giovedì 7 marzo 2019

Una crisi politica agrodolce

Come sai se mi segui da un po', su Hand of Doom non parlo mai di politica. E, nonostante il titolo, non ho intenzione di farlo nemmeno stavolta - o almeno, non in maniera diretta. Anche perché questo mio nuovo racconto, che ho scritto di getto domenica scorsa, non vuole criticare nessun uomo politico.

Un po' satirico lo è, questo è vero, ma il suo bersaglio non è la politica in senso stretto, quanto piuttosto il popolo italiano. Un popolo che, fondamentalmente, vota male ed è capace solo di protestare per problemi di poco conto, mentre quelli reali, gravi non gli interessano affatto. Ed è per questo che sono abbastanza convinto che il mio racconto non sia del tutto irrealistico e anzi più che plausibile. In ogni caso, sarai tu a dovermelo dire: come sempre, buona lettura!

Non conosco bene la politica americana, quindi non so come
contestualizzare quest'immagine. So però che noi italiani
potremmo essere molto, molto mooooooolto meglio di come
siamo. Ma non avremo mai la voglia di sforzarci di esserlo!
Una crisi politica agrodolce

«… Le proteste maggiori in termini di partecipazione si stanno verificando a Roma, dove contro le politiche di questo governo è sceso in piazza ben un milione di persone. Manifestazioni analoghe si stanno svolgendo anche nelle altre principali città, da nord a sud senza distinzioni, in una mobilitazione senza precedenti nella storia della Repubblica Italiana.
«A parte qualche raro scontro a Milano e nella capitale, le proteste si sono svolte in maniera pacifica. Tuttavia, il loro volume incredibile ha comunque fatto effetto: secondo voci di corridoio, il Presidente della Repubblica starebbe già pensando di sciogliere le camere e indire nuove elezioni…»
«Bah…» fu l’unico commento del Presidente del Consiglio, mentre pigiava il pulsante sul telecomando. Le immagini sparirono dallo schermo, ma nel suo ufficio non calò il silenzio. Ancora un eco attutito si spandeva nell’aria: un coro lontano, ma lui riuscì a distinguerlo senza fatica. Non faceva altro che urlare la parola “dimissioni”, a ripetizione.
«Una situazione abbastanza difficile, già» commentò il suo social media manager, facendolo quasi sobbalzare. Silenzioso com’era, si era quasi dimenticato della sua presenza nella stanza. 
«Io più che altro vorrei sapere: come ci siamo arrivati» sbottò il premier. «Cioè: non riesco nemmeno a capire il perché oggi siano tutti in piazza, tutti incazzati neri contro la nuova riforma. Tu sai spiegarmelo?»
«Lei… è ironico, vero?» rispose piano l’assistente.
«No: perché dovrei esserlo? Negli ultimi giorni non ho avuto tempo se non per sentire qualche spezzone di telegiornale; ero troppo occupato ad andare in giro e a fare foto e selfie. Hai detto tu che dovevo farlo, no? Per aumentare ancora la mia popolarità.»
«Sì…»
«Non mi sembra che abbia funzionato, cazzo!» sbottò il premier. Quando il social media manager provò a obbiettare, alzò una mano, e poi si tirò in piedi. I suoi passi rimbombarono sul vecchio pavimento dell’ufficio mentre si avvicinava alla finestra, dove sbirciò dalla persiana. Le fessure erano strette, ma si notava comunque la quantità immane di persone là sotto.
«Io proprio vorrei capire che cos’ha la gente che non va» ricominciò poi, sconsolato. «Prima  gli abbiamo tolto il diritto al divorzio e all’aborto. Hanno protestato in pochissimi, agli altri non è importato: dopotutto, chi si sposa più ormai? Non parliamo poi dell’aborto: interessa solo a quattro femministe sciancate che vogliono il controllo sul loro corpo.
«Poi abbiamo fatto in modo che l’orario di lavoro potesse aumentare a  venti ore, sette giorni su sette, e dato molti più poteri ai padroni. Questo capisco che potesse dare fastidio ai lavoratori: dopotutto, non fosse per le lobby industriali, nemmeno a noi sarebbe fregato di fare questa legge. Eppure, anche in questo caso solo quei rottami che si fanno ancora chiamare sindacati hanno protestato, e molto debolmente. Tanto ormai non li segue più nessuno.
«Dopo ancora, abbiamo creato i campi di lavoro per internare gli immigrati clandestini. Le associazioni dei diritti civili hanno fatto il diavolo a quattro, è vero, ma anche loro erano pochissimi. E agli altri italiani sai che gli frega, di quattro negri che gli rubano pure il lavoro? Potremmo pure sterminarli in camera a gas, e a nessuno importerebbe.
«E adesso, contro cosa protestano? Contro una riforma che non fa male a nessuno!» si infervorò il Presidente del Consiglio. «Con il divieto di introdurre cibo che non sia coltivato e prodotto in Italia, tutti ne beneficiano: le aziende locali, i cittadini comuni che possono trovare più lavoro in ambito alimentare, e persino i consumatori, che ricevono cibo più sano di quello che viene dal terzo mondo. Quindi, che cos’hanno da lamentarsi?»
«Ehm. Se ricorda il dossier dell’altro giorno, ci sono alcune aziende italiane che, senza potersi più rifornire di materie prime dall’estero, potrebbero dover chiudere, oppure delocalizzare» rispose il social media manager, cauto.
«Ma che stronzate dici?» lo aggredì il premier, girandosi di scatto. «Alcune di quelle aziende saranno pure grandi, ma non hanno così tanti dipendenti. Tutte insieme non fanno la piazza qui sotto, figurarsi quelle di tutte le altre città!»
«Non mi riferivo a loro. Forse gli operai stanno davvero manifestando insieme agli altri, ma non sono loro il cuore della protesta. Piuttosto, direi che a essere arrabbiati sono proprio i consumatori.»
«I consumatori? Che diavolo significa?»
«Davvero non ci arriva? Pensi ai prodotti delle aziende di cui parliamo, ed è chiaro…»
Per un attimo, le parole dell’uomo rimasero oscure, ma poi tutti i tasselli andarono al loro posto. E il Presidente del Consiglio non riuscì a mascherare la sorpresa.
«Per favore, vai. Vorrei rimanere solo…» fece poi, torvo, diretto al social media manager.
«Come desidera» disse l’altro, ossequioso. Fece un breve inchino poi uscì dalla porta, silenzioso com’era entrato, chiudendosela alle spalle.
Rimasto solo, il Presidente del Consiglio rimase ancora un attimo con lo sguardo perso, più nella nebbia dei suoi pensieri che nel vuoto della stanza, poi scosse la testa e tornò a girarsi verso la finestra chiusa. Da sotto, proveniva ancora un gran caos: ora la folla intonava un altro coro. Ci mise un lungo istante per decifrarlo, ma alla fine se ne rese conto. Urlavano tutti, ossessivamente “vogliamo mangiare – tutto ciò che ci pare!”
«Non ci posso credere» sussurrò a sé stesso. «Non posso credere davvero che la mia carriera politica sia finita solo per colpa di cioccolato e caffè.»

2 commenti:

  1. Fosse vero che la gente finalmente abbandona la via dell'ignavia...
    Mi andrebbe ugualmente bene se lo facesse per le schedine del Totip :)

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    1. Non ti preoccupare: se toccassero qualcosa di non così fondamentale (per quanto piacevole) come la cioccolata, succederebbe davvero. O almeno, io la penso così :D .

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