questo sono, e le virgolette sulla parola "favorevole" sono per dire che i diritti esistono e basta: per esempio non si può essere favorevole al diritto a mangiare, è un diritto giusto oggettivamente). L'Italia necessita di un grosso cambiamento nella cultura (neanche in quella laica, questa battaglia è proprio per cambiare la mentalità delle persone),  altrimenti così è impossibile andare avanti, e si potrà tornare solo indietro (non esagero, il fatto che capi politici e clero abbiano tanti privilegi non è democratico, è puro ancient regime).

sabato 25 agosto 2012

Commiato per Neil Armstrong

Ho appena appreso della morte di Neil Armstrong, e la cosa non ha potuto che intristirmi molto. Ci stavo riflettendo, negli scorsi giorni: tutti gli uomini esistenti, senza eccezioni, sono accomunati dal fatto che un giorno moriranno. Purtroppo, a volte capita anche che muoia qualcuno di importante, come era appunto Armstrong, primo uomo a realizzare un sogno enorme: mettere piede su un suolo differente da quello terrestre, un sogno che a quarantatré anni di distanza vive ancora in moltissimi persone che, affascinate, guardano l'immensità del cielo (tra i quali ci sono anche io). Questo conclude il mio piccolo commiato personale, che alla fine vuole essere solo un pensiero personale e nulla più.

domenica 12 agosto 2012

"Vacanze"

Da ieri sono ufficialmente in vacanza con gli amici per due intere settimane, quindi forse la mia produzione rallenterà un poco... ma non temete, continuerò comunque a lavorare per quanto è possibile, sperando di riuscire, nei ritagli di tempi, a lavorare un po'.

giovedì 9 agosto 2012

Il tradimento della carne

No, non c'è nulla di sessuale o di morboso in questa poesia (anche se l'ho intitolata così volontariamente, come esperimento, per vedere se ci saranno più visite del solito!), bensì esso parla di qualcosa di diverso, in particolare di una storia accaduta a me. Lo scorso fine settimana da queste parti c'era il festival celtico: avrei voluto passarli tutti e due con gli amici, se non fosse che la notte tra i due giorni non ho proprio chiuso occhio, sono stato ore ed ore ed ore sveglio senza riuscire a dormire un secondo, e alla fine è diventata una tortura; poi il giorno dopo stavo così male che sono dovuto tornare a casa, purtroppo, quindi il festival è stato rovinato, nonostante il gran divertimento del giorno prima. Qualche giorno dopo mi è venuta l'idea di trasporre la mia irritazione e la mia frustrazione per la vicenda poeticamente, ed infine eccola qua. Non è una poesia triste, comunque: è solo un po' amara, tutto qui (mentre di poesie tristi, ve lo dico chiaro, ho ben poca voglia di scriverne ancora). Ecco, questo è quanto, vi lascio alla poesia.

Il tradimento della carne

Cosa devo far con te, o corpo,
Che quando serve mi abbandoni?
Cosa posso fare se tu, che sei
L’unica vera proprietà che ho
Mi tradisci proprio sul più bello?

Non mi lasciasti dormir affatto
Torturandomi stavolta per ore;
E poi svenisti, quasi vomitasti,
Mi facesti avere allucinazioni.
Troppo male, e dovetti lasciar,
Quando non desideravo che
Sol star bene con gli amici

Ed intimamente penso che
I’vorrei sol essere pur spirito
Senza l’orrore di siffatto corpo,
Cosicché mai più possa cadere
In un fallimento del genere.