martedì 15 settembre 2015

Cuore di spazzatura

Nella scrittura, ci sono due scuole di pensiero: c'è chi dice che bisognerebbe sempre mettere nelle proprie storie un po' della propria vita, e chi sostiene invece che le storie che partono dalla realtà siano noiose. Appartenendo decisamente alla prima, ho scritto spesso racconti ispirati a storie che mi sono realmente accadute o a fatti che mi hanno colpito: quello di oggi, il primo dalla pausa estiva, non fa certo eccezione. In buona parte, quelle che potrete leggere qui sotto sono fatti reali, esagerati quel tanto che basta per dare più pathos ma non abbastanza da diventare irrealistico (almeno spero); senza spoiler, sappiate che la "storia del pasticcere" mi è successa davvero, per quanto assurda. Ci ho messo anche alcune idee personali nel mezzo, anche se in maniera molto vaga: come in altri casi, voglio che ognuno si faccia la sua idea leggendo il racconto. Detto questo, non mi resta altro che da augurarvi buona lettura e di invitarvi, se vi va, a lasciare un commentino qui sotto con le vostre opinioni!

Cuore di spazzatura

«Bentornato a casa, tesoro. Come va?» gli chiese Roberta, mentre Sandro si affacciava in cucina.
«Tutto bene, cara. Oggi è stata una bel giorno a lavoro, molto leggero.» sorrise lui.
«Sono contenta per te. Per me invece è stata una giornataccia.» fece lei, corrucciata.
«Che è successo?»
«Il solito, la puzza insopportabile che viene dal piano di sotto. Stamattina poi, col vento forte che c’era, è entrata tutta in casa. Non ne posso più di quel maledetto pasticcere, davvero, devi fare qualcosa.»
«Il signor Giacomo? Ti ho già detto che gli avrei parlato…»
«E lo hai fatto?»
«No. Ma è un pezzo che non lo vedo, è questo il motivo. Anche la pasticceria è chiusa da una settimana, ora che ci penso.»
«Una settimana? Ecco, vedrai che quello è andato in vacanza. Che razza di personaccia, non ha rispetto per niente e per nessuno!» sbottò la donna, quasi urlando.
«Non mi pare proprio il tipo vacanziero. E’ più probabile che se ne stia chiuso in casa.»
«Se così è, bussa alla sua porta e digli che da noi non sarà più tollerato un comportamento del genere. Sei l’amministratore del condominio, fatti rispettare un po’ per una volta!»
«D’accordo cara, lo farò dopo pranzo. Che c’è di buono, a proposito?» cambiò discorso l’uomo.

“Forse Roberta esagera un po’, ma in fondo ha ragione: non si può appestare gli altri, se si vuole andare d’accordo.” penso Sandro determinato, fermandosi davanti alla porta. Bussò una, due, tre volte: nessuna risposta.
“Forse è davvero in vacanza” ipotizzò l’uomo. Prima di tornare di sopra però decise di fare un ultimo tentativo: girare semplicemente la maniglia. Si sarebbe aspettato un nulla di fatto, che fosse chiusa: invece, con sua grande sorpresa, la porta si aprì docilmente, sprigionando un tanfo nauseabondo.
“Che strano…” pensò Sandro, scostando lentamente l’anta prima di entrare. Dopo aver chiesto “permesso”, senza alcuna risposta, percorse lo stretto corridoio della camera e si ritrovò presto nella sala da pranzo. La luce filtrava a malapena dalla serranda semichiusa: l’uomo riuscì perciò solo a distinguere vagamente un gran numero di sacchi della spazzatura ammassati alla rinfusa in ogni punto della stanza, accompagnati da un odore che lì dentro era davvero insopportabile.
“Che schifo” si disse Sandro. Si premette un fazzoletto sulla bocca, poi andò verso la finestra: magari poteva chiuderla senza fare altro, eliminando così il problema. Fece qualche passo, poi d’improvviso inciampò in qualcosa: per poco non perse l’equilibrio.
«Uff, per fortuna.» sospirò piano, tra sé: se fosse caduto si sarebbe schiantato in pieno su uno di quei cumuli di spazzatura. Passato il pericolo, decise di accendere la luce prima di rischiare ancora: tornò sui suoi passi e, trovato l’interruttore, lo fece scattare. Ciò che vide alla luce della lampadina lo agghiacciò: l’ostacolo su cui era incespicato non era una sedia o un sacco d’immondizia, era il signor Giacomo, o almeno quel che ne rimaneva. Il suo corpo era mezzo decomposto: era lì forse dall’intera settimana.
“Gesù santo!” pensò Sandro. Resto a fissare inebetito quello spettacolo orrendo, senza riuscire a distogliere lo sguardo, poi i suoi occhi notarono un foglio accanto al corpo. Con circospezione, l’uomo avanzò piano e lo raccolse: era vergato in una calligrafia minuscola e arzigogolata, in corsivo. Sforzandosi un po’, Sandro cominciò a leggere:
“Mentre scrivo queste parole, ho davanti a me già il flacone di pillole che userò per uccidermi. Prima che lo faccia, però, voglio buttare fuori tutta l’angoscia e la rabbia che ho dentro, nella speranza che qualcuno diffonda la mia storia.
Tutto è cominciato due mesi fa, quando mi sono trasferito in questo paesino. Sapevo che, venendo da fuori, avrei dovuto fronteggiare inizialmente un po’ di diffidenza nei miei confronti, ma non mi sarei mai aspettato una cosa del genere. Per i primi tempi,ho gettato la spazzatura della pasticceria nei cassonetti del condominio, ma un bel giorno l’amministratore mi ha visto e mi ha intimato di non farlo. Potevo buttarci i rifiuti di casa, ma quelli del negozio non ci dovevano essere; lui mi avrebbe controllato meglio da quel giorno in poi, e se lo avessi fatto ancora avrebbe preso dei provvedimenti seri.”
“Ora che ci penso, ricordo di averlo minacciato di chiamare la polizia. Ma perché si lamenta? Ho solo fatto rispettare le regole del condominio.” si disse Sandro, perplesso, prima di rimettersi a leggere.
“Intimidito, sono andato a chiedere al ristorante di fronte. Mi è stato detto però che quelli lì davanti erano cassonetti privati, e che nessun’altro poteva usarli. La stessa scena si è ripetuta poi per tutti gli altri luoghi pubblici. Sono pure andato in comune, ma nemmeno lì ho avuto una risposta, mi hanno detto anzi di smaltire i rifiuti dove volevo. Non ci sono cassonetti privati nel comune, e sicuramente la gente non paga le tasse in base alla quantità di immondizia: questo mi è stato detto! 
Alla fine ho trovato una piccola isola ecologica in strada, accanto al parcheggio dell’Hotel: anche se era un po’ lontano, comunque era l’unico posto dove non avere fastidi… o almeno così pensavo. Per qualche settimana ho gettato la spazzatura lì, ma poi un’impiegata dell’Hotel mi ha visto e mi ha rimproverato in malo modo, quelli erano di proprietà della struttura: mi ha persino intimato di togliere i sacchetti che già avevo gettato, al che mi sono rifiutato strenuamente, sarebbe stato umiliante. Risultato: il giorno dopo mi sono visto arrivare i poliziotti in pasticceria: mi hanno intimato, minacciosi, di non avvicinarmi più all’Hotel, visto che ero stato denunciato per violazione di proprietà privata! Se già prima soffrivo, a quel punto l’angoscia è diventata troppo forte: ho cominciato così ad accumulare la spazzatura qui. Mi ci sono voluti giusto pochi giorni perché casa mia divenisse la discarica che vedete: e ora che la vergogna mi impedisce persino di uscire, non c’è altra via se non questa. 
L’unica mia speranza a questo punto è che il mio corpo venga scoperto da qualcuno di fuori città, che divulghi poi le mie parole. Voglio che si sappia che la vera immondizia non è questa che mi circonda ma quella nei cuori marci di questa gente, così misera e poco empatica da non accettare nemmeno la spazzatura altrui nel proprio cassonetto. Spero quindi che tu, che stai leggendo queste mie ultime parole, farai giustizia, e denuncerai la meschinità di queste persone: ti ringrazio con tutto il mio cuore se lo farai.
Addio
Giacomo Sanvittori”

Sandro fissò le ultime righe della lettera per qualche istante: se aveva provato compassione per l’uomo, ora non più. Strappò in quattro il foglio, poi ne accartocciò i resti e si infilò la palla di carta in tasca.
“Eh no, caro mio, non butterai fango su di me e sul paese“ si disse. Senza alcun rimorso, prese la penna che giaceva poco lontano dall’uomo e si mise a scrivere febbrilmente, sul primo foglio che trovò nella stanza.
“Se butto giù  una lettera d’addio con tante invettive contro le tasse e i politici che rubano, sicuramente nessuno penserà che l’altra sia mai esistita” pensava intanto.

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