giovedì 13 settembre 2018

Furto d'auto

Quello che leggi è il post numero seicento di Hand of Doom. Forse non è un risultato molto significativo, ma a me le cifre tonde sono sempre piaciute: ecco perché ho deciso di festeggiare questo piccolo evento. E quale modo migliore di farlo, se non con un bel racconto?

Questo l'ho scritto ad agosto, mentre facevo la fila dal medico (sì, il mio medico ha dei tempi abissali, sono riuscito a cominciarlo e a finirlo mentre aspettavo lì). È uno dei miei racconti brevi, surreali e fulminanti: in questo caso, ironizza sul fatto che molti scrittori alle prime armi non abbiano la più pallida idea su come far parlare i propri personaggi.

Non avevo la più pallida idea di che foto mettere per questo
racconto. Ma la prima regola di internet (se non sai cosa
mettere, metti un gatto) mi ha salvato!
E così, dei poveri e ignoranti teppisti di strada magari si esprimono in un linguaggio forbito e ricercato - oppure al contrario letterati non lo fanno. Per quanto mi riguarda, quando mi capita di leggere cose del genere provo un gran fastidio. Capita anche a te? Allora non leggere questo racconto, che esagera il problema - in maniera voluta e sarcastica, ovvio. O, in alternativa, leggilo e fatti due risate!

Furto d'auto

«Mio gentile amico, nella sincera speranza di non disturbarla, la inviterei a guardare in codesta direzione» disse Pippo, strappandolo dai suoi pensieri. Gigio alzò lo sguardo e fissò il punto verso cui il suo compare aveva fatto un cenno con la testa. E non poté fare a meno di spalancare la bocca.
«Poffarbacco, che damerino!» esclamò, mentre i suoi occhi studiavano la figura dell’uomo dall’altra parte della strada. Indossava un frac molto elegante, con le code che spuntavano da dietro le gambe, e un paio di pantaloni, entrambi neri. Completavano il quadro una blusa bianca con un elaborato colletto, un’esplosione di pizzo tra le due coste della giacca, e un ricco bastone da passeggio con rilucenti intarsi di pietre preziose.
Anche sopra alle spalle faceva una gran figura: non solo indossava un lucente cilindro nero, sotto cui spuntavano ciuffi di capelli biondi ordinati al millimetro – come gli eleganti baffi, del resto. A colpire erano soprattutto il bocchino con cui fumava la sigaretta e il monocolo che gli copriva l’occhio destro.
«Per l’appunto! Dove mai crederà di recarsi, così indumentato?»  sputò fuori Pippo, brusco.
«Laggiù, posso arguire ragionevolmente» rispose lui, indicando la zona di parcheggio accanto al marciapiede. Poco lontano, nella direzione in cui l’uomo si stava muovendo, era parcheggiata una massiccia Rolls-Royce blu scuro. Proprio in quel momento, la sua intuizione fu confermata dall’uomo stesso, che alzò la mano e col comando a distanza aprì le portiere.
«Lei che ne dice? Può darsi che sia confacente ai nostri scopi?» chiese Pippo.
«Caro mio, la mia risposta al suo interrogativo non può che essere affermativa, invero. Venga»
«Prego, dopo di lei» lo invitò l’altro. Insieme, si mossero veloci: attraversarono la strada e poi ad ampi passi percorsero il marciapiede. Raggiunsero la Rolls-Royce proprio mentre l’uomo apriva la portiera posteriore e gettava all’interno il bastone: uno sguardo d’intesa, poi agirono.
«Scusateci, distinto signore, ma devo pregarvi di volgervi verso di noi e quindi di permanere immoto, se permettete. Mi spiace, ma state per venir derubato da parte mia e del mio stimato collega» esordì Gigio, mentre alzava la canna della pistola. L’uomo elegante si girò, e sembrò del tutto spaesato: solo dopo un lungo momento comprese ciò che stava succedendo. Aprì la bocca, poi la richiuse: sembrava quasi una buffa imitazione di un pesce rosso in una boccia, e Gigio non poté fare a meno di sorridere.
«Per piacere, chiudete codesta portiera, quindi spostatevi di un passo verso tergo» ordinò ancora, perentorio. L’uomo si rabbuiò: sembrava sul punto di ribellarsi, ma poi si bloccò e obbedì.
«Eccellente. E ora se permettete, vi inviterei a tendere nella direzione del sottoscritto il vostro mazzo di chiavi, in modo tale che io ed il compare meco si possa appropriarsi del suo veicolo»
«Ma…» aprì finalmente bocca l’uomo elegante, con un filo di voce.
«Prego, nessuna obiezione, egregio signore» lo interruppe Pippo ad alta voce, anche lui con la pistola puntata verso l’uomo. «Non costringete due gentiluomini come noi ad adoperarsi in una maniera poco cortese e indegna nei confronti di vossia. Giacché, dovete sapere, se la vostra condotta risulterà ammodo, noialtri ne abbiamo punto l’intenzione.»
L’uomo sbiancò davanti all’allusione di Pippo, e la sua rassicurazione successiva non cambiò la situazione. In quel momento fu scosso da forti brividi: sembrava quasi sul punto di svenire. Invece, con quello che sembrò uno sforzo immane, alzò un braccio tremante e consegnò le chiavi a Gigio.
«Eccellente. I miei più vivi ringraziamenti: voi avete agito in una maniera oltremodo gentile e disponibile» disse, un ampio sorriso stampato in volto. Intanto, Pippo aveva già aperto la portiera: in quel momento, salutò l’uomo con educazione, poi se la richiuse alle spalle.
«Mi duole annunciarle che è venuto il tempo degli addii. Io parimenti le porgo i miei più sentiti saluti, egregio signore!» disse Gigio, mentre si metteva in moto. Qualche veloce passo per aggirare il cofano, poi entrò di scatto in macchina dal lato del guidatore.
«Perdindirindina! Non avrei mai immaginato che questa ruberia si sarebbe consumata in una guisa così agevole» esultò Pippo.
«Neppur io, mio caro collega. Abbiam agito in maniera straordinaria in questa prodigiosa circostanza, nevvero?» sorrise Gigio, poi girò la chiave e partì. La macchina sgommò, tagliando la strada a un camioncino che sopraggiungeva, poi prese velocità, mentre l’uomo elegante diventava sempre più piccolo nello specchietto retrovisore.

Il telefono squillò ancora, e ancora, un suono che echeggiava per tutta la centrale come se urlasse con rabbia: ormai non poteva più far finta che non esistesse. Un sospiro, poi con lenti passi l’agente Lucia Brasca aggirò la scrivania e alzò la cornetta.
«Pronto, polizia. Chi parla?»
«Pronti? So’ l’arciduca Giangaleazzo Maria Rigoberto Agilulfo Plantageneto d’Asburgo-Lorena-Hohenzollern Rhompee-Kaiser!» rispose una voce baritonale con un forte accento e un chiaro tono arrabbiato.
«Come ha detto, scusi?» chiese Lucia, confusa.
«Ah, lassa perde. Chiamo perché m’hanno rubbato la machina»
«Le hanno rubato la macchina? Ho capito bene, signore?»
«E che, non te ce fa le recchie? ‘na poliziotta che ce sente non ce la potevano mette a risponne al telefono? Comunque shi: m’hanno rubbato la machina.»
«Che auto era? Mi può dare i suoi dati?»
«Una Ross-Reus blu. Ross come Julian Ross, quello de Holly e Benji, e Reus come Marco Reus, ‘l calciatore crucco. Hai scritto?»
«Ehm, sì. E i dati? La targa, per esempio?»
«Non me ricordo ‘a targa. Ma che è? Uno mo deve pure ‘rcordasse ‘a targa? E che cazzo!» si arrabbiò l’uomo. E Lucia dovette fermarsi, prima di lasciarsi uscire una rispostaccia – “sì: uno intelligente dovrebbe!” pensò.
«Almeno mi può dire chi è stato a rubarle l’auto?»
«Du’ tizi co’ vestiti tutti zozzi e rovinati: du’straccioni, ‘nsomma. Me sa pure che era pure mezzi stranieri»
«Come fa a dirlo?»
«È che parlava ‘na lingua strana… tipo co’ qualche parola d’italiano in mezzo, ma io n’capivo gnente. Ho capito solo che je dovevo da’ le chiavi e gliel’ho datte: me puntava contro ‘na pistola. Ma più de questo n’so.»
«D’accordo. Mi può dire dove si trova, così mandiamo una squadra a prelevarla? La portiamo in centrale, così può spiegarci meglio l’accaduto: sa, farlo al telefono è un po’ difficile» sospirò lei – “così almeno sarai il problema di qualcun altro” aggiunse tra sé.
«Come? Me fai portà in centrale?»
«Esatto.»
«Ma come te permetti!» esplose lui. «M’hanno rubbato la machina e invece che i ladri me porti a me in centrale? Ma lo sai chi sò? Io sò l’arciduca! Come te permetti!»
«Ma signore…»
«”Ma” un cazzo! Vaffanculo, testa de cazzo incompetente!» sbraitò lui.
«Mi scusi, ma…» esordì lei, con un tono duro. Ma non servì a niente: nel suo orecchio non era rimasto altro che un rapido “tu-tu-tu”.
“Sì, proprio “un arciduca” doveva essere!” si disse, sbuffando, mentre riattaccava anche lei. In un attimo, la sua mente cominciò a volare: immaginò l’uomo con cui aveva parlato con un aspetto trasandato, vestito con una semplice t-shirt bianca chiazzata e due jeans lisi. Per una buffa coincidenza, era l’esatto aspetto di Gigio, invece che del suo interlocutore.
“Non so chi è stato, se un cretino oppure uno che mi ha preso in giro” concluse tra sé. “Di sicuro però era un cafone, e mezzo analfabeta per giunta: certo non un arciduca!”

2 commenti:

  1. Aho! Ser Mattia, io leggebbi il suo codesto scritto ma non capirebbi in che cotanto idioma li personaggi parlassero.
    Ma se lo saprei lo dicessi!
    E come disemo noiantri aRroma: se sentimio! (dotta citazione da "Aristogatti, se la memoria mia non me facebbe scherzi)

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    1. XD

      Comunque i due ladri parlano in italiano forbito. Mentre l'arciduca parla un gergo misto italiano-marchigiano :D .

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Il tuo commento è molto prezioso per me. Anche se mi vuoi insultare perché non ti piace quello che scrivo, fallo pure: a prendere in giro i maleducati mi diverto tantissimo! Ma a essere sincero preferisco chi si comporta bene: se lo farai anche tu, mi farai ancora più contento!