Il popolo del lago
Era appena tornata a casa da scuola, quando il telefono cominciò a squillare. Giada corse a rispondere: era una sua cara amica, che le ricordava di venire alla sua festa di compleanno, più tardi quello stesso giorno. La ragazza non se ne era certo dimenticata, come poteva scordarlo, eppure la telefonata la rese felice. Sarebbe andata a Lecco, e sarebbe rimasta lì fino ad ora tarda, a festeggiare i 18 anni dell’amica, un traguardo molto importante nella vita di una persona, e il solo pensare quanto poteva essere speciale la festa le dava allegria. Corse in camera sua, per posare zaino e giaccone, e poi volò come avesse le ali ai piedi nella cucina, per prepararsi il pranzo da sola. Si fece una buona pasta con un sugo semplice e rapido, e in pochi minuti stava già mangiando. Il giornalista nella televisione della cucina balbettava parole incomprensibili a causa del volume troppo basso, e Giada e mangiò la metà del suo pasto in silenzio ascoltando quel soffuso mormorio, con troppi pensieri per la testa per accorgersi del fatto. Il telegiornale finì, e partirono le previsioni del tempo: la neve e il gelo di quei giorni non si sarebbero sciolti, e che anzi le temperature sarebbero state vicine allo 0 per quasi tutto il giorno. Alla giovane non piaceva l’inverno, soffriva sempre il freddo nella sua camera, ma non importava, la festa per fortuna era al chiuso. Già pregustava la sera dopo, immersa nei propri pensieri, quando il telefono squillò di nuovo. Era suo padre, le diceva che stava andando a casa, molto in anticipo rispetto al suo solito.
Rimase con loro ventisette giorni. Ogni giorno organizzavano banchetti a base dell’unico cibo che mangiava il popolo del lago, le alghe verdi sminuzzate, e che Giada trovava veramente gustose. Le feste in suo onore poi erano davvero sfarzose, l’enorme sala da ballo era sempre piena di nobili Marfantiani che danzavano per ore, al ritmo della soave musica prodotta dalla grande orchestra. La ragazza amava quel clima, lo amava veramente, e amava anche danzare con il suo amico Xikton, che in quei giorni l’aveva sempre accompagnata. Quasi non ricordava più la sua vita sulla terraferma, i ricordi del mondo fuori dall’acqua svanivano giorno dopo giorno, ma non le importava nulla, lei ormai voleva solo rimanere in quel posto per sempre. Lassù la aspettava un mondo apatico e marcio, pieno di gente malvagia in ogni dove, là sotto invece non era così, non c’era nessuno che le volesse far del male, nessuno era apatico. Purtroppo in questo si sbagliava, se ne sarebbe accorta solo dopo; però passò ventisette giorni piacevolissimi, forse i migliori della sua vita, e tra danze e cene il tempo volò.
Nel ventisettesimo giorno, qualcosa accadde. Dopo essersi alzata alla mattina, Giada notò una cosa strana: diversamente dalla solita calma che regnava solitamente, nel palazzo quel giorno c’era una grande agitazione, un atmosfera concitata. Un po’ allarmata, si vestì e si recò nella sala del trono. Al suo ingresso, il gran consiglio del re ammutolì, e tutti la guardarono. Il re, con una faccia sconsolata, le riferì che era scoppiata una rivolta, che la popolazione, stanca di fare la fame per nutrire i ricchi banchetti dei nobili come avveniva da quasi un mese, si stava ribellando. Per sedare la rivolta avevano solo due possibilità: o smettevano le feste o mandavano via la ragazza. Giada però aveva appreso che nel popolo del lago la tradizione non si poteva violare, era sacra, e la tradizione appunto prevedeva di organizzare cene e ricevimenti ogni volta che un ospite raggiungeva il palazzo. Quindi l’unica cosa che potevano fare era proprio cacciarla via. Ma lei non voleva, non voleva proprio, si sarebbe opposta con tutta le sue forze. Espresse questa opinione al re, in tono supplicante; ma il re, sempre più sconsolato, le comunicò che non poteva restare. Doveva andarsene, non gli importava dove, ma doveva andare via dal regno. Giada guardò allora Xikton, ma questi, infelice, scosse la testa. Giada venne accompagnata all’esterno del palazzo dalle guardie, che le intimarono di abbandonare per sempre Marfant. Lei urlò, con le lacrime agli occhi, che non avrebbe mai lasciato quel posto, se non la volevano sarebbe rimasta la fuori per sempre, ma mentre diceva questo sentì un’accelerazione. Stava venendo strattonata per un braccio, ma non vedeva chi la stesse tirando, era come se ci fosse una strana e misteriosa forza che la attraeva verso l’alto, verso la superficie, verso quel mondo che non voleva più vedere. Tentò di opporsi con tutte le forze, ma non ci riuscì, veniva portata lentamente ma inesorabilmente in su. Infine riemerse dall’acqua. Là c’erano molte luci che si muovevano e lampeggiavano, persone che parlavano e urlavano. Non riusciva a capire nulla, era confusa e stordita, sentiva solo un freddo intensissimo, non riusciva a sopportarlo. Poi si accorse che stava venendo trasportata, quindi il freddo si fece meno intenso. Disperata poiché non riusciva a capire cosa succedeva, Giada perse i sensi.
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