Come appassionato di fantascienza, ho sempre avuto un ottimo rapporto "letterario" con Robert A. Heinlein: in passato ho adorato libri come "Starship troopers" o come "I figli di Matusalemme", che ritengo tra i migliori prodotti nel loro genere. Quando, di recente, mi è capitato di trovare "Straniero in terra straniera", per giunta nella versione integrale, così come scritta di suo pugno dall'autore, non ci ho pensato più di due secondi prima di farla mia. Nel mese e mezzo passato, pur avendo avuto pochissimo tempo libero, mi sono comunque dedicato a questo tomo di oltre settecento pagine, ma stavolta non sono rimasto soddisfatto come le altre volte: vediamo perché.
Come sempre, prima qualche linea di trama (spoiler da qui, come sempre): il protagonista del romanzo, Valentine Michael Smith, è una sorta di Mowgli o di Tarzan della fantascienza. Morti i suoi genitori durante la prima spedizione umana su Marte, egli è stato allevato dai marziani; solo in seguito sarà riportato sulla Terra. Inizialmente spaesato ed anche sopraffatto dalla più forte gravità terrestre, il giovane gradualmente tenterà di afferrare (o meglio di "grokkare", verbo con un ampio stuolo di significati in marziano, tra cui "pensare" e "comprendere") i principi della società umana. Dopo diverse peripezie e con l'aiuto di vari comprimari (tra cui l'infermiera Gillian Boardman e soprattutto il memorabile scrittore Jubal Harshaw) il giovane "uomo di marte" riuscirà infine a capire l'umanità: a quel punto, cercando di portare la propria razza di appartenenza ad un livello superiore, fonderà la "Chiesa di Tutti i Mondi", un associazione in cui si pratica l'amore libero ed in cui si insegna la lingua marziana, fondamentale per acquisire i poteri psichici e telecinetici di cui lo stesso Smith è dotato. Il romanzo finirà con l'assalto alla chiesa ed il martirio del suo fondatore, ma ormai la setta è abbastanza larga da auto-sostenersi: è solo questione di tempo prima che essa si diffonda e renda la Terra potente ed autocosciente quanto lo stesso Marte. (fine spoiler)
Le premesse per creare un libro affascinante ed interessante c'erano tutte, ed infatti fino a circa metà il libro risulta avvincente e con la giusta tempistica. Il problema però è che la seconda parte decade abbastanza, con una deriva in senso spiritualista che alla fine ci può anche stare, ma che personalmente ho trovato per certi versi piuttosto irritante. Il difetto principale in tal senso è a mio avviso il fatto che il libro è invecchiato abbastanza male, dal 1961 in cui è stato scritto: l'unione tra spiritualità ed amore libero è piuttosto ingenua, come credo sia ingenuo la scelta di termini per descrivere il secondo, che risente comunque della morale piuttosto castigata dell'epoca, senza mai andare sopra le righe. Non aiuta inoltre alla resa del tutto la presenza di divagazioni piuttosto inconcludenti ed inutili al fine della trama, che seppur in parte presenti anche nella prima parte, senza peraltro appesantirla, si fanno pervasive nella seconda, stavolta rendendo il tutto un po' troppo prolisso per i miei gusti. Fanno eccezioni a ciò quei brevi intermezzi in cui Heinlein lascia andare la seriosità per abbracciare un'ironia forte ed intelligente, piacevoli anche se stonano un po' col resto, il che da una parte fa chiedere se il libro non sarebbe riuscito meglio se fosse stato tutto su questi toni, ma dall'altra mette in mostra le qualità dello scrittore, che restano indiscusse (e che si evidenziano anche nello stile, per esempio, visto che il libro è scorrevolissimo e ben poco difficile da leggere).
Straniero in terra straniera è un libro valido e piacevole, anche se, secondo la mia modesta opinione, non è tra i più riusciti di Robert Heinlein. Concedergli una lettura per me è buona cosa, anche e soprattutto in quanto classico della letteratura di fantascienza, ma credo che se cercate un capolavoro del genere dovete guardare altrove (anche nella carriera dello scrittore americano): siamo qui infatti su livelli solo buoni, a mio avviso.
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