Anche questa è originalità!
Lo scrittore sedeva davanti allo schermo del computer, dove un'unica frase in nero spiccava nel bianco splendente di una pagina di Word. Ricordava che, il giorno prima a quella stessa ora, stava esattamente lì, davanti ad un foglio completamente candido, cercando di svagarsi finalmente della lunga giornata che appena passata, e allo stesso tempo di scrivere qualcosa di decente. Era stata una giornata intensa, ma non troppo, così aveva ancora sufficienti energie per piazzarsi davanti allo schermo e cercare di creare. Il suo precedente racconto (“La guerra nel vuoto”) era stato un successo, lo aveva pubblicato sul suo blog e tutti lo avevano lodato: era un’epica storia di battaglie spaziali, con tante esplosioni e tanta azione; ottimo, secondo lui, ma pure, forse, un po’ banalotto e scontato, anche perché molti dei suoi scritti erano su quel tipo di argomenti. Aveva così deciso, senza pensarci due volte, che nel suo racconto successivo avrebbe scritto qualcosa davvero all’avanguardia, qualcosa mai scritto prima, e totalmente originale: e così aveva passato quella serata a fissare lo schermo, con il cursore che lampeggiava piano piano, aspettando che il racconto uscisse da se, come spesso gli capitava; ma quella volta, a lui nessuna idea veniva in mente, non aveva nessun tema particolare sul quale costruire la sua trama, nulla che consentisse un racconto come lo voleva, che del resto non poteva uscirgli così, a tavolino. Decise che era troppo stanco e che era tardi, la mezzanotte era passata da quasi un’ora, così chiuse il laptop e andò in camera sua, a dormire. Prese sonno quasi subito, e sognò per tutta la notte di essere una grande aquila reale, e di volare sempre in alto, sfruttando le correnti che su quella catena montuosa abbondavano; tornava però ogni volta, per mangiare e quando sopraggiungeva la notte, al nido delle aquile sul picco più alto, un posto che era, per qualche motivo, quasi come magico, e dove abitavano degli studiosi con cui loro, le aquile, avevano quasi un rapporto di amicizia.
Si svegliò la mattina ben riposato, fece tutto quello che faceva di solito prima di andare all’università e poi lasciò la casa senza pensare minimamente, per tutta la mattina, alla storia che doveva scrivere. Solo il pomeriggio, dopo il ritorno a casa e il soddisfacente pranzo, si rimise davanti al monitor. Cercò di farsi venire in mente cosa scrivere. E… non ci doveva pensare nemmeno troppo, l’idea giusta gli venne in un momento: Il sogno delle aquile sarebbe diventato un racconto! Come idea non era male, ma doveva concretizzarla: provò così a scriverlo in diversi modi, ma già l’incipit gli creava qualche problema. Tentò allora di scrivere il corpo, o almeno di sbozzare una trama, ma si accorse che quello non era proprio nelle sue corde, che doveva scrivere qualcosa di diverso, più consono al suo stile, e quindi una storia che oscillava tra lo psichedelico e lo sci-fi. L’aquila, per qualche collegamento mentale, gli portò alla mente gli indiani d’america: quale miglior tema se non un viaggio mistico dei nativi, dovuto alla trance che le loro particolari erbe davano a quei popoli? Ci pensò e ripensò, ma non gli venne in mente, nondimeno, una storia specifica, per quanto ci provasse. Provò a ritornare sulle aquile, ma ancora nulla, e in più stava cominciando a dimenticare il sogno, non ne ricordava nemmeno metà, a quel punto. Maledizione! Decise di lasciar perdere il computer e di sdraiarsi sul letto, a leggere il primo volume de “Le Presenze Invisibili” di Philip Dick che giaceva tra gli altri sullo scaffale della sua camera: forse dalla varietà di quell’antologia di racconti sarebbe stato ispirato, anche se sapeva che non doveva cadere nella tentazione di scrivere un racconto simile a quelli.
In due ore lo scrittore lesse molte delle novelle di quel libro. Che originalità, che bellezza, che trame! e che bravissimo scrittore era Dick! Appena chiuse il volume, si sentì pieno di idee, così tornò al computer e riaprì il foglio di Word. Ecco l’idea, un mondo in cui l’uomo è succube dell’informazione delle macchine! Cominciò a scrivere, ma poi cancellò tutto: ma dannazione! Quello che gli era uscito era, in pratica, la trama de “I Difensori della Terra” che aveva letto poco tempo prima! Comunque di idee ne aveva a sufficienza, così cominciò un’altra volta. Di nuovo la fantasia lavorò, e in mente gli venne l’idea di un’astronave, che esplorando lo spazio trovava un pianeta, la cui popolazione di batteri era come viva, e lavorava in simbiosi, pensando come un unico essere planetario. Come si sarebbe chiamato, però, quel pianeta? “Nemesis”, era ovvio! Ma caspiteraccia! Era l’esatta trama dell’omonimo romanzo di Isaac Asimov, autore che lo scrittore amava molto di più di Dick. Non c’era niente da fare, quel racconto non ne voleva sapere di scriversi, e se gli veniva in mente qualcosa, era una trama già utilizzata da qualcun altro. E lui, ormai, si era posto come obiettivo di scrivere a tutti i costi qualcosa che fosse davvero e solo originale: e l’unica soluzione che vedeva per raggiungere il suo ambizioso obiettivo era scervellarsi. Si piazzò quindi davanti allo schermo, tristemente ancora bianco, e lo fissò, quasi come se avesse voluto auto-ipnotizzarsi. Non funzionava, però, così cambiò approccio e cominciò a ragionare sul titolo, tanto fatto il titolo vuol dire essere a metà dell’opera, pensava lui. In un denso brainstorming dentro se stesso, gli vennero in mente i titoli più svariati, che si dividevano però tra quelli bellissimi a dirsi, ma che non gli ispiravano nulla, men che meno un racconto (come per esempio “Dimensional Dementia”, “Il cuore del caos”, “Un’eternità infinita”, “Blackout elettronico” o “Tra Dover e Calais”) e quelli che invece gli suggerivano solo racconti simili ad altri già scritti da lui o da qualche scrittore famoso (come “Il tiranno mondiale”, “La guerra santa”, “Una notte insonne”, “Apocalisse tecnologica”, “La casa stregata”). Alla fine, nemmeno un solo titolo tra le centinaia che aveva pensato si poteva adattare al suo ambizioso scopo, così decise di lasciare perdere ed assecondare gli occhi che rifiutavano ormai di fissare lo schermo, chiudendo le palpebre. Chiuse il portatile e si sdraiò sul divano per un riposino tardo-pomeridiano, anche se di certo non avrebbe dormito.
Come prevedibile, nonostante le sue intenzioni, il sonno lo colse comunque. Nemmeno il sogno però gli diede alcun ristoro: sognò di essere ancora al computer, e di dover trovare di nuovo un tema al suo racconto. Le parole e le frasi gli venivano in mente una dietro l’altra impetuose, come in un flusso di coscienza degno del miglior Joyce, ma nel quale le parole non erano casuali, erano assonanti con le precedenti oppure loro anagrammi. Si riempì di parole il cervello, e dopo poco si svegliò: stavolta, dopo quell’esperienza, ci sarebbe riuscito, sarebbe stato sufficientemente ispirato da scrivere qualcosa di degno del suo obiettivo. Corse davanti al computer ed aprì nuovamente la pagina di Word: ma stavolta constatò, amaramente, che non gli veniva nessuna idea, nemmeno per un titolo come quelli che almeno, prima, gli venivano così naturali. La paura lo sorprese allora, colpendolo senza pietà: stava, come gli sembrava nell’angoscia di quel momento, perdendo tutta la sua intelligenza, per qualche motivo a lui oscuro? O era solo una crisi momentanea di creatività? Uno stato di fortissima ansia colse lo scrittore in quel momento, così egli decise di staccarsi da quel desolante schermo bianco, per dedicarsi alla preparazione della cena che ormai era imminente.
Dopo la cena, si rimise al computer. Per l’ennesima volta, era determinato a tutto pur di scrivere qualcosa di veramente originale, a costo di friggersi il cervello. Di nuovo cominciò a provare ad afferrare tutti i pensieri che, alla rinfusa, arrivavano nella sua stanca mente, ma era ancora più confuso del pomeriggio. Un ragionamento però lo colpì, in particolare: e se non fosse stato colpa sua, il fatto di non avere la possibilità di scrivere qualcosa di originale? E se fosse stata la cultura in se che aveva prodotto ormai tutto quello che si poteva produrre, e ciò che veniva poi erano solo “copie”, per quanto valide e non intenzionali? Più passava il tempo, e più questa idea lo attraeva, e i pensieri andavano tutti in quella direzione. Arrivò, con questa riflessione, ad esserne certo: oramai la civiltà era andata tanto avanti che tutto quello che si poteva scrivere era stato scritto; ma se questo era assodato, come avrebbe potuto mai scrivere qualcosa di seriamente originale? Il pensiero lo rese molto triste, quasi al limite della disperazione: non aveva speranze di arrivare al suo obiettivo. All’improvviso, però, un’ultima idea raggiante lo colse, e digitò sul computer. Sullo schermo apparvero le parole “anche questa è originalità!”. Non era solo il titolo del racconto, capì lo scrittore, ma anche la storia stessa, e anche se erano solo quattro parole, aveva finalmente scritto qualcosa di avanguardistico, mai visto prima, qualcosa di finalmente originale al cento per cento. Ora si che era appagato, finalmente! Fissò un altro po’ lo schermo, in pace con se stesso; poi salvò tutto nell’hard disk del computer, e andò a dormire contento.
Come andò a finire la storia? Semplice. Il giorno dopo lo scrittore iniziò un nuovo racconto (dal titolo “Nel nucleo della galassia”), ancora su astronavi e viaggi spaziali, magari non originale, e con qualche punto di contatto coi precedenti; ma era validissimo, tanto che, quando fu finito e pubblicato sul suo blog, tutti i suoi lettori gli fecero i complimenti, ancora una volta. Quanto al racconto “Anche questa è originalità!”… fu cancellato quel giorno stesso dalla memoria del computer, e nessuno lo vide mai più, per fortuna dello stesso scrittore, che mai avrebbe pubblicato quel racconto così originale ed allo stesso tempo così insulso.
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