Ho deciso di dedicare un racconto ad ogni mio lettore che conosco, giusto per ringraziarlo di essersi preso la briga. E quale migliore metodo di scrivere una storia di cui lo stesso lettore è il protagonista? Dedico ovviamente questo primo racconto ad Alessandro, primo lettore e commentatore, e lo ringrazio anche di avermi sopportato per questi ultimi mesi. Ovviamente è un opera di fantasia.
Il castello sulla collina
Aveva appena gli amici con cui era uscito quella sera, e si era incamminato verso casa, desideroso di riposo. Invece che percorrere la sua strada abituale, aveva deciso di allungare il passaggio: forse aveva voglia di passeggiare. Salerno quella sera era viva come non mai, la gente sciamava felice sui marciapiedi, intenta a fare compere, a cenare, o semplicemente a ritrovare gli amici, e quell’atmosfera gioiosa e di festa lo contagiava in qualche modo. I problemi della grande città del sud sembravano dimenticati da tutti quella sera, specialmente da Alessandro, che decise così di andare in giro per negozi. Non aveva bisogno di nulla, ma quella sera aveva voglia di guardare un po’ di merce esposta, di vetrine, di girare la città, e magari fare anche qualche piacevole incontro.
Il perché e il come probabilmente non lo seppe mai neanche lui, fatto sta che i suoi passi lo condussero in un angolo della città privo di negozi, una larga via circondata solo da alti palazzoni residenziali colorati, nella parte più elevata della città, uno strano e deserto luogo. La strada in cui si trovava terminava poco più in la, e oltre si estendeva l’oscurità più totale, una salita buia, rischiarata appena da un pallido quarto di Luna. Molti metri più in alto, sul colle che la gente chiamava Bonadies, svettava il castello di Arechi, riusciva a vederlo appena, illuminato anch’esso dalla Luna. Quello splendido ammasso di vecchie pietre, quella meraviglia di un mondo antico ormai dimenticato, lo affascinava nel profondo. Tento inutilmente di scacciare quel fascino, ma non riuscì a fare nulla, e lo sguardo gli ricadde sulla fortezza, lassù in alto. Non riusciva a capire come mai la fortezza avesse quella attrazione su di lui, ne era sedotto da una forza quasi morbosa e magnetica. Vinse le ultime indecisioni, e comincio a salire sul colle.
Il bosco attraverso il quale ascendeva non era molto intricato, non era una jungla come se ne vedono nei film ambientati in Asia o in Africa, era più una tipica foresta europea, tuttavia Alessandro inciampò molte volte. Sotto le fronde degli alberi, l’oscurità era pressoché totale, ed egli avanzava piano piano, con le mani protese in avanti per evitare i possibili ostacoli. Man mano che saliva, la fatica fisica cominciava a farsi sentire, ma caparbiamente il giovane la ignorava, continuando a salire. Non gli importava di inciampare, non gli importava nemmeno di essere stanco, doveva arrivare al castello, costasse quello che costasse. Un paio di volte attraversò anche la strada asfaltata che girava intorno alla collina e arrivava alla rocca, ma non se ne accorse nemmeno, nonostante su un lato questa via fosse costeggiata da un muro: tutte le sue forze, tutte le sue attenzioni erano rivolte verso il castello. Così si arrampicò quasi senza pensare su quelle pareti e proseguì Era sicuro che lassù avrebbe trovato qualcosa, non sapeva dire cosa ma sapeva che era quello che lo stava attirando la su, quello che lo attraeva come una calamita.
Passarono quelle che a Alessandro parvero molte ore. Oramai era ricoperto di escoriazioni e lividi, aveva perso nel bosco una manica del giaccone e aveva freddo, ma ancora non si fermava. Doveva raggiungere a tutti i costi il castello. Ormai sentiva di essere quasi arrivato, ed a un tratto, dietro una macchia boscosa, apparve, appena visibile alla luce delle stelle, il muro esterno del castello di Arechi. Ce l’aveva fatta, finalmente! Ormai era a pochi passi da ciò che stava cercando, e la tensione si impadronì di lui. E se non ci fosse stato niente, e se fosse rimasto deluso da ciò che avrebbe trovato. Il dubbio lo colse. Tento di farsi forza, dopotutto aveva fatto tutta quella strada, doveva entrare ormai. Tuttavia, alla fine la paura lo prese. Rimase lì immobile, fissando il castello davanti a se, pensando a cosa avrebbe dovuto fare.
Dopo qualche minuto, sciolse ogni dubbio. Si girò indietro, ma con la coda dell’occhio vide qualcosa che lo bloccò sul colpo, anche se non c’era alcun palese motivo per bloccarsi : il cielo a est, sopra le colline, schiariva a poco a poco, si ingrigiva, poi iniziava ad arrossarsi. Quindi, il sole cominciò a illuminare prima le cime innevate dell’Appennino e dei Monti Lattari, poi il castello sopra di lui, e poi si alzò sempre più, illuminando la città sottostante. Allora Alessandro capì: capì che a spingerlo fin lassù non era stata un qualcosa di materiale, un attrazione fisica, ne un qualcosa di paranormale, e neanche un fascino perverso. A costringerlo ad arrampicarsi era stato semplicemente lui stesso, la sua voglia di mettersi alla prova, di sfidare i suoi limiti. Non c’era nessuna attrazione mistica nel castello, nessuna forza attrattiva. Ora la natura lo ricompensava con quella visione meravigliosa, quel bagno di luce infinita. Alessandro non credeva che esistesse un dio, almeno non come il cristianesimo, e tuttora non ci crede, ma quella volta si sentì profondamente in armonia con il tutto, quasi come se un intelligenza superiore lo stesse amando in quel preciso istante. Si sedette a terra e pianse, pianse dalla gioia.
Alla fine scese dal colle, e il giorno dopo mi riferì tutto quanto vi ho appena raccontato. Ricordo ancora come il suo volto si illuminava quando me ne parlava, come era quasi estasiato. Per questo ho scritto questo racconto, per rendere pubblica la sua “avventura”, per far si che questa sua bellissima esperienza sia conosciuta. Mi spiace molto se non sono riuscito a rendere bene questo suo racconto, del resto sono abbastanza scarso come novellista, e spero di non avergli fatto un ingiustizia in questo modo, tuttavia capitemi, la storia è tanto bella che era un peccato, secondo me, non riportarla da qualche parte.
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