giovedì 17 maggio 2018

"Anni senza fine" e la malinconia

Cos'è più importante, per scrivere un grande romanzo? C'è chi direbbe, senza dubbio, la giusta tecnica letteraria, e io non mi sento di dargli tutti i torti: credo anzi che una bella infarinatura teorica sia necessarie per uno scrittore, specie se odierno. Tuttavia, la tecnica non è tutto: esistono libri scritti alla perfezione che però non ti lasciano dentro nulla. E altri che invece dal punto della forma sono un po' claudicanti, ma riescono a emozionarti. E, per quanto mi riguarda, proprio la capacità di emozionare il fattore fondamentale per creare un capolavoro.

È proprio questa che rende grande, per esempio, Anni senza fine di Clifford D. Simak. Conosciuto in Italia anche col titolo originale, City (ma devo dire che per una volta lo stravolgimento nostrano funziona alla grande per quello che è il libro), è una raccolta di racconti che narrano però tutti la stessa storia. Sono stati scritti in gran parte tra il 1944 e il 1951 e pubblicati tutti insieme nel 1952  (mentre l'epilogo della nuova versione risale al 1973), e si vede: lo stile dell'autore è datato in maniera visibile. Ma questo non inficia per nulla l'esperienza emotiva del romanzo, che resta grandiosa e va ben oltre la classica fantascienza - specie quella del periodo.

Come sai, in queste mie non-recensioni cerco sempre di non fare spoiler. In questo caso poi è molto facile riuscirci: non c'è granché da dire sulla trama di Anni senza fine, visto che al suo interno succede poco o nulla. Per molti romanzi, questo sarebbe un limite, anche bello grosso; nel caso del romanzo di Simak, tuttavia, è addirittura un valore aggiunto.

Parliamo in effetti di un romanzo che si può definire bene con il termine "atmosferico": più che i fatti che accadono e i dialoghi tra i protagonisti, il cuore del romanzo sono le sensazioni che le parole stesse riescono a creare. In particolare, quella evocata da Anni senza fine è una forte malinconia, presente sin dall'inizio ma che nella narrazione si accentua sempre di più, e avvolge sempre di più il lettore.

È proprio questo lo strumento principale che Simak usa per impostare una riflessione su temi filosofici importanti come il passare del tempo, l'inevitabilità del cambiamento, del destino a tramontare di ogni civiltà, fino ad arrivare alla morte, alla sconfitta. Tutti affrontati con un taglio "elevato", ma mai pesante: non ci sono concetti astrusi né c'è bisogno di un'ampia cultura di base (quella che serve a capire per esempio Anathem di Neal Stephenson); anzi, il tutto è affrontato dall'autore con naturalezza e semplicità.

Sia ben chiaro: nonostante questo, Anni senza fine non è una lettura immediata: di sicuro, la prosa di Simak non è quella scorrevole, semplice e catturante dei best-seller odierni. Ma se si riesce a entrarci dentro, a connettersi col suo lato sentimentale, si scopre un vero e proprio capolavoro del genere. Peccato soltanto che il romanzo, come il suo autore, siano così sottovalutati in Italia: per quanto mi riguarda, è un romanzo da riscoprire, se non altro anche per l'attualità di certi temi!

2 commenti:

  1. Sinceramente non sono d'accordo sul significato che attribuisci alle tecniche narrative. La parola scritta è "tecnica" per sua natura, in quanto composta da simboli usati per esprimere dei concetti; il talento dell'autore e le emozioni devono per forza usare gli aspetti tecnici della scrittura per arrivare a esprimersi. Nei manuali di scrittura creativa che ho letto - non ti dico quanti, che è meglio... - non ho mai trovato regole mirate a creare un testo "perfetto", ma indicazioni su "cosa funziona" nell'agganciare l'attenzione e le emozioni del lettore. Questo non rende certo le tecniche narrative una bacchetta magica per sfornare best-seller (ci mancherebbe!), ma se sulla pagina arrivano storie senz'anima la responsabilità è dell'autore, non delle tecniche narrative, che in fondo sono soltanto osservazioni sulla psicologia del lettore, con i limiti che questo comporta.

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    1. Sì, ovviamente hai ragione. Quando io parlo di "tecnica" in generale non intendo ogni parte della tecnica letteraria - senza cui nemmeno si potrebbe scrivere - ma solo quei "trucchi" che si studiano oggi nei manuali. Quei trucchi, per intenderci, che facilitano la lettura e permettono una maggior immedesimazione.

      Per quanto mi riguarda, sono concetti molto utili da sfruttare per uno scrittore, ma servono a poco se la storia è debole di suo. Mentre chi non li usa a dovere - perché magari all'epoca ancora non erano codificati come oggi - ma ha qualcosa di vero da dire, può anche fare bene. Almeno, questo era il discorso che volevo fare con questo post :) .

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