giovedì 17 dicembre 2009

Oltre la fine

Questo si sta rivelando un periodo abbastanza prolifico, per me, quindi riesco a produrre con più costanza i racconti. Questo è uno di quelli "dedicati", e la protagonista di questo è Emanuela, colei che considero la migliore amica che abbia mai avuto; quindi, in qualche modo, è un racconto "speciale", perché è scritto con molto affetto e penso sia sopra la media dei miei racconti. Niente altro da dire se non che spero sia di gradimento.

Oltre la fine

Come ogni volta che era al lavoro, anche quel giorno Emanuela doveva stare al computer a badare agli affari della gigantesca villa a cui era addetta. Era la garante della padrona di casa, perciò doveva controllare che fosse tutto in ordine, e che i muratori che stavano prendendo parte alla ristrutturazione rigassero diritto. Ogni tanto però poteva svagarsi, specie dal computer che la faceva star male se lo usava per troppo tempo; e quel giorno ne aveva terribilmente voglia, visto che la sera prima, per chissà quale motivo, aveva dormito molto poco, in preda all'insonnia. Si staccò dal pc e, per sgranchirsi un po' le gambe, addormentate per colpa delle ore passate a sedere, si avviò per i corridoi dell'immensa abitazione. Era passata per quelle enormi e lussuose stanze per mille volte, ma sempre, ad ogni nuova occasione, ne era assolutamente meravigliata, come se quel posto avesse un fascino sovrannaturale; o forse ad incantarla era il gigantesco parco che si osservava fuori da ogni finestra, a darle quella sensazione, da grandissima amante della natura come ella era.

All'improvviso, mentre camminava in un corridoio del primo piano, successe qualcosa di inusuale: per un secondo, sentì la testa girarle, ma subito dopo tutto tornò ad essere normale, e la ragazza, pensò a una sensazione di un attimo che era già passata, senza dar alcun peso alla cosa. Girando un angolo, però, si ritrovò in un luogo della casa che non aveva mai visto. Si guardò intorno, pensosa, e poi realizzò che in effetti in quel posto c'era stata, ma dall'ultima volta sembravano passate delle ere, visto che praticamente tutto era diverso E che differenze! Se prima era un ambiente come un altro, ora sembrava essere passato un tornado da quelle parti, il mobilio era in pezzi, i muri erano scrostati e pieni di crepe, e il pavimento era coperto di uno strato di fine polvere. Che cosa era successo? Ogni risposta (topi, un muratore maldestro, un vandalo) apparivano a Emanuela improbabili. Prese a camminare per il corridoio lentamente, e man mano che avanzava lo spettacolo era sempre più devastato. Si fermò davanti alla porta di una stanza che aveva uno piccolo forellino irregolare, da cui filtrava della luce, e dopo aver valutato la situazione decise di aprirla e di entrare. L'interno fu terribile a vedersi: dove prima c'era una bella camera con tanto di letto a baldacchino e di caminetto, ora si trovavano solo grossi pezzi di macerie, mentre in alto si vedeva un cielo coperto da nuvole nere ma stranamente luminoso, non più occultato dal tetto ormai crollato. Presa dal panico per colpa di quella vista, la giovane uscì correndo e si precipitò al piano di sotto, notando con ancor più sgomento che il percorso che ripercorreva a ritroso presentava la stessa distruzione, in ogni ambiente della casa, che sembrava quasi comparsa magicamente nel poco tempo trascorso tra l'andata e il ritorno. Cercò per tutta la casa i muratori, o almeno qualcuno che potesse aiutarla, ma invano: una grande villa in rovina e deserta, ecco cos'era quel posto. Che diavolo era successo lì, e perché? Provava a trovare una risposta, ma non riusciva proprio a ragionare, a trovare un motivo, una qualsiasi spiegazione, pur interrogandosi moltissimo. Ad un trattò notò in un angolino della stanza in cui si trovava un bagliore metallico: si avvicinò, e scoprì che era una bicicletta dall'aspetto vecchio e malandato, ma che sembrava ancora possibile usare, finita chissà come là. Senza indugi, decise di prenderla per recarsi in paese a cercare indizi su cosa era successo, o almeno qualcosa che la aiutasse almeno un po' a risolvere il mistero.

Entrambe le gomme della bicicletta erano a terra, perciò per arrivare a destinazione la ragazza dovette faticare non poco; e quando arrivò, lo spettacolo che trovò una volta giunta fu desolante e spaventoso, ovunque c'erano rovine a non finire, le strade erano invase di calcestruzzo e di mattoni staccatesi dalle case, molte delle quali presentavano grossi fori e aloni neri, segni di un incendio non troppo recente. Qualche brandello del centro medievale era ancora in piedi, ma la maggior parte del resto era diroccato, compresa la bellissima chiesa romanica della città. Girò il paese a piedi, faticando anche un po' a trovare passaggi tra le macerie che in certi punti formavano a volte anche piccole muraglie irte di grossi spunzoni di cemento, e man mano che camminava la disperazione aumentava. Com'era possibile che la città fosse stata rasa al suolo? E da chi? Ma soprattutto, la gente che fine aveva fatto? In tutto il giro, non aveva trovato la benché minima traccia di una persona, nemmeno un minimo rumore aveva turbato il silenzio irreale di quel posto se non quello dei suoi passi. La situazione era allucinante ed insieme insopportabile, e mentre cominciava a far buio sotto il cielo plumbeo Emanuela, sopraffatta dalla disperazione, smise di girare e si abbandonò a sedere su un muretto. Proprio allora, sentì dei rumori attutiti, come di passi, che si facevano pian piano più forti, finché da dietro una struttura diroccata emerse una figura. Era enorme, una personaggio umanoide alto almeno tre metri in una tuta completamente bianca che lasciava una visiera all'altezza di quella che doveva essere il volto, ma era oscurata e il viso non si vedeva affatto. Appena la vide, il gigante cominciò a correrle incontro ad una velocità sproporzionata; la ragazza si spaventò enormemente e cercò di sfuggire, ma invano: l'essere fu su di lei in un attimo, e la immobilizzò tra le braccia in una presa di ferro, per poi portarla via.

Tentò di liberarsi per una decina di minuti, ma invano, la stretta era veramente d'acciaio; poi il gigante aprì una porta che si apriva nel terreno e discese delle scale, trovandosi in un locale illuminato da delle fioche lampade al neon. Aprì l'unica porta, e poi cacciò senza troppi complimenti la ragazza in una specie di grande tubo di vetro, che si chiuse intrappolandola. Un liquido rosato salì rapidamente nel tubo, e Emanuela, ancor più terrorizzata e temendo il peggio, chiuse gli occhi tappandosi il naso, mentre ne veniva completamente sommersa. Dopo pochi secondi, però, il liquido defluì, e successivamente un soffio di aria calda la asciugò piuttosto rapidamente. Poi il tubo si aprì dall'altra parte, e la giovane poté uscire in un ambiente vuoto, simile al primo ma più grande. Nel tubo, intanto, vide colui che l'aveva venir sommerso e poi venir asciugato come era successo a lei, ed infine uscire. Improvvisamente si aprì una cerniera, e dalla tuta uscì un uomo tutt'altro che grande e possente, poco più alto di lei: ma la cosa che colpiva di più era la sua grande magrezza, il volto pallido ed emaciato (ed in qualche modo familiare) con pochissimi capelli in cima, e il corpo smunto e ai limiti dell'anoressia. Per la prima volta dall'incontro egli parlò, in una lingua un po' strana ma molto simile al dialetto del comasco, che quindi lei capiva benissimo, e con una smorfia sorpresa le chiese come si era trovata la fuori. La ragazza non seppe rispondere, e non riuscì nemmeno a replicare alle successive domande dell'uomo sulla sua provenienza, tanto era lo sconcerto. Allora, l'uomo, che le rivelò di chiamarsi Stefano, la accompagnò oltre la porta, a visitare una struttura dall'ambiente asettico e metallico, che quasi sembrava uscito da un film di fantascienza. Le mostrò quella che sarebbe stata la sua stanza, un piccolo locale spoglio di mobili ma piena di strani interruttori e lucine sulle pareti, e con solo una branda su un lato, e poi la lasciò là, da sola.

Qualche ora più tardi, venne chiamata per la cena, e lì riuscì, anche se con molta fatica, a sbloccarsi e a parlare finalmente con Stefano. Questi, intuendo che l'ospite non sapeva nulla di ciò che era successo (anche se non sapeva spiegarselo), le parlò partendo dall'inizio di tutta quella storia. Emanuela apprese allora che nel 2015 era scoppiata la guerra mondiale, brevissima ma intensissima. Non si sapeva chi era stato il primo ad utilizzare le bombe atomiche, quel che era certo era che quando il presidente Statunitense Barack Obama era stato ucciso in una congiura e sostituito da un vertice di folli militari, per il pianeta Terra era stata la fine. L'Europa era stata invasa dagli integralisti islamici, che avevano imposto la shari'a ovunque, trucidando chi non si adeguava, ma la loro vittoria era stata vana; le nuvole di radiazione si erano estese ben presto all'intero pianeta, e ben presto sia vincitori che vinti erano rimasti uccisi, tranne una piccola frazione che era riuscita a sopravvivere, grazie a dei mezzi tecnologici di gran avanguardia, come il liquido annulla-radiazione o la super-tuta: ma nonostante ciò, ormai sulla Terra sopravvivevano pochissime persone, che non potevano contattarsi se non a distanza (la tuta non reggeva più di un ora le radiazioni, e non si potevano quindi intraprendere lunghi viaggi), e che comunque, mangiando e bevendo cibi ed acqua dai quali non era possibile cancellare del tutto l'irradiazione nucleare, stavano agonizzando ogni giorno di più. Il pianeta era morto, il sole si vedeva solo per qualche decina di giorni l'anno, mentre per il resto del tempo era oscurato da nubi radioattive, che spesso scaricavano la loro pioggia mortale sul terreno ormai disseccato; e la radioattività era terribile, aveva ucciso perfino i batteri (e per questo il cibo esterno, come le carcasse degli animali, si poteva mangiare e non si decomponeva). Stefano le disse anche che essendo stata esposta senza tuta all'ambiente esterno, la ragazza si sarebbe potuta ammalare seriamente di “distruzione nucleare del corpo”, e non ci sarebbe stata cura a quel punto, quindi doveva prepararsi al peggio, se fosse successo. A Emanuela tutto questo sembrava assurdo, non voleva credere di essere stata proiettata avanti nel tempo e soprattutto che fosse successo un evento di tal portata. Era la fine del mondo; anzi, era addirittura oltre di essa. Non riusciva a crederci, ma sapeva che in fondo quella era la verità, e la cosa la faceva stare veramente male. Finì il piatto che le aveva offerto l'inquilino della base, poi andò a dormire direttamente, nell'abbattimento più totale.

Si svegliò all'incirca alle sei del mattino, secondo l'orologio della camera che aveva imparato ad usare, in preda ad atroci dolori di stomaco. Accese la luce, e la prima cosa che notò furono intere ciocche dei suoi lunghi capelli sparpagliati sul cuscino da cui si era appena alzata, che la fecero inorridire non poco. Svegliatosi, Stefano accorse nella sua stanza, e con espressione triste e delusa, le annunciò che era stata colpita dalla distruzione nucleare del corpo, e che l'unica cosa che poteva fare era decidere se restare là dentro con l'assistenza della tecnologia, soffrendo nella più totale agonia, per qualche mese, oppure se preferiva uscire, per accelerare il processo. Senza pensarci due volte, Emanuela scelse di andarsene, e con rassegnazione l'uomo la accompagnò, fino all'uscita. Scossa da un secco male alla pancia, camminò per un po' allontanandosi molto dal bunker, riuscendo infine a guadagnare la cima di una collina, e lì, ormai stremata dalla sofferenza, si fermo. Sedette sotto il sinistro scheletro di una quercia, tremando, mentre il vento le accarezzava le guance, su cui fatali lacrime scendevano, a salutar la vita che presto l'avrebbe abbandonata. Come d'incanto, all'orizzonte sorse lentamente un grande sole rosso, che riusciva a far capolino tra le nuvole, come a dare un estremo addio alla giovane e al pianeta Terra ormai agonizzante, in uno dei rari momenti dell'anno nel quale si poteva ammirare. Lo spettacolo era bellissimo quanto terribile, e i pensieri della ragazza consumavano le sue ultime energie mentali nella contemplazione della piccolezza dell'uomo di fronte al cosmo; nel mentre la pelle cominciava a pruderle. Solo quando se ne accorse ricordò che l'uomo, tra le altre cose terribili, le aveva detto che la guerra aveva annientato anche lo strato d'ozono della Terra, e che per quello era pericolosissimo uscire quando c'era bel tempo. Ormai la pelle bruciava in un vortice di rosso dolore, e si ustionava, torturando la povera ragazza, che con le ultime energie gridò, prima di chiudere gli occhi per l'ultima volta.

Il dolore alla pelle era sparito, come quello alla pancia, non sentiva più nulla. Era morta, e si trovava nell'aldilà? Eppure era così strano, si sentiva normalissima... tirò su la testa dal piano dove era appoggiata, e si guardò intorno. Ciò che vide la sorprese: la villa era lì, come l'aveva lasciata. Realizzò che il viaggio nel futuro con annessa morte, come anche il semplice viaggio al piano superiore era stato frutto solo della sua immaginazione, e che si era addormentata. Forse era stata una premonizione del futuro, o forse solo un sogno senza senso, in un sonno dovuto all'insonnia del giorno prima, del giorno prima; fatto sta che Emanuela non dimenticò mai quell'incubo orribile, che metteva in guardia l'umanità tutta da un destino possibile, evitabile solo attraverso il senno e la ragione.

1 commento:

  1. E' scritto davvero bene questo racconto, complimenti vivissimi! ;)

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