Molti mesi dopo "Supernovae", finalmente sono riuscito a completare la riscrittura dell'altro racconto "perduto", anche se con un tale, consistentissimo, ritardo, dovuto a motivi personali, a impegni e a distrazioni varie. Che dire... è venuto meglio di quanto pensassi, meno fiabesco e dal tono più serio di quanto immaginavo risultasse, ed è quindi, per me, un buon racconto, carico di emozioni e vagamente onirico. Ancora una volta, spero che sia di gradimento per chi lo legge.
Il raggio gamma nacque improvvisamente in un luogo denso e pieno di plasma, dalla fusione dei suoi “genitori”, due protoni, che si congiunsero per dar luogo ad un nucleo di deuterio; lui, insieme ad un elettrone, suo gemello, fu il frutto di quella unione. Il fotone era diverso, però, sia da suo fratello che dai suoi genitori, a loro differenza non aveva alcuna massa ma in compenso si sentiva pieno di una grandissima energia; e per qualche motivo a lui oscuro, sin dalla sua nascita sentiva di doversi muovere alla velocità della luce, senza poter farne a meno, e così fin dai suoi primi istanti fece. Perse di vista subito i suoi parenti, che non potevano andare alla sua velocità, ma non gli importava, si sentiva forte e andava avanti con gioia, e senza guardarsi indietro. Presto abbandonò la zona in cui era nato, e si trovò in una nuova parte dove le particelle non reagivano, ma erano comunque estremamente concentrate. In quella zona densissima, ogni tanto il raggio gamma urtava qualche particella, ma aveva la fortuna di avere una traiettoria che gli consentiva di evitarne la maggior parte, al contrario di tante altri suoi simili che perdevano energia nelle collisioni, pur continuando al viaggiargli accanto. Attraversò l’intera zona in un tempo molto breve, questioni di minuti, e si ritrovò in una nuova regione, una parte ancora meno abbondante di materia, ma in cui i nuclei di idrogeno e i pochissime di elio lì presenti c’erano si muovevano velocemente tutti insieme, seguendo come una corrente ininterrotta. Non avendo la possibilità di cambiare direzione, e sapendo di dover andare avanti, il raggio gamma si unì subito al flusso, ma l’esperienza si rivelò fin da subito spiacevole: il flusso era pieno di particelle che spingevano e rimbalzavano tra di loro, e l’entusiasmo iniziale del fotone era diventato allora una specie di malessere. Tuttavia,una volta entrato, non era possibile uscirne, almeno finché la corrente non lo avesse rilasciato, e così dovette seguirne il tortuosissimo e labirintico corso per un tempo lunghissimo, così tanto che perse il senso del tempo, e non seppe da quanto si trovava lì.
Quando ormai il fotone aveva perso ogni speranza di uscire dalla corrente, che in maniera monotona lo faceva oscillare tra zone di differente densità, ma sempre con la stessa cadenza, qualcosa finalmente successe: Si ritrovò proiettato dal flusso stesso in una zona in cui esso non esisteva più, e dove le particelle erano talmente rarefatte che il fotone poteva proseguire per la sua strada senza scontrarsi con alcuna di loro. Con felicità riprese a muoversi in linea retta: era libero, finalmente! Molto velocemente uscì anche da quel posto, e man mano che avanzava protoni ed elettroni diminuivano sempre di più, fino ad arrivare ad essere praticamente nel vuoto, anche se dalla partenza dalla zona in cui era rimasto per anni in poi viaggiava circondato da un’immensa quantità di fotoni suoi simili. A volte gli capitava anche ancora di sorpassare velocemente qualche particella di vento stellare, ma con esse non c’era più rischio d’impatto, tanto erano rade. La sua innata curiosità lo spinse a guardarsi intorno, ad esplorare l’ambiente, molto diverso da quello che aveva conosciuto in precedenza: dietro di lui, l’enorme stella che aveva attraversato dal centro fino all’esterno, era ancora luminosissima, ma era ormai solo una sfera bianca sospesa nello spazio, e non sembrava l’immenso labirinto dal quale era uscito impiegando anni, pur muovendosi alla velocità della luce. Davanti a lui, invece, un puntino di luce si ingrandiva, e presto divenne una grossa sfera verde e azzurra, un pianeta evidentemente, con un grosso satellite quasi bianco con cui formava una bella coppia. Il raggio gamma osservò i due corpi celesti che passavano velocemente, e con la sua vista acutissima scorse che c’era del movimento, sulla superficie del pianeta: c’erano degli esseri che non andavano avanti per inerzia, ma facevano la loro volontà senza limiti! Erano molto diversi da lui, fatti di miliardi di atomi, esseri che addirittura comunicavano tra loro. Come li invidiava! Lui era un raggio gamma, non poteva fare ciò che voleva ne muoversi nella maniera che gli piaceva, doveva continuare ad andare diritto, senza nemmeno poter comunicare le sue emozioni agli altri miliardi di fotoni, che pure erano suoi silenti compagni di viaggio. La visione presto passò, doveva comunque continuare ad andare avanti imperterrito, e come era arrivato il pianeta vivente sparì, diventando prima un puntino nero che risaltava appena sulla superficie incandescente della stella, e alla fine scomparve, fagocitato dalla sua immensa luminosità. Il fotone continuò a viaggiare, imperterrito. Bastarono poche ore per passare le orbite degli altri pianeti, molti dei quali li vide però solo come puntini nella lontananza, appena distinguibili tra gli altri puntini del cielo stellato; alcuni non li scorse affatto, addirittura, dato che erano dall’altra parte dell’orbita. Solo un altro poté scrutarlo da vicino, ma fu una vera delusione, un gigantesco pianeta fatto di solo gas e dalle strisce azzurre e blu che lo attraversavano, ma non era nemmeno lontanamente interessante come il primo che aveva visto, e non gli dispiacque quando il suo moto lo allontanò da esso.
I giorni divennero mesi, e poi anni e decenni. Ogni tanto si poteva vedere, lontana, una qualche cometa, ma nulla di che, i corpi e anche le particelle con massa propria erano rarissimi, specie dopo che era uscito definitivamente da quel sistema stellare, ed i fotoni che l’accompagnavano erano la sua unica compagnia. E ancora, i decenni divennero secoli e poi millenni, e il raggio gamma si sentiva sempre più annoiato, il paesaggio stellato dava davvero poche emozioni, per quanto era monotono. Una volta era passato nelle vicinanze di una stella, che col suo vento stellare aveva riempito per qualche tempo lo spazio intorno a lui di particelle e lo aveva attratto con la sua forza gravitazionale, deviandone leggermente la traiettoria; ma non era stata molto esaltante come esperienza, anzi era stato infastidito dalla sua forza; un’altra volta era passato abbastanza vicino ad una nebulosa planetaria da vederla chiaramente, ed era stato uno spettacolo bellissimo, anche se noioso dopo un po’. Nel suo cuore però c’era sempre e solo il pianeta che aveva visto poco dopo la sua uscita dalla stella, e quelle forme di vita meravigliose che vi abitavano; per quanto brevissima, era stata l’esperienza più meravigliosa e gioiosa della sua vita, l’unica in cui era stato davvero felice, oltre ai primi momenti della sua nascita.
I millenni divennero milioni di anni, e man mano le stelle nel paesaggio divennero sempre più rade, finché il fotone si ritrovò nello spazio intergalattico, senza più stelle. Alle sue spalle a quel punto non vedeva più astri singoli, ma solo una grande galassia a forma di spirale, molto luminosa; però lui sapeva che non poteva far altro che andare avanti diritto, nonostante tutto, volente o nolente; così, sfiducia e tristezza nel suo cuore crescevano sempre più. Intorno a lui, la maggior parte dei fotoni che avevano proseguito insieme a lui, si allontanava, lentamente ma inesorabilmente, e i pochi che continuavano nella sua stessa direzione erano comunque una compagnia silenziosa, che gli causava un’insoddisfazione sempre più bruciante. Milioni di anni, ancora, e poi miliardi, e il raggio gamma guardava le altre galassie, alcune vicine, altre molto più lontane, che gli passavano pian piano accanto; ce n’era una anche esattamente davanti a lui, ma era lontanissima; e il fotone continuava, un milione di anni dopo l’altro, ad andare avanti. Per quanto per lui il tempo non passasse, la sua energia, man mano che avanzava, diminuiva sempre di più, e con lei anche il suo interesse per il mondo, anche le forme fantastiche delle galassie che aveva attorno lo avevano tediato. Dopo diversi miliardi di anni, il fotone arrivò finalmente vicino alla galassia che aveva scorto da lontano. Era una bella galassia a spirale barrata, e lui si accorse che il suo percorso rettilineo passava quasi perpendicolarmente attraverso un braccio della spirale. Quando era nella sua galassia di provenienza non era felice di trovarvisi, si annoiava a morte, ma ora sarebbe stato contento se, almeno per qualche altro milioncino di anni, avrebbe potuto tornare a vedere un cielo stellato, invece che l’immenso vuoto cosmico che fino ad allora lo aveva circondato e che lo aveva fatto sentire solo e sconsolato. In qualche altro milione di anni arrivò al limite della galassia, e vi entrò, con poca felicità per le stelle ma moltissima stanchezza, stanchezza che era ben visibile: dall’inizio della sua vita aveva perso molta della sua energia, e dal magnifico raggio gamma era rimasto un semplice raggio luminoso.
Trascorse qualche altra decina di migliaia di anni, in cui non successe molto. Nonostante pian piano il cielo, con gran gioia del raggio di luce, si era di nuovo riempito di stelle, comunque sul suo percorso non aveva incontrato nessun astro; ogni tanto qualche particella attraversava la sua strada, ma era troppo poco, e rimpiangeva i bei tempi andati in cui, miliardi di anni prima, aveva guardato con sufficienza la stella e la bellissima nebulosa che aveva incontrato nella galassia di origine. Poi però, dopo qualche milione di anni in cui lo scoramento riprese il sopravvento sulla felicità di non essere più nel vuoto cosmico, finalmente il fotone arrivò nei pressi di una stella, meno luminosa di quella da cui veniva ma comunque similissima. Di nuovo, tornò a muoversi nel vento stellare, questa volta in direzione contraria, risalendolo; ma nulla lo poteva fermare, e la stella si avvicinava man mano, causando la commozione del fotone, che per la prima volta dopo miliardi di anni vedeva da vicino un corpo celeste da vicino. Anche questa stella aveva un sistema planetario: vide da lontano un pianeta gassoso, ma che non assomigliava a quello bruttino del suo sistema di provenienza, era invece una sfera grigio-arancio, che sembrava quasi liscia, cerchiata da un elegantissimo anello fatto di piccoli asteroidi. Fu un bello spettacolo, ma nulla in confronto a quello che vide solo poche ore dopo. Avvenne tutto in pochissimo tempo: il nuovo pianeta si avvicinò rapidissimo, e con una gigantesca meraviglia il fotone si accorse che anche sulla sua superficie c’erano dei piccoli esseri, abbastanza diversi da quelli che aveva visto, ere prima, nel suo sistema natale, ma non per questo meno incantevoli. Assomigliava davvero a quel pianeta di tanto tempo indietro, aveva persino un satellite quasi identico (anche se di colore molto più scuro), ma questa volta la situazione era diversa: questa volta, con grande meraviglia ed emozione, il raggio di luce si accorse che la sua traiettoria puntava dritta dritta sulla superficie! Finalmente, dopo lo sconforto e l’orrore di una vita, tutti quei miliardi di anni assumevano un senso, quello di raggiungere il pianeta; e non sapeva come, ma nel cuore una voce gli diceva che, portando a compimento questo scopo, avrebbe aiutato quegli splendidi esseri viventi. In un momento attraverso l’atmosfera, e fu quasi alla superficie; la sua traiettoria finì dentro una specie di rete, in cui entrò, rimbalzò su una superficie e poi ancora su un’altra, di continuo, fino a venir indirizzata verso un’area diversa dalle precedenti. Non sapeva come, ma aveva la certezza che lì avrebbe concluso la sua vita: e mentre i pochi fotoni che erano riusciti ad oltrepassare le particelle d’aria e ancora lo accompagnavano si muovevano in tutte le direzioni lì dentro, lui impattava contro una particella della strana superficie, venendone assorbita. Questa fu la fine del fotone, ma i suoi ultimi istanti furono i più felici della sua vita : ne era valsa la pena, di tutti quei miliardi di anni di solitudine e di tristezza, per vivere solo quei pochi istanti di grandissima gioia lì, alla fine del cosmo.
La lastra fotografica che il tecnico gli aveva appena portato, con impressa la traccia di una galassia remotissima, era ottima, il telescopio Hooker aveva funzionato davvero divinamente, e il cielo di quella notte del tardo 1924 era straordinariamente limpido. Il professor Edwin Hubble la studiò a lungo, e poi, finalmente, si rese conto che era decisamente ciò che gli serviva. Dopo tante prove utili ma non sufficienti, quella era la foto definitiva, che gli consentiva di dimostrare scientificamente che le nebule, quelle nuvole lontane nel cielo, non erano semplici ammassi di stelle della Galassia, ma altri mondi, altre “galassie”, gigantescamente lontane dalla Terra! Era un risultato eccezionale, ed anche se c’era ancora del lavoro da fare, in cuor suo Hubble era felice. Con questa gioia, la mattina, dopo aver esaminato molte altre lastre fotografiche, andò a dormire; e in sogno, vide un unico fotone, che lo ringraziava per le bellissime emozioni che lui col telescopio gli aveva regalato, e che lui con grande emozione replicava, esprimendogli tutta la propria riconoscenza per quel lunghissimo viaggio che aveva fatto fare un balzo da gigante all’umanità.
Nessun commento:
Posta un commento
Il tuo commento è molto prezioso per me. Anche se mi vuoi insultare perché non ti piace quello che scrivo, fallo pure: a prendere in giro i maleducati mi diverto tantissimo! Ma a essere sincero preferisco chi si comporta bene: se lo farai anche tu, mi farai ancora più contento!