giovedì 8 gennaio 2009

Notte

Questo racconto l'ho scritto stasera verso le 2 di notte. Come si può ben vedere, è molto diverso dal primo, e se quello richiama alcuni scrittori di fantascienza, questo presenta influenze da Lovecraft, anche se penso sia più personale. A me ieri notte pareva bello, adesso non ne sono tanto sicuro, giudicate voi. Comunque, non c'è alcuna morale nascosta nel racconto, nessun significato occulto, è solo un racconto onirico e vagamente psichedelico, spero che vi piaccia.

Notte

 Il bolide sfrecciava giù dal cavalcavia, e poi entrava in una rotatoria a tutta velocità, sbandando leggermente verso l’esterno; poi abbandonava la rotatoria e spariva dalla vista del ragazzo che dalla finestra guardava verso l’esterno. Era veramente tardi quella notte, e il giovane, internauta provetto, aveva già salutato il suo ultimo amico della chat, ed ora era nella più completa solitudine, nel più completo silenzio. Il ragazzo era affascinato dall’oscurità, dalla notte, dalle tenebre, gli dava un certo senso di sicurezza. Sapeva però anche benissimo che non era bene uscire la notte, specie nel quartiere di Padova dove viveva: l’Arcella era un quartiere degradato, non quanto quelli più a est, ma comunque c’erano molti problemi. Eppure, era attratto da quell’impenetrabile coltre di nero, da quel manto oscuro che c’era fuori della finestra.

Sussultò quando il campanello di casa suonò. Il cuore cominciò a battere forte, erano ormai le una e mezza di notte, chi poteva mai essere a quell’ ora? Andò alla porta, guardò dallo spioncino, ma non c’era nessuno. Cautamente, aprì la porta, ma chi aveva suonato sembrava svanito nel nulla. Allora decise che era ora di andare a dormire, ma un pensiero all’improvviso si fece strada in lui: e se invece fosse sceso in quella oscurità, sotto alla sua finestra? Ormai anche i criminali nottambuli dovevano essere a dormire, non c’era alcun pericolo. Allora, senza pensarci due volte, chiuse alle sue spalle la porta e scese giù, uscendo dal portone principale. Fuori, c’erano lastre di ghiaccio e neve congelata di diversi giorni prima, eppure il ragazzo non aveva freddo, anche se non aveva preso una giacca: gli sembrava come se quelle tenebre lo riscaldassero come una soffice coperta di lana.

Decise di prendere il cavalcavia e di arrivare davanti alla stazione dei treni di Padova. Erano solo pochi passi, ed inoltre al giovane piaceva molto l’ambiente di stazione e tutto ciò che concerneva i treni. Tuttavia, appena girato l’angolo, vide attraverso la penombra qualcosa che lo lasciò perplesso, ma anche un tantino spaventato: Via Tiziano Aspetti era lunga e diritta, e attraversava una vasta pianura. Il cavalcavia era sparito, così la rotatoria che vedeva dalla sua finestra, e Padova non era più Padova. Era in aperta campagna, ora, la strada che aveva davanti era costeggiata da campi, illuminati dalla pallida luce delle stelle. Il cielo era la parte più meravigliosa e più inquietante: Orione era gigantesco, la sua spada era visibilissima e di colore rosso, la sua cintura indicava Sirio, splendente come un sole e glaciale. Le Pleiadi erano una meravigliosa chiazza luminosa, e più in la Aldebaran emanava una più che sinistra luce rossa. Il giovane rimase a contemplare lo spettacolo celeste per quelle che gli sembrarono ore. Gli faceva male la testa, ma non poteva staccare gli occhi dalla volta.

Le prime luci dell’alba arrivavano, e le stelle iniziavano a scomparire a una a una, quando il giovane si riscosse dallo stato di torpore che lo aveva preso. Guardava in alto, ma ora vedeva solo un soffitto grigio, pieno di screpolature. Tento di alzarsi dalla posizione sdraiata che non ricordava di aver assunto, ma vide che era difficile: era sdraiato in mezzo ad altre persone, sul pavimento della stazione, di quella che riconobbe essere la stazione di Padova, terzo binario. Si spaventò molto, ma senza un suono riuscì finalmente ad alzarsi, e piano piano andò via da quel posto. Passando davanti ad un distributore automatico di bibite e merendine, vide il suo volto riflesso: aveva come minimo 50 anni, era calvo, sdentato e con una lunga barba. Erano passati quindi almeno 30 anni dalla notte in cui era uscito di casa, e pur non ricordandosi nulla, il ragazzo si accorse di essere diventato un clochard, e a quanto vedeva riflesso nel vetro di quella macchina lo era da molto tempo. Le lacrime lo colsero, e piangendo si diresse verso il sottopassaggio. Uscì dalla stazione, e non sopportando il dolore che lo aveva colto si gettò sotto un’auto di passaggio, uccidendosi.

Si risvegliò sulla sua scrivania, la finestra completamente aperta, l’orologio del computer acceso davanti a lui che segnava le 11 di mattina, e il suo amico di chat che gli chiedeva se era presente in linea o meno. Si accorse che la sera precedente si era addormentato davanti al computer, e che nulla di ciò che aveva visto era reale. La testa gli fece male per giorni, era letteralmente caduto sulla scrivania dal sonno, battendo la testa, e aveva un bel bernoccolo in fronte che gli spuntava come un corno. Tuttavia non ebbe paura di sognare ancora, perché il sogno della notte precedente gli piacque, pur nella sua tragicità. Non è bene, pensò, rifiutare ciò che il cervello dice mentre sogniamo, perché ogni cosa, anche la più onirica o incomprensibile, in realtà ha un senso.

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