giovedì 14 gennaio 2010

Bianco

Pubblico ora uno dei racconti che ho scritto nei giorni precedenti, che annunciavo nel precedente post. E' probabilmente il più corto che abbia mai scritto, visto che è brevissimo, ed è forse anche il più sperimentale. Quello che è certo, è che è frutto di una sensazione di malessere e di depressione che avevo in quei giorni e che purtroppo, per colpa di alcune persone e di alcuni fatti, provo ancor ora, nonostante avessi sperato che, una volta cessata la solitudine, sarebbe cessata anche questa "sensazione". Un avvertimento, comunque: non c'è chissà quale senso dietro alle parole del racconto, è semplicemente un parto della mia depressione e tristezza estrema. Non dico altro se non che spero sia di vostro gradimento.

Bianco

Mi risvegliai mentre la neve scendeva in piccoli fiocchi giù dal cielo, che si posavano in silenzio sul terreno, anch’esso ricoperto da uno spesso strato candido. Oh, com’era bella! Quasi avevo timore di alzarmi e di camminarvi sopra per non macchiarne la splendida purezza. Qualcosa di a me oscuro e misterioso mi diceva però di andarmene da lì, e che la neve poteva essere pericolosa; e dico che era arcano, perché la mia mente era candida esattamente come quel manto innevato. Non ricordavo nulla, nemmeno il mio nome, e prima del risveglio non c’era assolutamente nulla, solo bianco, solo luce. Così mi alzai, e sentendomi leggero più che mai presi a camminare.

Mi avviai in una direzione che scelsi a caso ma che per qualche bislacco motivo mi attraeva immensamente, e camminai, andando avanti a lungo. I giorni lasciavano il posto alle notti, e poi di nuovo ai giorni, mentre proseguivo assolutamente in pace con me stesso, senza bisogno alcuno, senza nemmeno i morsi della fame, nonostante non mangiassi nulla. Mi ritrovai, chissà come ad un certo punto in un piccolo paese di campagna, e i miei piedi mi guidarono come se avessero una vita propria, su per una strada sterrata, attraverso i campi e la boscaglia. Che bello! Anche se non c’erano foglie sugli alberi, e anche se tutto era in tonalità di bianco, il panorama era veramente bellissimo, e mi trasmetteva un’atmosfera felice. Arrivai in cima alla tortuosa strada senza la minima fatica, nonostante qualcosa dentro me mi dicesse che non fossi proprio una persona così atletica, e vi trovai una casa. Era una bella abitazione di due piani, con il terrazzo e un comignolo che fumava allegramente. Incuriosito, mi avvicinai, e mi misi a sbirciare da una finestra. Dentro, una donna e un uomo di mezza età si stavano vestendo in maniera molto elegante e distinta; poi arrivò anche una ragazza, di non più di sedici anni. Fu allora che mi accorsi, con grande sgomento, che tutti e tre i membri di quella che aveva tutta l’aria di essere una famiglia, era colpita dall’angoscia e da un mood molto tetro, e che la “madre”, di tanto in tanto, singhiozzava sommessamente. Il gelo che mi assalì allora fu indescrivibile, ed improvvisamente condivisi il dolore con quelle persone a me sconosciute, anche se non conoscevo il motivo di tanta sofferenza. Senza vedermi, la famiglia salì in macchina, e partì.

Don una strana tristezza nel cuore, ripresi a camminare, e come prima, i miei piedi mi condussero dove essi volevano. Arrivai vicino ad una costrizione che giudicai stranissima, con le quattro alte mura ma senza tetto; e lì vicino, l’auto con cui la famiglia era partita da casa. Spinto da una misteriosa curiosità, entrai: e vidi una bara che veniva calata sotto terra, davanti ad una lapide, mentre poche persone, tra cui la famiglia, assistevano al rito funebre. Mi avvicinai, e ancora una volta un brivido di freddo percorse la mia schiena alla vista della disperazione di quella povera gente. Mi venne l’impulso di confortarli, così andai ancor più vicino alla tomba: e lì vidi la foto sulla lapide. Era un ragazzo che assomigliava molto a sua madre, ma quando i miei occhi incontrarono quelli della fotografia, come un fulmine mi attraversò la mente, riempiendomi di dolore e di paura; e d’improvviso mi ricordai ogni cosa. Il terrore più cupo fu la prima cosa che provai. Ma ero IO! Io, e solo io! Erano la mia famiglia, la mia lapida, ed era il mio corpo che veniva sepolto!

Oramai ricordavo tutto, allora, tutta la mia vita; e ricordavo anche la mia morte. Rimembravo quella grande luce bianca in fondo al tunnel, e quella voce arcana che mi chiamava, dicendomi “corri! Corri verso la luce!” fino a quando non mi ero risvegliato senza ricordi. Il peggio fu ricordare quello che c’era stato prima: la mia vita era andata peggiorando sempre più, sempre di più, era una sofferenza continua. Avevo deluso i miei genitori, avevo immense difficoltà con la gente che se la prendeva con me senza otivo, e mi sentivo solo e perduto, nonostante avessi degli amici sinceri. Con loro ero felice(soprattutto con una di loro), e se potessi, tornerei indietro, penso che il torto l’ho fatto anche a loro, oltre che alla mia famiglia, Perché avevo deciso di togliermi la vita, nonostante avessi loro? Era stata davvero una scelta folle, dettata solo da qualche orribile giornata, una fina stupida, da idiota. Ma oramai non potevo più farci nulla: mi ero ucciso, e indietro non si poteva tornare.

Continuai a vagare per quelle terre desolate che, stranamente, sembravano sempre rimanere in inverno, e sempre erano ricoperte di neve, Non potevo avere più gioia e pace nemmeno per la morte, destinato com’ero da un destino crudele a dover rimanere da solo fino alla fine del mondo, guardando quelli a cui volevo bene soffrire per colpa mia. E sono rimasto lì per sempre, immerso nel bianco. Per sempre.

1 commento:

  1. QUESTO RACCONTO NON MI PIACE PER MOTIVI MIEI
    COMUNQUE SE PERMETTI UNA CRITICA TUTTI I TUOI RACCONTI CHE TRA L'ALTRO MI PIACCIONO MOLTO MANCANO DI DIALOGHI

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