giovedì 4 giugno 2015

"8 idee sulla depressione": un parere esperto

Anche se non gli avrei dato un'euro, il mio post della scorsa settimana, "8 idee sulla depressione", ha avuto un successo inaspettato. E' arrivato a molti commentatori e amici, tra i quali anche Gabriele di Maio, un amico laureato in psicologia. Dall'alto della sua competenza, Gabriele ha deciso di scrivere una sorta di risposta al mio post: lascio perciò spazio ora a quello che di fatto è il primo guest-post di Hand of Doom. Godetevelo!
Mattia


Perché si tende a pensare che chi è depresso è sempre infelice? E’ questa una delle prime domande, nonché associazioni, a cui si è soggetti quando si parla di Depressione.
Depressione e infelicità; infelicità come segno e sintomo di depressione, e viceversa. Perché queste associazioni sembrano così inossidabili?
Perché si è portati a identificare la persona con la patologia: la persona afflitta da depressione, quindi, diventa “il depresso”, perdendo la sua individualità agli occhi degli altri, quindi anche agli occhi di se stesso. Come si fa a non alimentare una sempre più profonda infelicità se allo specchio si vede una patologia e non più una persona?
Guardarsi attraverso lo specchio e non vedere null’altro che un insieme di sintomi può portare, il più delle volte, a volersi coprire il volto e barricarsi in se stessi, per scheggiarsi il meno possibile con quei pezzi di vetro sempre più odiati. Ecco uno dei motivi per cui una condizione di depressione porta la persona a chiudere le porte al mondo.
Chiudersi, perciò, non è una inevitabile conseguenza della depressione, anzi, tante, tantissime persone “depresse” in realtà cercano contatti con  gli altri. Ne è prova il fatto che sono spesso deluse dalle amicizie e dai rapporti in genere: ciò accade proprio perché sono alla ricerca di amicizie e relazioni sincere, e non possono fare a meno, quindi, di accusare malumore e delusione quando queste vanno a monte.
Malumori, tristezza, tono dell’umore basso…stati d’animo.
Ma è sempre un bene considerare la depressione uno stato d’animo e non una “malattia”?
Può sembrare una cosa positiva quella di “depatologizzare” la depressione per non vederla come una malattia. Parlare di malattia e patologia porta con sé la stigma sociale: la persona afflitta da depressione, se identificata come “malata”, si macchia di patologia e verrà vista dagli altri, e vedrà se stessa, come irrimediabilmente tale. In realtà, però, vi è un’altra faccia della medaglia che spesso resta nascosta, ed è quella del pericolo che comporta il fatto di depatologizzare ogni cosa, appiccicando ad ogni condizione una etichetta di relativismo: non esistono patologie, non c’è malattia, la persona non è segnata, non è marchiata, è “come noi altri”.
Ma se non c’è patologia..non c’è neanche una cura!
Forse un intervento di ristrutturazione di significato andrebbe fatto sul concetto in sé di condizione patologica: bisognerebbe comprendere che non vi è assolutamente nulla di male, né di sbagliato, nell’essere “malati” di qualcosa. Nessuno colpevolizza un altro per un raffreddore, o per una discopatia. Spogliamo dalla colpa anche le condizioni che riguardano la psiche !
Il concetto di malattia ci porta, immediatamente, a fare mentalmente riferimento a sintomi fisici ed organici. In effetti, ciò che molte persone non sanno, è che la depressione, come altre condizioni (ad esempio, le fobie) è una reazione “positiva” della mente e del corpo. La risposta psichica – e fisica – è il segno che il nostro organismo, come macchina complessa e perfetta, reagisce agli stimoli ambientali e personali, esterni ed interni. Ed ecco che la depressione può essere vista come “un meccanismo di sopravvivenza”, un messaggio di speranza che il nostro organismo ci invia.
Tra l’altro, non bisogna dimenticare i correlati fisici, e neurobiologici, della depressione: molte condizioni che vengono considerate solo ed esclusivamente “mentali”, o meglio, “psicologiche”, hanno in realtà delle corrispondenze anche nel corpo.
Il lato “fisico” non vuole essere una giustificazione ed una autorizzazione ad esistere delle condizioni psichiche, anzi, sia ben inteso che uno stato mentale ha piena ragione di esserci anche se non ha alcuna corrispondenza nel corpo; il fulcro del discorso risiede nella necessità di vedere l’essere umano nella sua globalità: non solo mente, non solo corpo, ma un sistema dinamico, composto di parti tra loro comunicanti e che, continuamente nel corso della vita, si influenzano. Ed è qui che può trovare un posto –ed un senso- anche la terapia farmacologica che, in parallelo ad una psicoterapia e quindi ad un percorso psicologico, può massimizzare i suoi effetti.

Il blog del dottor Gabriele di Maio

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