martedì 4 settembre 2018

Scrittura e misantropia

Uno dei consigli più diffusi, all'interno dei manuali di scrittura è: per creare una storia efficace, immedesimati nel tuo lettore, conosci chi è e che cosa vuole, e poi scrivi la storia che desidera. Si tratta di un consiglio valido sotto molti punti di vista: se scrivi per essere letto, di sicuro non puoi fare come ti pare. Penso però che sia necessario attuarlo entro certi limiti: il "troppo" può essere dannoso quanto il non tenere conto affatto del proprio pubblico.

Non è solo una questione di creatività - scrivere solo per il pubblico e non per te stesso può essere mortificante (a meno che non lo fai con l'unico obiettivo di vendere, nel qual caso è proprio ciò a cui punti e quindi può andare bene). Soprattutto, pensare troppo a chi leggerà la storia invece che alla storia stessa non può che rendere la trama piatta, fiacca. Vuoi sapere perché?

Eccomi in una recente foto mentre rivedo un mio racconto.
Per spiegarti meglio il concetto, ti faccio un esempio: sei un bravo autore, e per questo sei riuscito a creare un protagonista affascinante, in cui il tuo lettore si immedesima con facilità. Quando ciò accade, prova a pensare: cosa vuole il tuo lettore? Puoi trovare moltissime risposte, a seconda del tuo stile, o del genere letterario in cui ti muovi. Ma l'unica vera in tutti i casi è: in realtà, non sa neanche lui cosa vuole.

Se si identifica col tuo personaggio, è ovvio che per lui vorrà solo il meglio. Di conseguenza, è probabile che preferisca vederlo trionfare in tutto ciò che fa, o magari sconfiggere i suoi difetti - gli stessi del protagonista. E, di sicuro, come non vuole stare male, il tuo lettore non vuole che nemmeno il tuo protagonista soffra. E questo è un bel problema.

Puoi accontentarlo, se vuoi, ma per quanto mi riguarda non è un bene. Secondo me, invece, la via migliore è di prendere il tuo protagonista e poi fargli male. E no, non dico per scherzo, e nemmeno è una metafora: magari senza esagerare - altrimenti cadi nel cliché del protagonista da romanzo ottocentesco a cui vanno tutte storte - ma il tuo protagonista deve soffrire, se vuoi che la tua storia sia valida. 

Non so per te, ma almeno per me è così: in tutti (o quasi) i miei romanzi preferiti, un protagonista o dei personaggi che amo,affrontano problemi e dolore (che sia fisico o mentale) per buona parte della trama. Magari alla fine finisce bene, ma anche questo non può prescindere dalla sofferenza, anzi: più il buio è intenso, più la luce che lo illumina diventa potente - e di conseguenza, più il finale è efficace.

E non è tutto: mi rendo conto che spesso le storie più toccanti non sono quelle con un finale positivo, ma quelle in cui un personaggio amato, o addirittura il protagonista, muoiono. E sono quelle, tra l'altro, che restano con più facilità nella mia mente e nel mio cuore da lettore. Che sia una fine eroica o una tragica e patetica, non ha in fondo molta importanza: al pari della sofferenza, la morte è uno dei migliori elementi narrativi da inserire in un romanzo.

Ecco perché sono convinto che a un autore di buon livello non può mancare un po' di misantropia e di un certo sadismo. Affezionarsi a un proprio personaggio è facile, ma non è salutare per la buona letteratura; come non lo è fare in modo che gli vada tutto bene. Anche perché - fin'ora non l'ho detto, ma forse avrei dovuto - è quasi impossibile crearne uno appassionante e al tempo stesso farlo essere sempre al top e mai in difficoltà. Molto più facile che sia un'odiosa Mary Sue.

Certo, non nego che forse questa sia una questione mia: magari a qualcun'altro possono piacere storie in cui tutto va bene, in cui non succede nulla di negativo. Ma personalmente lo concepisco poco: per me una bella storia è prima di tutto conflitto, che è il motore principale della storia - come dicono, giustamente, sempre i manuali che citavo sopra. E senza almeno un po' di sofferenza, come si può parlare di conflitto?

La domanda: e tu quanta misantropia metti in ciò che scrivi?

4 commenti:

  1. E' quasi impossibile scrivere una bella storia senza tormentare i personaggi; c'è chi ci riesce, ma non è cosa da tutti. Nel mio caso, sebbene io ci tenga a diffondere quello che scrivo, non penso a cosa può piacere al lettore; cerco di scrivere al mio meglio, e spero che il risultato piaccia.

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    1. A me invece capita, ogni tanto, di pensare anche a chi leggerà, mentre scrivo. Ma non lo faccio perché penso di accontentarlo a tutti i costi: anzi, piuttosto mi capita quando inserisco un plot twist o qualcosa di particolarmente forte. In quei casi, non posso fare a meno di pensare "chissà che faccia farà il mio lettore, quando leggerà questo!" :D .

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  2. Le storie in cui va tutto bene non piacciono a nessuno. Però è pure vero che troppi eventi negativi sono altrettanto fastidiosi, quindi forse serve ogni tanto di far provare qualche emozione positiva ai personaggi, in modo da coinvolgere di più il lettore. Per quanto mi riguarda, però, io non penso mai a cosa possa piacere o meno, ma su questo avrei molte altre riflessioni da fare. Se riesco, scrivo un post :)

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    1. Sono d'accordo. Solo perché penso che uno scrittore debba essere un po' misantropo, non nego che deve essere anche un po' umano. E anzi, forse le storie migliori sono proprio quelle che presentano il giusto equilibro tra cattiveria e calore emotivo :) .

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