A tutti è capitato, di tanto in tanto, di trovare un libro così catturante che si fa quasi fatica a mettere in pausa la lettura. A volte questa magia si instaura senza preavviso,quasi per caso: è stato proprio così per me, quando qualche settimana fa ho letto L'uomo di Marte dello scrittore statunitense Andy Weir. Uscito prima su un blog a puntate e poi autoprodotto, ma diventato in breve un caso letterario e un best-seller (tanto che nientemeno che Ridley Scott ne ha diretto l'adattamento Sopravvissuto - The Martian, uscito poche settimane fa), l'ho trovato in un supermercato per la miseria di cinque euro: la curiosità mi ha spinto così a comprarlo. Non avevo nessuna aspettativa in particolare (né in positivo né in negativo), ma sin dalle prime pagine il romanzo mi ha preso e non sono più riuscito a staccarmene. Ho divorato le sue quasi quattrocento pagine in appena cinque giorni, e la sensazione che mi è rimasta addosso alla fine è stata quasi dolorosa, tanto è stata bella la stata la lettura.
La trama in breve (come sempre, spoiler da qui): l'astronauta americano Mark Watney viene abbandonato su Marte dai suoi compagni di spedizione, costretti a rientrare precipitosamente sulla Terra per una tempesta. Dopo un incidente che lo aveva coinvolto durante l'evacuazione era stato ritenuto morto; invece era riuscito a salvarsi, e così è rimasto solo sul pianeta rosso, con scorte insufficienti per sopravvivere molto a lungo e nell'impossibilità di comunicare con la NASA. Watney però non si da per vinto: con le sue capacità di ingegnere e botanico, intelligenza e tanta perseveranza, escogita sempre nuovi modi per prolungare la sua sopravvivenza. Nonostante gli ostacoli che capitano sul suo cammino, l'astronauta riuscirà ad allungare la sua prospettiva di vita di centinaia di giorni. Sopravviverà su Marte fino a che non sarà recuperato dalla missione che la NASA, in fretta e furia e quasi disperatamente, ha messo in moto solo per salvarlo, e che alla fine riuscirà a recuperarlo. (fine degli spoiler)
La storia del romanzo in fondo è piuttosto semplice, quasi banale: è però la quantità impressionante di dettagli a renderla appassionante. Per la maggior parte questi particolari sono legati a fisica, chimica, biologia, trattate con un livello di realismo assoluto: in effetti il libro è spesso parecchio tecnico, quindi per seguirlo almeno una buona infarinatura scientifica è necessaria. Nonostante questo, non è un libro freddo, una specie di trattato di fisica con una trama: è invece un libro pregno di una strana magia, che a me personalmente ha emozionato molto. Mentre lo leggevo, mi sembrava quasi di essere lì col protagonista: soffrivo con lui, esultavo con lui, ridevo con lui, sentivo quasi di poterlo toccare. Weir in questo secondo me è stato grandioso: ha creato un personaggio molto intelligente ed erudito, ma che riesce a essere lo stesso simpatico, a farti immedesimare bene in lui e a risultare anche dannatamente realistico. Oltre a questo, il ritmo è brillante, i colpi di scena sono strepitosi e anche lo stile è molto apprezzabile e scorrevole, sia nelle parti tratte raccontante in prima persona (gran parte del libro è scritto come una sorta di diario del protagonista) che in quelle che invece riprendono gli altri personaggi.
Qualche purista della tecnica letteraria potrebbe notare che Weir non rispetta alcune regole: ogni tanto tende a raccontare invece che a mostrare, e gestisce i punti di vista in un modo "alternativo". Tuttavia, ciò non sembra frutto del caso, o dell'inesperienza: ogni particolare è messo bene al suo posto, e risulta funzionale alla storia. Da questo punto di vista, l'autore americano dà un'importante lezione: le regole di scrittura che tutti conosciamo sono in fondo più linee guida che dogmi, e si possono anche infrangere, se ce ne è motivo. Ogni aspirante scrittore dovrebbe capirlo, invece di scadere spesso in uno snobismo a mio avviso deleterio verso i libri altrui, malgiudicati perché "imperfetti" dal punto di vista tecnico. Chiusa questa parentesi, l'ultima cosa che vorrei sottolineare del libro è il suo ottimismo: si esplica su più livelli, sia su quello del protagonista, che non demorde nonostante le sue condizioni disperate, sia per quanto riguarda l'autore, che ha una fiducia grandiosa nell'uomo e nel potere della sua mente. Che sia giusta o sbagliata (io sono per la prima, almeno per quanto riguarda le capacità della ragione umana) poco importa: è una sensazione che riesce a coinvolgere, anche uno come me che di natura è tutt'altro che ottimista.
Nonostante tutto quello che ho appena detto, sono anche consapevole che L'uomo di Marte non sia un libro per tutti: sicuramente, mi ha aiutato molto essere appassionato di scienza e di astronautica. Soggettivamente, però, l'ho adorato: senza dubbi è stata la lettura migliore di questo 2015, e se non lo rivaluterò in futuro potrebbe diventare addirittura uno dei miei romanzi preferiti di sempre. Insomma, è un libro estremamente consigliato, se vi piace la fantascienza, ma soprattutto se siete anche voi scrittori: come ho detto, da Andy Weir si può solo imparare.
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