I fumetti in Italia sono una delle tante categorie bistrattate dall'intellettualoide medio. Come cartoni e film d'animazione, la letteratura non mainstream e in generale tutto quello che si allontana da quella che è considerata (a torto) la normalità, vengono considerati spesso opere di scarso valore, magari adatti solo ai bambini. Il che in certi casi è corretto, ma non si può fare di tutta l'erba un fascio.
Esistono anche fumetti molto adulti, per toni o per contenuti, e altri che possono essere apprezzati su più fronti. Alcuni di loro poi sono in grado riflettere quanto e forse più di opere considerate "vera letteratura". Kobane Calling del celebre fumettista romano Zerocalcare è proprio una di quelle.
Non voglio fare la figura dell'hipster stereotipato - nemmeno da lontano mi potreste scambiare per tale - ma io seguo Zerocalcare da prima che fosse famoso. Ho iniziato anni fa a seguire il suo blog, e mi sono appassionato alle sue storie assurde e divertenti. In lui, ho trovato un talento davvero raro nel far ridere, a volte anche a denti stretti, ma sempre di gran gusto.
Poi ho cominciato a comprare i suoi libri, e ho scoperto un altro suo lato, più profondo, più inquieto. Se alcune sue opere mantengono il tono scanzonato delle strisce del blog (per esempio Dodici), altre sono meno allegre e più cariche dal punto di vista emotivo, pur non mancando mai l'occasione di sorridere (un esempio su tutti è il suo esordio La Profezia dell'Armadillo). Con Kobane Calling, però, l'autore romano ha fatto un passo ulteriore, rispetto a questo secondo senso.
Si tratta del reportage semi-serio dei due viaggi che l'autore, spinto dal suo impegno sociale, ha fatto in medio-oriente, sul fronte di guerra in cui da anni si scontrano la Turchia, i curdi, i siriani e l'ISIS. Due viaggi che lo hanno portato a vivere situazioni al limite dell'assurdo e altre vicino al pericolo.
Il tutto è trattato col tono tagliente e surreale tipico di Zerocalcare: leggendo Kobane Calling si ride spesso di gusto. Tuttavia, si tratta molte volte di risate amare, e alla fine delle oltre duecentocinquanta pagine della graphic novel a rimanere addosso è un senso di disagio e di angoscia. Dopotutto, il racconto di ciò che ha visto durante il suo viaggio è tutto fuorché felice. Ma il mix tra le due parti non stride, è anzi ben riuscito: il talento dell'autore romano da questo punto di vista è unico.
Tuttavia, il fattore che rende Kobane Calling un capolavoro è il fatto che sia un'opera onesta, scritta senza filtri e senza preconcetti. Non parliamo di un semplice resoconto di guerra, ma vediamo la storia dalla prospettiva di un ragazzo normale della nostra generazione, il che rende molto facile l'immedesimarsi nel protagonista e quindi soffrire con lui. E anche se Zerocalcare ha una visione politica dell'accaduto - che nel fumetto emerge chiaramente - non cerca di imporla: si limita a mostrare ciò che ha visto, in una storia in cui si possono leggere molte cose diverse.
Aggiungiamoci pure il fatto che il personalissimo stile di disegno dell'autore romano è molto adatto per questa storia - certe tavole trasmettono un'inquietudine palpabile - e i giochi sono fatti. Alla fine, Kobane Calling è un capolavoro del fumetto mondiale, splendido sotto tutti i punti di vista e di una profondità assurda, ma anche leggero al punto giusto. Per tutti questi motivi, non esagero se dico che Zerocalcare merita addirittura il Nobel per la letteratura. Non dovete credere a me: compratelo e leggetelo, vedrete che andrà oltre ogni vostra più rosea aspettativa!
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