Se queste gite sono spesso istruttive e soprattutto emozionanti, c'è però qualcosa dei musei italiani che non funziona, a mio avviso. Chiunque sia entrato almeno una volta in uno di questi luoghi sa bene quanto essi siano pieni di pannelli informativi e di cartellini che danno spiegazioni sugli oggetti esposti e sulle sale storiche in cui sono contenuti. Spesso in essi si trovano informazioni importanti e interessanti; il problema sorge quando, altrettanto di frequente, c'è un surplus di dettagli. In particolare, spesso queste didascalie entrano molto nel gergo tecnico nel descrivere le opere d'arte a cui sono dedicate. E questo, a mio avviso, può essere controproducente.
La rocca di Gradara, meta della nostra ultima gita domenicale |
Più in generale, la mia impressione è che in Italia si guardi alla cultura come a qualcosa di "alto", in contrapposizione con ciò che è popolare, che invece è "basso". E, soprattutto, sembra che tra i due mondi non ci possa essere un contatto. È una classificazione arbitraria, che non ha alcun riscontro nella realtà. Molte correnti artistiche oggi considerate d'elite hanno radici molto popolari; non parliamo poi dei reperti archeologici dei musei. Anche se sono oggetti di eccezionale bellezza, spesso si tratta di oggetti di poco interesse, per i proprietari che li hanno usati nel passato. Dubito che il proprietario originale, negli scorsi secoli, provasse l'ammirazione che proviamo noi per un piatto di ceramica o per la punta di una freccia, anche se oggi sono di valore storico inestimabile. E sono sicuro che nell'anno quattromila, se esisteranno ancora, i musei conterranno anche vecchi giocattoli rotti e bottiglie di plastica.
Come è inutile suddividere la cultura tra alta e bassa, così è suddividere le persone in intelligenti e stupide. Certo, sicuramente la fuori è anche pieno di persone fieramente ignoranti, che di cultura non vogliono sentir parlare. Dividere tuttavia il mondo soltanto in due categorie non mi sembra molto intelligente: non tutte le persone senza cultura sono per forza stupide. Il mondo non è mai bianco e nero: accanto ai fieramente ignoranti c'è anche chi vuole imparare, ma per un qualsiasi motivo (mancanza di possibilità di studiare in passato, fatica nell'apprendimento, e così via) non ci riesce. Perché allontanare queste persone dalla cultura, trincerandosi dietro a un elitismo fastidioso?
Qualche purista potrebbe rispondermi che la cultura non ha niente di facile, che non c'è un modo per spiegarla in maniera semplice. Il che, se mi permettete la volgarità, è una cazzata gigantesca! C'è chi invece ci riesce perfettamente: basta pensare solo a Piero e Alberto Angela, che coi loro programmi televisivi e i loro libri riescono a spiegare argomenti complessi della storia, della scienza, del sapere in maniera elementare e comprensibile a (quasi) chiunque. Oppure, si pensi ai tanti libri divulgativi che riescono a spiegare, con un linguaggio colloquiale temi abbastanza complessi. Io, per esempio, ho deciso di studiare astronomia all'università proprio perché affascinato da questo tipo di divulgazione. Se mi avessero mostrato che la scienza è solo rigore matematico e formule da ricordare, probabilmente le sarei stato lontano mille miglia (per inciso non è così, ma è facile che lo sembri, se non si sa spiegarla in maniera efficace).
Certo, divulgazione significa sempre semplicifazione: nessuno può diventare un fisico delle particelle o uno storico dell'antichità guardando solo Superquark. Di approfondire c'è sempre bisogno: tuttavia, è anche giusto adeguarsi al pubblico a cui ci si rivolge. Uno storico dell'arte per esempio può, anzi deve, parlare in gergo tecnico, se si trova a una conferenza con altri suoi colleghi. Farlo però davanti a un pubblico di ragazzini delle superiori non può essere che controproducente. Torniamo così al discorso iniziale: sicuramente è giusto dare approfondimenti anche estremi a chi ne ha bisogno, o semplicemente voglia. Tuttavia, sarebbe anche preferibile fornire un'infarinatura più semplice a chi, per un motivo o per un altro, non può afferrare i temi più complessi di una materia. Il che significa i più umili, in certi casi, ma anche la maggior parte delle persone istruite, se si usa un linguaggio specifico comune solo agli addetti ai lavori.
Insomma, la mia idea è che un buon divulgatore, compreso chi si prende cura dei musei, dovrebbe essere sempre consapevole del pubblico e dei suoi limiti. È l'unico modo per avvicinare la cultura alle persone, qualcosa di cui avremmo un gran bisogno in Italia. Se invece non si è disposti a sacrificare un po' di approfondimento e di conoscenza per cedere alla semplicità, beh, poi non ci si può lamentare, se un paese così pieno di cultura a nessuno essa interessi davvero.
La domanda: cosa ne pensi della concezione generale che si ha della cultura in Italia?
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